venerdì 10 dicembre 2010

Nel nome del pulito, "Il mondo deve sapere" Michela Murgia


Se mi fossi ricordata che Michela Murgia e' una vincitrice del premio Campiello, probabilmente non avrei comprato questo libro: ho una naturale diffidenza verso i premi letterari, soprattutto quelli Italiani, in generale ho l'impressione che vadano sempre a romanzi che per me non rivestono interesse. A parte questa snobberia personale, ringrazio la mia poca memoria, "Il mondo deve sapere" è da leggere. Sia perché è ben scritto, sia per quello che racconta.
Che siate lavoratori precari, che siate vittime dei vostri datori di lavoro o dei vostri colleghi, che il vostro telefono squilli in continuazione e voi non sappiate come tenere testa alle vendite porta a porta, questo libro vi sarà utilissimo.
Nato come blog, questo testo è il racconto dell'esperienza della scrittrice come telefonista in una ditta di aspirapolveri, la Kirby Company.
Tutto ciò che potete immaginare della vita di una telefonista e molto di più vi sarà svelato: la paga da fame, la mancanza di diritti, la coscienza di stare truffando le persone dall'altro capo del filo, tutta la raffinata manipolazione psicologica del potenziale cliente e del lavoratore, tenuto in scacco da capi completamente incapaci e terribilmente crudeli. 
Ognuno ci può trovare una lettura personale a seconda del proprio vissuto, ma se avete lavorato o lavorate in un ufficio non faticherete a riconoscere i sistemi usati da molti dirigenti o da capetti rampanti per costringervi a fare quello che vogliono.
Tecniche psicologiche allucinanti per farvi credere che un lavoro di merda è un'opportunità, che se non ce la fate a reggere la crudeltà mentale di cui siete vittime siete dei perdenti, che una punizione è un aiuto che vi danno.
Vi posso assicurare che quanto ho letto si trova in luoghi di lavoro di ogni genere, colpisce precari e non (anche se i primi sono più fragili); sono sistemi che funzionano, distorcono la realtà e vi proiettano in un universo parallelo da telenovela dove veramente potreste pensare che lavorare in call center per 250 euro al mese, sabati e domeniche sia un'attività che porta (dio sa come) al successo. E’ facile cascarci, è difficile che al di fuori qualcuno vi capisca.

Si stenta a credere alla quasi religiosa devozione dei capi verso l'aspirapolvere, alla minuziosa ed esilarante cronaca delle telefonate e dei sistemi per farsi dire di sì da una sprovveduta casalinga (io stessa ho riconosciuto lo stile di una chiamata ricevuta tempo fa), alle meschinità descritte. Ma ahimè, è tutto vero.
La lucidità di analisi ed il caustico umorismo della Murgia l'hanno salvata dal farsi coinvolgere da quell'esperienza e diventarne vittima e sono per noi preziosi per imparare a difenderci da situazioni del genere.

E meno male che si ride leggendo queste pagine o si potrebbe sprofondare in una depressione senza fine, rendendosi conto di quanto la nostra realtà sia in buona parte illusione e quanto nostro malgrado sia facile essere ingannati dalla nostra buona educazione ed dai nostri sensi di colpa che abilmente sfruttati possono essere usati contro di noi.

Dopo l’uscita di questo libro Michela Murgia ha cominciato a partecipare in modo attivo al dibattito sul precariato del lavoro, che nel nostro paese è ormai una condizione di tragica normalità. Paolo Virzì ne ha tratto “Tutta la vita davanti” e  David Emmer ne ha fatto uno spettacolo teatrale.

E poi Michela Murgia ha vinto il premio Campiello con “Accabadora”. Chissà, magari a questo punto lo leggerò.

Per chi volesse approfondire:


(Michela Murgia "Il Mondo Deve Sapere", 2010 ISBN Edizioni)

giovedì 2 dicembre 2010

La forza dei libri!



Solidarietà con gli studenti universitari e grazie!






Salone del Libro Usato 2010

Dal 5 all'8 dicembre si svolgerà il Salone del Libro Usato a Milano, presso Fiera Milano City.
Per chi fosse interessato ecco il sito. Buon Divertimento!

domenica 28 novembre 2010

Arte coi libri

Ecco il sito di Alexander Korzer-Robinson, un artista che lavora utilizzando i libri come materia prima.
Se da un lato la sua tecnica è opinabile per coloro che amano il libro in quanto oggetto, dall'altra non si può fare a meno di ammirare queste opere...

sabato 27 novembre 2010

Un Libro a Milano 2010

Seconda edizione del "salone della piccola e media editoria indipendente", che raccoglie decine di piccoli editori da tutta Italia e propone libri di ogni genere, dai classici greci a saggi sul tarantismo.
Molte proposte interessanti e qualcuna più trash, quando ci si avvicina a banchetti che propongono soprattutto libri di fate e gnomi dalla grafica agghiacciante o che mescolano il libro col gadget ajurvedico.
La veste estetica è spesso un punto debole di queste piccole produzioni e se un libro non si giudica dalla copertina, è anche vero che un buon scritto merita una bella confezione, che dimostri quanto l'editore crede nel libro che propone.

Tra i banchetti più interessanti segnalo quello di Guido Tommasi Editore, specializzato in pubblicazioni legate alla cucina, ricettari (anche molto belli da guardare) ma anche piccoli libri monografici su alcuni ingredienti (lo zenzero, la vaniglia, il basilico etc.) e volumi che mescolano ricette e racconti legati alla cucina, come "Natali d'Italia" di Stanislao Porzio e "E' l'ora del tè" di Carla Massi.
L'editore La Vita Felice propone invece libretti di saggistica o classici greci come "Le troiane" di Euripide o scritti di Seneca e Platone. Nelle stesse edizioni troviamo poesie di Alda Merini e Majakovskij.
Tagete Edizioni ha una produzione alquanto varia che va dai gialli ai libri di viaggio a prezzi abbastanza contenuti. La signorina, molto gentile, mi ha fatto uno sconto su un libro che ho comprato e mi ha regalato una raccolta di racconti gialli di autori Italiani
Non mancano libri per bambini -Babalibri per fare un nome- e di storia contemporanea come quelli di Zambon Editore (che abbastanza curiosamente ha sede a Francoforte), che esplorano gli avvenimenti storici mondiali, dallo sterminio del popolo ebraico, alla storia della guerra in Vietnam, alla vicenda di Sacco e Vanzetti.
L'incontro più interessante è stato quello con Donne di Carta, un'associazione no profit di Roma che raccoglie editori, librai e lettori.
La signora con cui ho parlato mi ha spiegato il progetto delle "persone libro" di Bradburiana memoria, nato in Spagna ed ora importato anche in Italia. Chiunque può diventare una persona libro imparando a memoria passi dai propri libri preferiti, che siano di narrativa, saggistica, poesia. Anche i testi delle canzoni sono ammessi. Poi i libri si portano in giro, li si "dice" (attenzione, non si recitano nè si fanno letture) per gli altri, per un pubblico.
Quest'iniziativa s'è diffusa per ora in Lazio, Toscana, Puglia e Sardegna. Domani, durante l'ultima giornata della manifestazione, si terrà una "performance" di questo gruppo. E' un'idea interessante, sopratutto perchè non si tratta di letture o teatralizzazioni di testi, tanto in voga e a volte così artificiose. Se v'interessa, l'appuntamento con Donne di Carta è per le 14 presso il Caffè Letterario del salone.

Un Libro a Milano è un'occasione per conoscere un lato un pò oscuro -perchè poco pubblicizzato- ma certamente genuino dell'editoria e per diffondere una cultura del libro che non sia legata solo al bestseller multimilionario o alla moda del momento e l'amore per la lettura, svincolandolo dallo snobismo di alcuni intellettuali e dai tentativi continui del mainstream di fare della cultura in generale un bene per pochi.

Infine ecco qualche link:
www.unlibroamilano.it
www.donnedicarta.org
www.zambon.net
www.guidotommasi.it
www.babalibri.it

lunedì 1 novembre 2010

Nè con gli uni nè con gli altri


Rileggere in questi giorni "Cuore di cane" di Mikhail Bulgakov è illuminante. La prima volta vi cercai la storia, il lato oscuro, ironico ed agghiacciante che fa dei racconti di questo scrittore capolavori del fantastico. Bulgakov aveva il dono di creare un'atmosfera inquietante, abitata da personaggi luciferini che apparivano come per incantesimo, in cui la scienza aveva scopi oscuri e mostrava di essere, nonostante la pretesa di esattezza, una specie di rito magico, tutt'altro che infallibile e schiava di leggi empiriche sconosciute a chi la praticava.

Ma adesso, alla seconda lettura, ti arriva direttamente in testa saltando fuori dalla pagina la consapevolezza di cosa rappresentino i personaggi, quasi archetipici, di questo racconto.
L'intera società Russa degli anni venti va in scena, a partire da Filipp Filippovic, professore emerito che mantiene, in virtù delle sue abilità mediche, ambite dai potenti di ora che si sono sostituiti a quelli di un tempo, una serie di privilegi, ed è pronto a difenderli dagli attacchi dei vari comitati di cittadini e compagni che si fanno avanti.
Con il suo modo di vivere agiato, la sua insofferenza verso le restrizioni e le imposizioni del nuovo regime appartiene al mondo pre rivoluzionario duro a morire.
Ci sono poi Svonder, con il suo codazzo di militanti convinti che cercano con ostinazione di far cedere il vecchio scienziato alle nuove regole e Zina e Dar'ja Petrovna, la cameriera e la cuoca di Filippovic, per le quali la rivoluzione ha cambiato poco, dato che serve erano e sono rimaste.

Soprattutto c'è Pallino, il cane-proletario che viene mutato da Filippovic in essere umano.
In lui la rivoluzione bolscevica s'incarna, portandolo dalla condizione di animale affamato e miserabile a quella di uomo.
Ma con grande sorpresa di tutti, non resta docile ed ubbidiente: brutto e cattivo, Pallinov (come si fa chiamare una volta "umanizzato") si rivolta contro tutto e tutti. In primis proprio contro Filippovic, che lo vorrebbe educato e sottomesso; per far questo Pallinov non esita ad allearsi con Svonder ed il suo Domkom, espressione del potere rivoluzionario.
In breve però tradirà anche loro e li trufferà per inseguire la sua libertà, che non è quella della classe borghese e nemmeno quella bolscevica. Nè uomo nè cane, egli è insofferente alle imposizioni, sta solo dalla propria parte e proprio per questo il suo destino è quello di soccombere. L'unico modo di ottenere la libertà è cercarla per conto nostro ma non ci è concesso, sarebbe troppo pericoloso per chi comanda, di qualunque colore sia vestito.

La metafora scelta da Bulgakov è perfetta, cinica, ironica e valida ancora oggi per illustrare un destino al quale pensiamo di essere sfuggiti ma che con abiti diversi è pur sempre lì ad aspettarci.
Di questi tempi "Cuore di cane" serve a darci uno sguardo limpido ed implacabile sulla nostra condizione, a meditare come, a dispetto delle apparenze, il sogno di Pallinov sia ben lontano dal realizzarsi.

(Mikhail Bulgakov "Cuore di Cane" Oscar Mondadori 2010)

venerdì 29 ottobre 2010

Cose Preziose

La "Libreria XX Settembre" si trova nel piccolo borgo di Ovada, nell'Alessandrino. Da fuori, la piccola vetrina si nota poco e passando rapidamente in cerca di un negozio di farinata o funghi si rischia di perderla. Ma se la vedete entrateci: appena passata la soglia vi sembrerà di essere in una di quelle biblioteche dei film fantastici di Joe Dante dove centinaia, migliaia di volumi si ammassano gli uni sugli altri, come costituissero essi stessi le pareti del negozio. Negli scaffali che arrivano a soffitto i libri sono ammucchiati gli uni sugli altri, le ultime uscite, i best sellers.
La cosa più bella è salire la scaletta -ai lati della quale sono impilati altri volumi- ed esplorare il soppalco, dove si trovano libri vecchi ed addirittura fuori catalogo. Nuovi, non usati, ma quasi tutti in edizioni datate. Dalle biografie di Bob Dylan alle opere di Philip Dick. E' un piacere perdersi in questo mare di titoli quanto mai variegato. E per quanto possa sembrare strano, c'è anche un ordine di catalogazione.
Un luogo magico per il bibliofilo appassionato, uno di quei posti da perderci la testa e tutta la giornata...
In appena mezz'ora di permanenza sono riuscita a trovare una vecchia edizione Einaudi di "Rose e Cenere" di James Purdy, appena ripubblicato. Il volume nuovo costa 18 euro, ma quello che ho preso io costava 14mila lire...Sette euro!

Libreria XX Settembre, Piazza 20 Settembre 6, Ovada (AL). Telefono 0143/86060

venerdì 22 ottobre 2010

Tra topi e malattie: Stanley Helkin "Magic Kingdom"

La letteratura postmoderna Americana è una specie di mistero per me: anni fa ho provato a leggere Barthelme e devo ammettere di non averlo capito. Ho sfiorato John Barth e poi sono arrivata, del tutto casualmente, a Stanley Elkin. L'impressione che mi danno sempre questi scrittori è di usare le storie di finzione come una specie di travestimento per una critica o un sarcastico umorismo nei confronti della società e dell'estabilishment culturale. Sono veri intellettuali, abili nell'uso della lingua, autori raffinati i cui libri -si vede, si sente- sono molto pensati, a volte fin troppo.

Quest'astratta intellettualità non colpisce Elkin o almeno "Magic Kingdom", che pur risultando a tratti molto complesso soprattutto a livello di linguaggio, muove da elementi così carichi di pathos e di dramma da rendere necessario uno sguardo spietatamente ironico e allenato all'analisi del pensiero umano, allo smontaggio delle singole emozioni in modo da comprenderle ed esorcizzarle senza permettergli di farci prendere dalla disperazione e dal patetismo.

La storia di Eddy Bale è tragica: suo figlio Liam, dopo una lunga malattia è morto a dodici anni lasciando i genitori sotto choc. La moglie Ginny, incapace di affrontare il lutto insieme al marito lo ha lasciato e si è messa con un tabaccaio. Eddy è un uomo a cui non è rimasto nulla tranne i sensi di colpa. E tra i molti che ha c'è quello per aver fatto tanto per tenere il vita il bambino da dimenticarsi che appunto si trattava di un bambino e avrebbe dovuto divertirsi, nonostante tutto.
Così, forse in cerca di espiazione o per fare un omaggio postumo al figlio, cerca di organizzare un viaggio a Disneyland e portarvi sette ragazzini malati terminali. Nonostante le prime difficoltà, riesce a raggranellare i fondi necessari, poi viene la scelta dei collaboratori ed infine dei piccoli malati destinati alla "vacanza da sogno".

Così il viaggio ha inizio. Un viaggio incredibile davvero, tra malattia, morte, attori falliti vestiti da Pluto e Topolino in un regno irreale dove i piccoli nelle loro condizioni spiccano come creature spaventose dipinte da Bosch. Il contrasto tra l'atmosfera zuccherosa di Disneyland e la clamorosa realtà che v'irrompe con questa carovana d'Inglesi è a volte esilarante e scatena reazioni inconsulte, come nel caso del piccolo Noah, che viene assalito da un irrefrenabile consumismo che cerca di placare acquistando souvenirs di Topolino e Co. alla cieca.

E se i bambini sono malati nel corpo è evidente che gli adulti lo sono nello spirito. Ognuno di loro porta con sè  la disperazione, la solitudine, una condizione di inadeguatezza. Mary Cottle ad esempio, impossibilitata ad avere figli fisicamente normali, non vuole un uomo e sfoga il suo nervosismo masturbandosi continuamente; Nedra Carp, la tata, è una donna perbenista, banale, incapace di amore disinteressato ma vittima di una famiglia allargata allo sproposito. Tutti verranno analizzati a fondo, il loro passato ed il loro presente, senza condanna, ma pure senza  pietà. E alla fine i piccoli condannati capiranno di non essere loro i veri freaks, che i sani sono in realtà più malati di loro
L'ironia tragica e assoluta, forse già nel sangue di Elkin (ebreo di Brooklin, lui stesso vittima di una malattia degenerativa incurabile) riesce a far digerire al lettore cose terribili, i ricordi del calvario del piccolo Liam, l'umiliazione di Eddy costretto ad elemosinare denaro per le cure comparendo in televisione, rilasciando interviste ai rapaci giornali di gossip Britannici, i mali (spaventosi) che affliggono i piccoli del gruppo, la meschinità degli adulti che appaiono veramente miseri in confronto ai bambini di cui si devono prendere cura.

La critica alla società dei media, alla spettacolarizzazione del dolore, al consumismo (soprattutto Americano), al patetismo, alla visione che gli adulti hanno dell'infanzia ed alla finzione è cristallina e feroce, ogni movimento, ogni pensiero è scoperto e fissato sulla pagina.
Il Regno Magico resta sullo sfondo, scenografia attiva di tutta la vicenda che influenza i suoi ospiti e da loro è (anche se in apparenza non si direbbe) mutato. Quando Eddy Bale se ne andrà con tutto il suo carrozzone, Disneyland sarà irriconoscibile.

Se deciderete d'impegnarvi in questa lettura siate preparati, "Magic Kingdom" è densissimo, psicologicamente, intellettualmente e linguisticamente. Non è un caso che la scrittura di Stanley Elkin sia stata paragonata ad "un assolo di sax nell'orchestra di Duke Ellington" (cit. Rick Moody): i suoi periodi sembrano interminabili, con pagine e pagine occupate da testo che sta tra parentesi lontanissime l'una dall'altra, tanto che capita di perdersi e dover tornare indietro più volte per riprendere il filo, capire l'intonazione a cui pensava, cercare di intuire lo sviluppo successivo. Non mancano divagazioni, tutt'altro che oziose ma certo impegnative. Eppure, si resta ipnotizzati e in un attimo ci si trova a metà libro.
Ci vuole un pò di coraggio ad avvicinarsi a questa storia, sia per le tematiche che per lo stile letterario, ma certamente non ci si pente di averlo fatto.

Vi lascio con un'intervista all'autore del 1974, pubblicata dal  "the Paris Review"...

(Stanley Elkin "Magic Kingdom" 2005, Minimum Fax)

sabato 2 ottobre 2010

BaaaBaaa Black Sheep! Ascanio Celestini, "La Pecora Nera"

Ascanio Celestini ha uno stile asciutto, che non si concede ammiccamenti e facilonerie. E' amaro, ed anche questo mi piace. Ridi solo quando lui te lo permette ed anche allora è un riso che un pò ti va di traverso, perchè se ci pensi bene, non c'è proprio niente da ridere.

"La pecora nera" è il testo di uno spettacolo da poco diventato anche un film e tratta il tema dei manicomi e della malattia mentale.

Nicola è entrato in manicomio quando era un ragazzino. C'è arrivato quasi per errore e ci è rimasto tutta la vita; forse era già matto da piccolo, forse è diventato matto a furia di elettroshock e pastiglie colorate, di solitudine e mancanza d'amore. Magari non è matto per niente. Dal mondo dentro la sua testa, di rinnegato, di escluso, riesce a vedere tante cose come realmente sono, le distorce fino a coglierne l'essenza e ce le restituisce crude e  indigeribili.
E ricorda il mondo com'era quando è nato, nei Favolosi Anni Sessanta, sull'orlo di un cambiamento epocale che avrebbe travolto tutto e portato meravigliose illusioni naufragate in un mare di merci e di desideri ridicoli e vuoti. Vorrebbe forse provare a ricomporre le cose, a metterle a posto una volta per tutte e per questo continua a tornarci incessantemente. La sua vita si è fermata lì. Ma ormai Nicola è perduto. Troppo isolamento, troppe pasticche, troppo buio.
I Favolosi Anni Sessanta sono finiti e si sono portati via i sogni di tutto un paese, di tutto il mondo. Ciò che resta, ciò che resta a noi e a Nicola è l'incredibile solitudine del "Manicomio Elettrico", che ha svuotato la vita di senso ma che ormai è la nostra casa e l'unica compagnia.

Non dico di più. Aggiungo solamente che rispetto al collega Filippo Timi recensito qualche mese fa in questo blog , Celestini non vuole scrivere un romanzo ma restituire il testo teatrale e per questo motivo, pur essendo una bella lettura, si ha la percezione che solo la voce e la faccia di Ascanio possano completarla.
Pubblico anche il link al sito di Ascanio Celestini dove racconta in forma di diario come "La pecora nera" è diventato un film.

(Ascanio Celestini "La pecora nera", 2006 Einaudi)

domenica 26 settembre 2010

Alla scoperta del Negozietto



E'
una delle mie mete preferite, il mitico "negozietto" di libri e dischi usati (e nuovi), che si trova vicino a casa mia.

La zona in cui abito, alla periferia milanese, apparentemente non offre granchè, ma passeggiando per le viette laterali, appena alle spalle dei supermercati alimentari e di abbigliamento economico, si possono avere delle sorprese.
Il Negozietto è una di queste, la caverna di Alì Babà di libri, cd, dvd, vinili usati.
L'usato ha per me un fascino particolare e quando compro un volume di seconda mano vi cerco eventuali dediche, appunti (non sottolineature!), biglietti scordati tra le pagine che rivelino qualcosa della sua vita precedente.
Adoro grufolare tra gli scaffali, saltellare tra i classici della letteratura e la fantascienza, dai fumetti alla letteratura contemporanea. Non sai mai cosa troverai e a volte capitano quasi dei miracoli: come quella volta che in uno dei cestoni da un euro ho trovato "La falena" di James Cain, uno dei libri di questo autore che ho più amato, da decenni fuori catalogo. E che dire della sera in cui mi sono portata a casa il poderoso "Blonde" di Joyce Carol Oates a metà prezzo?
E ancora, romanzi che da tempo occhieggiavi ma non avevi il coraggio di comprare (e se poi non mi piace?) che improvvisamente diventano abbordabili e "rischiabili". Inoltre, dato che è possibile vendere libri oltre che comprarne, c'è la possibilità di liberarsi dei volumi che ormai non ci interessano più e di scalare qualche euro dagli acquisti. I bambini dispongono di un reparto poderoso considerate le dimensioni del locale e di recente ai libri si sono aggiunti anche i giocattoli.
Anche la musica che si trova è della più varia e l'impianto stereo del Negozietto allieta i suoi frequentatori soprattutto con rock di tutti i generi. Il proprietario (credo sia lui) si sofferma volentieri a discutere di musica e a consigliarti musicisti che a seconda dei tuoi acquisti potrebbero essere di tuo interesse.
Cosa si potrebbe volere di più?
L'indirizzo! Via dal Pozzo Toscanelli, Milano (Metropolitana Cimiano o Crescenzago)

sabato 25 settembre 2010

Segnalazione

A Roma, dal 9 al 13 ottobre si svolgerà il Festival Internazionale di Letteratura Ebraica.
Tra i partecipanti Ron Leshem, Yarona Pinhas, Erica Jong.
Il programma completo sul sito.

mercoledì 8 settembre 2010

Nessun controllo, A.M. Homes "La sicurezza degli oggetti"



siamo tutti, chi un po' di più, chi un po' di meno tutti tutti tutti completamente pazzi” (Il Teatro degli orrori “E lei venne!”)

E’ raro trovare un libro di racconti che appassiona come questo: una volta iniziato l’ho finito in un lampo, curiosa com’ero di scoprire il prossimo passo verso l’abisso pensato dall’autrice, che con terribile determinazione ed una certa crudeltà spinge i suoi personaggi oltre il limite.

La normalità non esiste e dietro i codici che adottiamo per renderci accettabili dalla società siamo tutti paranoici: le regole dettate dalla vita quotidiana, la routine del lavoro e dei riti famigliari servono solo a proteggerci dalla follia che non aspetta altro che un minimo cedimento per sopraffarci. Basta lasciare i propri figli dalla nonna per un fine settimana in un tentativo di recuperare la passione giovanile e rinverdire un rapporto amoroso o non riuscire a rientrare in ufficio per il pomeriggio o fare un giro di troppo nel  centro commerciale: improvvisamente perdiamo il contatto con la realtà ed i nostri più intimi segreti, le paure, i desideri emergono più forti della buona educazione e delle convenzioni.
Così per esempio, al protagonista di “Acchiappare i proiettili al volo” capita suo malgrado di essere tentato dai corpi di quindicenni pacchiane e ignoranti, mentre Elaine e suo marito, bravi genitori borghesi si trovano a fumare crack in salotto e, forse proprio nella casa accanto, un ragazzo s’innamora della Barbie Tropical di sua sorella e con lei scopre la sua (complicata) sessualità.

Spavalda, A.M. Homes mette il dito nella piaga purulenta e lo spinge fino in fondo, mettendosi nei panni di ragazze brutte e grasse, incomprese dalla madre ed incapaci di amarsi che si nascondono nell’armadio della biancheria o si masturbano nel giardino di casa in pieno giorno; spia una famiglia prigioniera di un figlio in coma da anni, vive la presa di coscienza di una ragazzina dell’umiliazione di genere che subisce in quanto donna ed analizza con caustica lucidità il processo che porta un bambino rapito da uno squilibrato ad adattarsi alla sua condizione di prigioniero fino ad abituarcisi completamente e vivere la liberazione come un rifiuto.

E’ disturbante, anche perchè alcune di queste storie risposte a domande imbarazzanti che temiamo di porci ("Cosa farei se...?", "Cosa succede quando...?")  ed a qualcuno potrebbe venire la tentazione di mollare un libro così forte, in cui i personaggi non godono di alcun aiuto da parte della loro creatrice, che li lascia, privi di qualunque sicurezza fisica o affettiva. Forse, come suggerisce il titolo e come sembra fare uno dei protagonisti dei racconti, restano solo gli oggetti, automobili, case eccetera, a darglii un'illusione di controllo sulle loro vite. Il lettore non può fare a meno di sentirsi parte del loro stesso vuoto e se solo ce lo concediamo possiamo scoprire di assomigliargli più di quanto vorremmo.
La vita in questi racconti è desolata ed agghiacciante, ridicola a volte nella sua verità e priva di giustificazioni e soluzioni. Si sente solo un gran freddo.

(A.M. Homes "La sicurezza degli oggetti" 2010, Feltrinelli)

giovedì 2 settembre 2010

Va dove ti porta lo spazzolone! Louise Rafkin "Lo sporco degli altri"

Quando mia sorella mi regalò questo libretto lo fece non tanto perchè io odi fare le pulizie (cosa verissima) ma per dimostrarmi che ogni lavoro, per quanto sembri brutto, può avere i suoi lati buoni. Ed è vero, se quello che fai ti piace, non importa quanto umile o poco attraente sia in apparenza la tua occupazione.
A Louise Rafkin pulire piace VERAMENTE: le piace lucidare, grattare, lustrare; le piace prendere soldi per farlo e pensa a pulire anche nel suo tempo libero. E' una professionista cosciente delle proprie capacità ed esperienza, nonché della propria dignità di lavoratrice. Le sue amiche sono donne delle pulizie come lei ed i loro discorsi vertono sul come pulire cosa, ma soprattutto sulle persone per cui puliscono. Quello è il valore aggiunto ed indiscutibile della sua professione, che le permette di venire in contatto con gli aspetti più intimi delle vite degli altri e le dà materia prima per i suoi scritti. Segue l'evoluzione dei matrimoni, l'arrivo o la sparizione di amanti, animali, raccoglie informazioni altrimenti indisponibili ad un qualunque ospite della casa e si fa un un'idea molto precisa della personalità di chi l'assume.
Ne vengono fuori quadretti esilaranti di persone completamente matte ma che probabilmente sono considerate sane di mente dal mondo tutto. Solo la donna delle pulizie conosce la verità.

Questo però è solo l'inizio. Attraverso la passione per il pulito la Rafkin esplora, con esperienza diretta o interviste agli interessati, tutte le declinazioni della propria professione, arrivando dappertutto.
Analizza le condizioni lavorative a cui sottostà la sua categoria, in gran parte formata da donne di colore o  ispaniche, magari clandestine, l'evoluzione (purtroppo anche in negativo) che ha portato una ventata di legalizzazione, non sempre favorevole alle lavoratrici. Inoltre c'illustra tutte le esperienze possibili ed immaginabili nel mondo del pulito. Per farvi un esempio, esiste un business delle pulizie sexy, cioè di uomini o donne che vi puliscono veramente la casa ma lo fanno in mutande o mutandine (o addirittura nudi). Altri si specializzano nella pulizia di luoghi delitto, altri ancora nelle opere d'arte. Nella sua incessante ricerca l'autrice s'infiltra perfino in un gruppo di “Disordinati Anonimi”, disperati che hanno raggiunto lo stadio terminale del disordine e cercano di disintossicarsi.

Man mano che l'esplorazione procede si fa anche più seria e dopo la metà del libro la parola pulizia diventa sinonimo di purificazione, ordine mentale, dei ricordi e di vita. Non si tratta più semplicemente di rendere brillanti le superfici, ma di trovare un senso profondo per sé stesse.
Louise finirà addirittura in Giappone, a lavorare gratuitamente in una comunità che fa del servizio la sua missione. Si troverà a sognare di uscire con le squadre che vanno porta a porta ad offrirsi di lavare i cessi altrui.

Le pulizie sono qualcosa di basilare nella vita di tutti i giorni e proprio per questo investono a vario titolo l'esistenza di chiunque. Grazie a Louise Rafkin ho scoperto un mondo fino ad ora ignoto e sono entrata nella testa di una persona che ama pulire, qualcosa di difficilmente comprensibile per chi considera ramazzare e spolverare una specie di supplizio e tutto sommato nel proprio disordine ci vive bene. Lo consiglio a chi fa uso dei servigi di una donna di servizio, alla donna di servizio stessa, a chi ha una fissazione per il pulito e a chi non ce l'ha proprio. Questi ultimi potrebbero addirittura cambiare le loro prerogative e sentirsi attratti da secchi e stracci. Ma non garantisco.

(Louise Rafkin “Lo sporco degli altri” 2000, Feltrinelli)

lunedì 16 agosto 2010

François Bégaudeau "La classe"

In principio fu il libro "Cuore". Poi arrivarono "Io speriamo che me la cavo" e tutta la serie di stupidari che aprirono la via alla nuova letteratura scolastica. Numerosi i professori -illustri o meno- che si sono cimentati nel racconto delle loro esperienze, chi da un punto di vista più didattico, chi più umano, da Domenico Starnone col suo "Ex Cattedra" a Paola Mastrocola, che di libri ne ha scritti molti e continua a scriverne.
Mettendoli tutti  insieme è possibile non solo avere un'idea dell'evoluzione (o involuzione) del sistema scolastico, ma anche delle modificazioni sociali che sono avvenute; la mobilitazione politica stemperata in disinteresse, ormai quasi totalmente scomparsa dalle aule, l'integrazione di allievi stranieri, eccetera, eccetera.

Al di là dell'interesse sociologico o strettamente legato al settore, questi libri rivelano la curiosità degli adulti  rispetto alle relazioni ed alle energie che si creano e si sviluppano in un ambito che pur dominato dalle loro regole è percorso da vicende che neanche sospettano e dalle quali sono innegabilmente tagliati fuori. La scuola   -soprattutto la superiore- se ci pensate è un luogo eccitante (o tale dovrebbe essere) per la creatività, l'energia, l'intrico di relazioni che si creano, si distruggono, e che spesso influenzano le nostre vite per molti anni a venire.
Starnone evidenziava come gli insegnanti s'interessassero alle faccende private, agli amorazzi e alle piccole tragedie personali degli allievi, per i quali in fondo provavano l'invidia di chi ormai si sente escluso da una serie di eccitanti possibilità, da un futuro per loro già passato.

In questo senso "La classe" è tutt'altra cosa. Non c'è infatti alcun tentativo di fare di persone reali dei personaggi nè di fatti una storia: l'interesse di François Bégaudeau è "politico", sopratutto legato alla didattica, ai metodi, al successo o al fallimento della scuola Francese. Annota brevi episodi, stralci di lezioni, dialoghi tra allievi e colleghi, costruendo un collage in cui poco a poco si fanno più chiari alcuni elementi, si evidenziano alcune figure ed i meccanismi tipici dell'ambiente, emergono le personalità di ragazzi, colleghi e del preside. Senza apparente fatica, centellinando le storie con lo stillicidio dell'anno scolastico, fino a dipingere un quadro chiaro, vivo e reale.

Ci sono ragazzi insolenti e indisciplinati, altri brillanti e impegnati. Hanno tutti problemi famigliari. Ciò che indossano parla più di loro, le felpe con scritte senza senso, le bandane, gli orecchini di plastica. I loro tic, le loro abitudini. Gli adulti sono nei dialoghi ripetitivi, nelle azioni sempre uguali, nella disperazione di dover gestire l'ingestibile.
Lo sguardo apparentemente distaccato di Bégaudeau serve a vedere la vicenda scolastica nel suo complesso, senza farsi coinvolgere (almeno letterariamente) e dilungarsi in particolarismi ed opinioni personali che snaturerebbero la sua posizione di osservatore. Le critiche sono sottili, servite con umorismo ma precise e taglienti, se uno ha orecchie per intendere.
 Ci viene mostrata una scuola alle prese con alcuni problemi comuni alla nostra, problemi a cui i singoli insegnanti tentano di dare risposta, con risultati incerti, tra impegno e scoramento. Il suo professore ha il grosso pregio di ritenere i ragazzi in grado di capire tutto e non si tira mai indietro di fronte ad alcuna domanda, ad alcuna questione, per quanto spinosa (a volte sembra quasi un manuale di consigli su come tenere la classe). Sbaglia a volte e sa di farlo e anche se ogni tanto sembra un pò troppo duro, in realtà ha sempre rispetto per i ragazzi delle sue classi e per le loro famiglie.

Forse è un libro che pochi non addetti ai lavori si sentiranno di prendere in mano e forse si tratta di un'opera un pò sopravvalutata ma se gradite l'argomento sicuramente v'interesserà . D'altro canto mi pare di capire che questo filone letterario sia fatto di tanti piccoli pezzi, tutti necessari alla visione globale.

(François Bégaudeau "La classe", 2008 Einaudi Stile Libero)

venerdì 30 luglio 2010

Leggendo in vacanza


D'estate si può recuperare il tempo perduto durante l'anno e riportarsi in pari con le letture: libri iniziati e abbandonati per mancanza di tempo o perchè erano troppo impegnativi da leggere sotto stress lavorativo, libri e libroni lunghi.
Per molti l'estate equivale a due, tre volumi, magari best sellers, da "consumare" nella beatitudine delle giornate in spiaggia, sotto l'ombrellone o nelle serate sul balcone, senza tv. Questa è almeno l'immagine che molti media forniscono anche se non sono affatto sicura che rappresenti la maggioranza.

Secondo alcuni è meglio portarsi via libri d'evasione, per distrarsi e non sovraccaricare i neuroni.
Leggere è e deve essere un piacere e quindi quest'idea mi pare perlomeno bizzarra, è come dire d'inverno leggo Proust perchè mi devo opprimere, mentre d'estate ci dò dentro con la Kinsella, che mi fa allegria.

Personalmente trovo che fare una scelta di cosa portarsi appresso sia sempre un pò drammatico. In quindici giorni si può cambiare umore, ci si può rendere conto di avere scelto il volume sbagliato e volerlo cambiare, si può desiderare improvvisamente di leggere un libro inizialmente scartato e che invece ora, a centinaia di chilometri da casa, sembra proprio la  cosa giusta da avere con sè.
Certo, le edicole marittime offrono una certa scelta, ma in generale seguono la teoria del neurone affaticato di cui sopra e possono spesso offrire sono romanzoni di scarsa qualità, d'azione, romantici e storici. Anche se, bisogna ammetterlo, talvolta di trova un prezzo di grande pregio (un introvabile Urania magari) sepolto sotto la fuffa.

Tornando alle scelte obbligate della partenza, io utilizzo una strategia di diversificazone: a meno di non avere il pallino di un certo autore in quel momento, tendo a portare almeno quattro o cinque di generi diversi, tipo un romanzo e una raccolta di racconti, uno decisamente deprimente e un altro un pò più allegro.
E' divertente poi notare che quasi automaticamente tendo a portare in ferie i libri più cupi: ricordo un'estate in cui lessi "Cuore di tenebra" e ne rimasi tanto depressa che quando mi capitò sottomano "Mattatoio 5" mi sentii quasi sollevata.
Che dire poi dello scorso anno, mi portai appresso "Soffocare" e soprattutto "Diary" di Chuck Palaniuk e la raccolta di Raymond Carver "Vuoi star zitta per favore?", come dire, una montagna di risate.

Per queste vacanze ho cercato di essere più varia possibile, ed ho approfittato dell'obbligo lavorativo per portare più libri del solito. Li potete vedere nella foto...

giovedì 22 luglio 2010

Gioco di specchi, "Twin Study", Stacey Richter


Tra tutti gli autori della raccolta "Burned Children of America" recensita qui lo scorso anno, Stacey Richter mi aveva particolarmente colpita.
Peccato che nulla a parte quel racconto ("Gli uomini delle caverne") sia ancora stato tradotto in Italia; una fortuna invece che i siti di vendita online italiani ci permettano l'acquisto dei suoi libri in lingua originale.
Stacey Richter è per me un vero talento, leggendo i suoi racconti mi vengono in mente Shirley Jackson e Joyce Carol Oates, delle quali possiede la capacità di osservare le cose dal limite, da un angolo estremo quasi fuori dalla visuale ed il coraggio di affrontare episodi tragici, spaventosi e personaggi talvolta meschini.
Le mancano invece il cinismo e la disillusione di queste due grandissime autrici, così che è in grado di affrontare una realtà straordinaria ammantata di apparente convenzionalità con grazia inaudita e senza fornire un giudizio di approvazione o condanna. Il suo sguardo è neutro, ma non disinteressato, piuttosto curioso di scoprire i confini dei sentimenti umani.
Riesce a raccontare le emozioni in modo originale ed inaspettato, dalla condivisione dell'identità di due gemelle che si scambiano esistenza quando s'incontrano per partecipare agli studi scientifici sui gemelli ("Twin Study"), al confronto con il nostro lato primitivo e con lo straniero che ci somiglia e si rivela migliore dell'uomo moderno e civilizzato ("The cavemen in the Hedges"), al rapporto con il decadimento fisico e con le persone mentalmente handicappate che fanno a meno del mondo "regolare" e forse neanche ne hanno bisogno ("The land of pain").
Particolarmente impressionante è "Blackout", forse il più nero di tutti i racconti, in cui il senso della realtà viene temporaneamente sospeso con conseguenze agghiaccianti.
Ci sono mondi alieni come lo Utah abitato dai mormoni o l'ambiente dei musicisti classici, personaggi divertentissimi come la madre di "My mother the Rockstar" (che vuole forse ricordare Madonna) o dolcemente malinconici e saggi, come la protagonista di "Young people today". Di tutti la Richter svela un piccolo segreto che ce li fa conoscere e a volte amare, a volte no.

Le sue meditazioni sono estremamente profonde e sfaccettate e passano anche da eventi fantastici per riportarci a questioni reali e quotidiane. Questi racconti non sono semplici giocattoli letterari brillanti e divertenti, ti portano naturalmente a pensare alla vita che stai vivendo.
Si tratta di storie "silenziose", ma non modeste, non piccole. Invece, molto intense.

Speriamo davvero che un editore Italiano si decida a tradurre e pubblicare la produzione di questa scrittrice, a mio avviso ne vale davvero la pena.

Vi segnalo il link al sito di Stacey Richter presente nell'elenco dei siti, nel quale troverete anche alcuni racconti inediti.
(Stacey Richter "Twin Study", 2007 Counterpoint)

martedì 29 giugno 2010

Il grande vuoto: "Nudi e Crudi", Alan Bennett


Perdere tutti i propri averi in una botta sola. Da un momento all’altro essere privati di tutti i mobili, i libri, i dischi, i vestiti. Non solo. Di tutte le fotografie, i regali ricevuti, ogni cosa scomparsa come se mai fosse esistita.

Tremendo? Spaventoso? O consolante? Alan Bennett, tra i più noti umoristi contemporanei ci fa la domanda e ci fornisce (come piacerebbe a Marzullo) la sua risposta in questo racconto esilarante.

I coniugi Ransome (trad. riscatto) al rientro da una serata a teatro trovano l’appartamento completamente svaligiato. COMPLETAMENTE. Non è rimasta neanche la carta igenica. Non senza qualche difficoltà (non hanno cellulare ed il loro telefono fa parte della refurtiva) avvertono la polizia, che senza troppa solerzia arriva sul luogo del crimine.

Da quel momento è come se la storia prendesse due strade opposte: da una parte Mrs Ransome, casalinga borghese si trova a gestire un sacco di tempo libero ed un sacco di spazio vuoto. Vincendo l’iniziale titubanza e diffidenza comincia ad avvicinarsi al mondo che sta al di fuori del suo appartamento e che blindata nei suoi averi non aveva mai conosciuto.

Al contrario il marito sembra del tutto indifferente alla scoperta della moglie e procede abitando il suo desolato appartamento come se nulla fosse accaduto.

Quanto mettiamo di noi stessi in ciò che possediamo? Quanto ci facciamo rappresentare dalle cose? E se le perdiamo, perdiamo anche la nostra identità? E se la risposta è sì dobbiamo disperarci o tirare un sospiro di sollievo? Non essere più la persona conosciamo può essere una tragedia, ma può essere l'inizio di un nuovo sè e di un riscatto a lungo atteso. In fondo tutti almeno una volta abbiamo sognato di scappare da ciò che siamo e se l'occasione non ce la creiamo, può venire da sola. L’umorismo acidissimo e surreale della vicenda dei Ransome nasconde in realtà una meditazione quasi tragica sul senso della perdita, sul dramma del tempo che passa, della morte che si avvicina e sulla possibilità di strappare qualcosa dalle sue dita. La capacità di rinnovarsi è fondamentale per sopravvivere e chi si ferma è perduto.

Serissimo e dissacrante, Bennett critica ferocemente (e con inarrivabile stile) la classe borghese e la way of life britannica, ma la storia dei Ransome ha decine di letture diverse. Per esempio, ora come ora potrebbe essere una metafora dello smarrimento di certezze economiche in un tempo di crisi; decidete voi quella che più vi aggrada. Perdete pure tutti i mobili, ma non fatevi mancare questo libro.

(Alan Bennett "Nudi e Crudi" 2001, Adelphi)

giovedì 24 giugno 2010

Nudo e crudo: "Tuttalpiù muoio" Albinati e Timi


Vedo Filippo Timi sui cartelloni che pubblicizzano un suo spettacolo a Milano. Poi eccolo ad un programma televisivo. Infine m'imbatto nei suoi libri. Mi chiedo come farà a fare tante cose. E decido di rischiare, mi compro "Tuttalpiù muoio", un romanzo semi-autobiografico scritto con Edoardo Albinati da cui Timi ha tratto anche un monologo teatrale intitolato "La vita bestia".

L'incipit è conosciuto: Filo nasce in un paesino umbro, la sua è una famiglia povera e lui, grasso e balbuziente, è da subito un piccolo emarginato, quello che fa tutte le penitenze durante i giochi e che alle feste non balla con nessuno. Cresce e si vede diverso dagli altri, si sente stretto il paesino e desidera (forse senza neanche saperlo) molto di più. Per caso inizia a recitare e poi comincia a fare sul serio. Inizia il bello.
Bisognoso di esperienza, prova qualunque cosa, in teatro fa acrobazie pericolose e non si tira indietro neanche quando scopre di avere una malattia agli occhi; inseguendo la sua fame inizia a viaggiare, studia, s'innamora, non si ferma mai, cerca, cerca, cerca redenzione, cerca gloria, cerca amore totale e una fuga dal suo passato. La sua forza ed energia, la sua sincerità e sfrontatezza conquistano, trova le parole giuste per dire cose complicate e dolorose, per raccontare l'infelicità del non sentirsi amati e neppure degni dell'amore che pur tanto ci serve, e il male che ci si porta dietro per anni come un bagaglio ingombrante ma irrinunciabile.

Un'odissea che parte da Ponte San Giovanni, vicino a Perugina e arriva a Milano passando per Roma: lui rimbalza mille volte avanti e indietro, provando e sbagliando magari sempre le stesse cose. I suoi segreti sono centellinati, sembrano emergere quasi per caso congelandoci un sorriso sulle labbra, troncando una scena surreale. Ancora a poche pagine dalla fine c'è qualcosa da scoprire.
E' una storia che in parte appartiene a tutti, quella del conto da regolare con le nostre origini, con i genitori ed i dolori ed i traumi della giovinezza.
Timi l'affronta con purezza ed umorismo, combinando episodi quasi magici (come la visita alla zia cui era stata amputata la gamba che sentiva l'arto muoversi sotto il letto) e altri duri, a volte da mettersi a piangere, altre imbarazzanti.
Filo non si nasconde, dice tutto senza paura del giudizio degli altri o voler apparire diverso da come è. In fondo è questo l'unico segreto per scrivere bene, soprattutto di sè stessi, non far sconti a nessuno, tanto meno al protagonista.
Non è chiaro dove finisca la realtà autobiografica ed inizi la finzione, ma non è certo questo l'importante. Filo ci piace perchè è simpatico e insopportabile, solo e spietato e perchè non vuole essere" buono". Ha il coraggio di affrontare la vita in modo estremo e sconsiderato come pochi osano fare.

I periodi sono brevi ma non telegrafici, dopo un punto si va sempre a capo. E tra i meriti del libro c'è anche l'essere efficacemente a metà tra narrazione e teatro: s'intuisce come il testo possa essere diventato uno spettacolo, eppure si tratta proprio un romanzo.
Per me che di rado leggo autori italiani, è stata una bella scoperta, degna di replica.
Applausi, applausi, applausi.

(Edoardo Albinati, Filippo Timi "Tuttalpiù muoio" , 2008 Fandango Libri)

Ancora...


...Mi emoziono quando vedo qualcuno sul metrò che legge "Mattatoio 5" di Kurt Vonnegut!

sabato 19 giugno 2010

Prima che tu vada: "nell'intimità" Hanif Kureishi



L'amica che mi ha prestato questo libro voleva da me un'opinione. Non riusciva ad inquadrare il personaggio narrante, l'alter ego (ma quanto alter?) dello scrittore Hanif Kureishi che racconta il travaglio della notte prima di lasciare la casa dove vive con la compagna ed i due figli.

Invece il significato di questo breve romanzo e lungo monologo a me pare piuttosto chiaro: un uomo di circa quarant'anni (ma forse qualcosa di più) rivisita la propria vita, il proprio percorso sentimentale e psicologico, perfino spirituale forse, cercando di trovare un senso a tutto il suo vissuto ed a quello che sta per fare.
Perchè è ben cosciente che il prossimo passo distruggerà un mondo, il suo ma anche quello dei figli e della compagna. Tuttavia, non vede altra possibilità per continuare a vivere. Ha la sua bolla personale, il lavoro, la vita di famiglia, i rapporti con i vicini, i colleghi di lavoro, il mondo esterno che vede in lui e nelle persone che lo circondano una famiglia normale che conduce una vita normale.
La realtà invece è quella così comune fatta d'insoddisfazione e frustrazione: l'amore ormai finito che si perpetua per convenzione e per paura tra dispetti e tradimenti, che ci si illude di poter salvare anche quando si sa bene che è finito.
Ma il desiderio di pienezza, di provare ancora quel sentimento in tutta la sua emozione, purezza, sensualità -anche se alla tua età dovresti esserti rassegnato, soddisfatto e sedato- è insopprimibile, egoista, irrefrenabile nonostante le convenzioni e la paura della sofferenza propria ed altrui.
Cosa c'è di male nel volere vivere ancora? Nel lasciare ciò che non ci serve? Nel seguire il vero amore, la vera intimità? E perchè non si può continuare ad amare come il primo giorno, con lo stesso trasporto e la stessa pazzia? I legami invece di avvicinare le persone sembrano allontanarle, soffocare i sentimenti e la loro sincerità in un mare di menzogne, di cose non dette, di piccole e quotidiane cattiverie che invece dell'amore alimentano la solitudine.

Il narcisismo ed il cinismo di questo personaggio lo rendono a tratti veramente antipatico. Eppure non si sa dargli torto. Tanto più che la stessa crudeltà che usa verso la sua compagna ed i suoi amici la rivolge verso sè stesso, giudicandosi spietatamente, riconoscendo i propri errori e le proprie mancanze.

La forma del monologo è di per sè un pò ridondante e in un paio di punti il ritmo stagna, ciònonostante si tratta di un libro che appassiona e dà uno spunto per riconoscere le piccole bugie della nostra quotidianità, per chiedersi quanto siamo veramente felici e se non vorremmo qualcosa di diverso da ciò che abbiamo.

(Hanif Kureishi "nell'intimità" 2005 Bompiani)

mercoledì 16 giugno 2010

APPELLO!

La biblioteca Italiana per i Ciechi di Monza fornisce un servizio importantissimo.
I libri in Braille sono molto costosi e non tutti i ciechi possono permetterseli. Questo vale sia per la letteratura che per i libri scolastici.
La legge finanziaria contiene tra i tagli anche i fondi per questo servizio FONDAMENTALE. Non mi esprimo sulle implicazioni costituzionali dell'abolizione di tale servizio, vi invito però a firmare l'appello al Ministro della Cultura per salvare questa Istituzione.

domenica 6 giugno 2010

LionasssoTessorg!


"La Sindrome di Tourette si manifesta con movimenti involontari del corpo e/o facciali e con tic di tipo vocale o verbale che possono variare dalla ripetizione di una parola fino all'incoercibile pulsione a proferire espressioni o parole imbarazzanti e/o volgari; si parla in tal caso di coprolalia e coproprassia. La tipologia, la frequenza e la gravità di queste manifestazioni variano ovviamente da una persona all’altra al punto che diversi soggetti con sindrome di Tourette neppure la considerano una patologia. La sindrome sembra influenzare una propensione all'attività indagativa e alla ritmica musicale: numerosi soggetti affetti dalla sindrome sono musicisti; nella biografia di Mozart e di molti altri musicisti sono riscontrabili diversi tratti tourettici. (...) L'elaborazione delle informazioni è spesso rapida, intuitiva, poco propensa a sottomettersi a passaggi sequenziali e questo talora penalizza i pazienti più giovani nelle attività scolastiche, dove la didattica imposta richiede l'adesione a modelli di pensiero poco confacenti la creatività tourettiana." (da Wikipedia)

Se (come me) non siete proprio delle cime a sciogliere i nodi di un romanzo poliziesco, se delle situazioni banali cercate di cogliere il lato insolito, se per voi il crimine è solo una scusa per conoscere personaggi nuovi e interessanti "Testadipazzo" può fare al caso vostro: c'è un'indagine che procede in modo non logico ma intuitivo, c'è una struttura di base abbastanza trita ma dagli sviluppi impensati e c'è...Lionel Essrog.
Lionel fa parte di un gruppo di orfani che Frank Minna, malavitoso newyorkese da strapazzo educa al crimine in scala minima. Beh, insomma, di crimine lui non parla mai apertamente e tutti i lavori in cui coinvolge i ragazzi sono apparentemente semplici traslochi, consegne, investigazioni private e autonoleggio. S'intuisce subito però (e lo sanno tutti) che dietro c'è molto più di quanto si vede. Quando Minna viene ucciso durante un'operazione di cui Lionel ed il suo "collega" Gilbert non conoscono lo scopo, Essrog decide con la determinazione di un bambino a cui abbiano portato via il padre di trovare l'assassino.
Questa non sarebbe comunque una cosa facile, ma il fatto che Lionel sia tourettico complica le cose in maniera esponenziale. Per lui anche ordinare un caffè può diventare una tragedia, i suoi tic verbali e fisici sono sempre in agguato e rendono ogni rapporto personale -anche il più banale- una vera avventura; non sa mai come reagirà il prossimo alla toccatina rituale sulla spalla piuttosto che ai giochi di parole spontanei ed agli insulti che il suo "Cervello Tourette" produce senza sosta. Ogni sua azione è autoanalizzata, controllata ossessivamente da lui stesso e spiegata al lettore.

L'indagine di Lionel è un'indagine SU Lionel e sulla propria mente, su come funziona e su come il mondo reagisce ad essa. Ma si rivela pure un amaro viaggio nel passato che lo porta a scoprire chi fosse realmente l'unico uomo che abbia potuto considerare un padre (ed ha avuto l'intuizione sulla vera natura della sua "pazzia").
Un uomo che lo amava ma che lo ha fatto vivere in un mondo irreale, che lo amava ma non si fidava di lui.
Affronta questo ed altri dolori, altre consapevolezze senza patetismo, senza provare dispiacere per la propria condizione nonostante le dolorose ripercussioni che ha sui suoi rapporti col mondo e per la solitudine a cui inevitabilmente lo condanna.

Lionel Essrog irrompe nei modi e nei clichè del romanzo d'indagine con l'imprevedibilità e l'anarchia della Tourette, che rende impossibili tutte quelle situazioni e quelle battute che hanno reso famosi personaggi come Marlowe e Sam Spade. Non troverete infatti un linguaggio realistico, gergale, violento, rimpiazzato da esplosioni verbali senza senso e costruzioni raffinate, al limite del gioco letterario.

Apparentemente leggero, in realtà è un romanzo che può essere apprezzato da tipi di lettori molto diversi ed ha una qualità speciale, quella di mostrarci un personaggio affetto da una malattia invalidante protagonista a pieno titolo con la propria patologia di una storia senza risvolti "didattici"o patetici. Basta questo a farlo speciale.

(Jonathan Lethem"Testadipazzo"2001 Marco Tropea Editore)



sabato 5 giugno 2010

Zona Cesarini

Mi accorgo solo stasera di questo festival Scrivere sui margini che ha luogo a Milano in questi giorni. Rimane comunque una giornata di incontri, tra cui uno con Giuseppe Genna.
Per tutte le informazioni cliccate qui...

venerdì 28 maggio 2010

"Nel frattempo..."


Vi ricorderete forse che qualche mese fa recensii su queste pagine "Men and Cartoons" di Jonathan Lethem, autore americano che ha partecipato al recente Salone del Libro di Torino per presentare il suo atteso "Chronic City".
Anche se il mio era quasi solamente un omaggio a questa raccolta di racconti (mi aveva talmente entusiasmata che non riuscivo ad argomentare), il succo era il seguente: WOW!
Oggi un altro blogger lo recensisce e anche se condivido poco di quanto scrive (soprattutto le opinioni su alcuni racconti) vi linko la sua pagina (sperando che non gli dia fastidio) per il gusto della discussione e del confronto. Due giudizi sono meglio di uno!

domenica 16 maggio 2010

Greenpeace al Salone del libro


Se mai prenderò in mano un E-book, sarà solamente per motivi ecologici. E' un oggetto che non mi attira per niente ma a volte non posso fare a meno di pensare che effettivamente, date le condizioni penose del nostro pianeta e il continuo taglia taglia della Foresta Pluviale, un modo per diminuire le dimensioni del disastro sarebbe quello di rinunciare al libro di carta.
In realtà ci sarebbero altre soluzioni.
Una sarebbe quella di sfruttare e favorire la circolazione di libri usati. Oltre ai negozi che ritirano e vendono volumi usati, esistono le biblioteche (dove spesso si trovano libri ormai creduti estinti e che però non riescono sempre ad essere al passo con l'acquisizione delle novità letterarie) il bookcrossing, che permette di leggere e scambiarsi volumi di ogni tipo a titolo completamente gratuito, consentendo anche a chi non ha grandi finanze di accedere a titoli recenti.

Sarebbe auspicabile poi pubblicare meno libri inutili, quelli -per fare un esempio- legati alla sensazione del momento televisivo o a qualche fenomeno effimero,puri oggetti commerciali che vaporizzano le loro potenzialità di vendita in pochi giorni e poi finiscono per la quasi totalità al macero.
Oppure, lo dico senza conoscerne le implicazioni tecniche, gli editori potrebbero utilizzare più carta riciclata. Ormai esistono tali metodi di lavorazione che in taluni casi è quasi indistinguibile da quella vergine.
Le case editrici hanno un ruolo decisivo in questa presa di coscienza ecologica del lettore, per questo Greenpeace ha inaugurato una campagna di sensibilizzazione prendendo in esame la produzione Italiana, proponendo a chi il libro lo pubblica un questionario attraverso il quale verificare quanta carta di quella utilizzata fosse certificata non proveniente dalla Foresta Pluviale.
Alcuni editori sono stati molto disponibili, altri (e mi duole ammetterlo, alcuni dei miei preferiti) non hanno nemmeno risposto al questionario.
Vi invito a consultare la classifica di Greenpeace, a leggere questo articolo e consultare il sito di FSC Italia, sperando di non dover arrivare a rinunciare al fruscìo delle pagine per dormire sonni ecologicamente tranquilli...


venerdì 14 maggio 2010

Salone del Libro 2010- NOTIZIONA!


Dal sito de Il Teatro degli Orrori!

READING E CONCERTO DEDICATO A KEN SARO WIWA PER IL TEATRO DEGLI ORRORI; DOMENICA 16 MAGGIO, SALONE DEL LIBRO, TORINO

All’interno del SALONE DEL LIBRO di Torino
Domenica 16 maggio
Sala Gialla
Ore 20.30

“A SANGUE FREDDO”
A 15 anni dalla scomparsa di KEN SARO WIWA
Reading e concerto de
IL TEATRO DEGLI ORRORI
dedicato allo scrittore nigeriano giustiziato nel 1995 per le sue idee

ingresso; 8 euro (biglietto di entrata al Salone)
ingresso alla sala; fino a esaurimento posti - GRATUITO
prenotazione presso il green point all’interno del Salone

Quest’anno il tema centrale de IL SALONE DEL LIBRO di Torino è LA MEMORIA. E’ stato naturale, a quindici anni dalla scomparsa di una figura importante come quella di Ken Saro Wiwa, recentemente riproposta al grande pubblico grazie anche allo scrittore ROBERTO SAVIANO, pensare a un evento a lui dedicato.

La scelta di dare vita a questo evento è caduta sulla rock band italiana IL TEATRO DEGLI ORRORI.
Non poteva essere altrimenti.
Già, perché Il teatro degli orrori nel novembre del 2009 hanno pubblicato il loro disco, A SANGUE FREDDO, dedicato appunto allo scrittore e attivista nigeriano giustiziato nel ’95.

L’evento si svilupperà in due momenti distinti: una lettura di scritti di Ken Saro Wiwa da parte di Pierpaolo Capovilla (cantante del gruppo) con sottofondo musicale de Il Teatro degli Orrori e un set di quattro brani tratti dall’ultimo disco, riarrangiati per l’occasione in versione acustica, con archi, chitarre acustiche, theremin e altri strumenti unplugged.

KEN SARO WIWA
Narratore, poeta, drammaturgo, autore televisivo, ed infine attivista politico e leader del MOSOP - Movement for the Survival of the Ogoni People: la sua battaglia per il rispetto dell'ambiente gli costò la vita.
www.remembersarowiwa.com

http://www.salonelibro.it/it/organizza-la-visita/programma/details/1849-a-sangue-freddo-reading-concerto-del-teatro-degli-orrori-a-quindici-anni-dalla-scomparsa-di-ken-saro-wiwa-tema-la-memoria-svelata.html

domenica 9 maggio 2010

Salone del Libro 2010

Le Sirene non amano particolarmente la confusione, perciò dubitano di essere al Salone del Libro 2010 che si svolgerà la prossima settimana da giovedì 13 a lunedì 17.
Il programma, che ha come tema "la memoria" pare comunque interessante: per esempio sarà ospite Jonathan Lethem, e sarà assegnato il premio del Salone (in finale Paul Auster, Amos Oz e Carlos Fuentes). Paese ospite d'onore l'India.
Se qualche lettore se la dovesse sentire di affrontare la mischia e volesse mandarci il suo reportage lo pubblicheremo volentieri...In bocca al lupo...

martedì 4 maggio 2010

8 Maggio 2010: la lunga notte dei libri a Berlino


L'8 maggio sara' gran festa per coloro che amano i libri: a Berlino si ripete la Lunga Notte dei Libri.
La 12 esima edizione si tiene, come sempre, a Kreuzberg, in Oranien Straße. Nelle librerie e nei locali che costellano la via avranno luogo letture, incontri con gli autori, per i piu' piccoli spettacoli di burattini ispirati a racconti ed inoltre mercatini dello scambio del libro. Si va avanti fino a tardi. Una festa per tutti coloro che invece del pane divorano libri. Trovate le informazioni sul sito tedesco qui

sabato 1 maggio 2010

Stranger Than Fiction


A volte la realtà diventa tutt'uno con la fantasia. Avvenimenti che potremmo trovare tra le pagine di un libro poliziesco o noir diventano tangibili, con tutte le conseguenze.
Anche se con il mio consueto ritardo, sono venuta a conoscenza di una storia curiosa e vera che ha a che fare coi libri, la letteratura e la potenza insospettata della cultura.
All'inizio di quest'anno, durante un'intervista con una giornalista di Repubblica, Philip Roth fece una scoperta: aveva in precedenza rilasciato dichiarazioni a tale Tommaso Debenedetti, che contenevano opinioni negative riguardo alla presidenza di Barack Obama.
Roth era sorpreso, non ricordava di aver detto niente del genere. Soffriva di amnesia? Sdoppiamento della personalità? Mentiva?
Niente di tutto questo. Dopo una telefonata al proprio agente letterario, lo scrittore aveva conferma di non aver mai rilasciato un'intervista del genere, tanto meno ad un personaggio con quel nome.
Roth ha fatto altre ricerche e, come è ovvio, anche i giornalisti che sono venuti a conoscenza dell'episodio. E' così emerso che Tommaso Debenedetti non solo aveva pubblicato sul quotidiano "Libero" la falsa intervista con l'autore americano, ma ne aveva scritte molte altre, tutte con scrittori importanti e conosciuti, da Gunter Grass a Nadine Gordimer a (errore non indifferente) John Grisham, e tutte inventate di sana pianta: ad esempio a John Le Carrè sarebbe stato attribuito un apprezzamento smodato per Berlusconi, dichiarazione che lo scrittore, venutone a conoscenza, ha seccamente smentito. E sembrerebbe che tutti gli scritti contengano affermazioni del genere.
Curioso, veramente curioso. Prima di tutto perchè si tratta di un bluff gigantesco che -vista la caratura delle vittime- era impossibile non venisse scoperto. Cosa voleva ottenere Debenedetti, che per altro è figlio di uno scrittore e nipote di un noto critico letterario? Anche se si fosse procurato una fama, era certo che non sarebbe durata a lungo. Almeno sui giornali stranieri. Si è trattata forse di una manovra che voleva rivalutare agli occhi degli intellettuali l'immagine di Berlusconi? Non lo so.
Se così fosse sarebbe interessante notare come la letteratura dimostra di avere ancora una certa importanza nella formazione delle opinioni, al punto che gli uomini politici sono disposti a inventarsi piani macchinosi per guadagnarsi una certa credibilità presso la classe intellettuale italiana e straniera.
Un'altra ipotesi che mi viene di fare è che Debenedetti avesse bisogno di pubblicità ed abbia trovato questo sistema per ottenere quel pò di notorietà che potrebbe occorrergli per accedere alle selezioni del Grande Fratello o per pubblicare un libro di memorie (non sarebbe il primo).
Certo, se il motivo è questo, il giornalista s'è dato un bel da fare, scrivendo false interviste e addirittura producendo dei falsi nastri con le registrazioni che promette di portare di fronte ad un giudice nel caso fosse denunciato. Cosa che è puntualmente avvenuta, anche se ora Debenedetti dice di non riuscire a trovare proprio i nastri dell'intervista a Philip Roth.
Per chi fosse interessato ad approfondire ecco il link al blog della trasmissione Alaska, che contiene a sua volta tutti i link agli articoli pubblicati su questa storia, compresi quelli del New Yorker, che ha seguito la storia dall'inizio. Buon divertimento...

martedì 27 aprile 2010

Neve, Amore Rock n' Roll: Aki Kaurismaki "L'uomo senza Passato"




Come ci avverte nella prefazione lo stesso autore, questo libro non e' un romanzo. Il film omonimo Kaurismäki lo diresse nel 2002, ed oggi Iperborea pubblica la traduzione della sceneggiatura che ne era all'origine.
Un uomo arriva una notte in treno in una citta' finlandese, con una valigia contenente i suoi averi. Tutto e' chiuso, non c'e' un bar aperto dove aspettare l'alba, e il nostro decide di appisolarsi su una panchina. Pessima idea, perche' 3 teppisti sadici lo sorprendono, lo derubano, picchiano a sangue e tentano persino di bruciarlo vivo.
Scampato per miracolo alla morte, il nostro personaggio si risveglia dal coma ma non ricorda nulla della sua vita precedente. Senza un nome, un passato, un' identita' e soprattutto senza soldi, si avventura nella parte degradata della citta' e trova amici e compassione tra poveri che abitano nei containers vicino al porto. Da qui in poi seguiremo la malinconica ed esilarante ricerca di M, come viene ribattezzato, di una nuova vita un nuovo amore e un nuovo lavoro.
Vidi il film all'epoca in cui uscì, e rimasi -come sempre capita quando si vedono I film di Kaurismäki- colpita e commossa. Nonostante gli anni e il fatto che gia' conosca la storia, questo libro si legge molto piacevolmente e lascia nel finale la stessa calda e luminosa sensazione che qualcosa di buono al mondo puo' accadere.
I dialoghi di questa sceneggiatura sono veloci, secchi, senza fronzoli come tipico dei film di Kaurismäki e proprio per questo pieni di sottile e surreale umorismo. Nonostante l'economia delle descrizioni, Kaurismäki riesce sempre ad infilare qua e la' un commento personale sui personaggi o la surrealta' di quella o questa situazione, come ad esempio quando definisce la faccia di M “da clown triste” o quando descrive con sarcastica lucidita' I tic degli impiegati bancari. Si ha l'impressione che esista una realta' parallela in cui questi matti esistono per davvero, ma a ben guardarli non sono tanto diversi dalle persone che incontriamo ogni giorno, compresi noi stessi!
I personaggi sono bizzarri ma ognuno con una morale: ad esempio Anttila, il poliziotto che affitta a prezzi da strozzino il container dove M andra' a vivere, che fa il duro, ma alla fine ha un buon senso della giustizia; la malinconica Irma, che come un fiore non troppo fresco ancora aspetta che qualcuno si accorga di lei e la porti via da una mensola solitaria e polverosa; Nieminen che salva M e lo porta dal “popolo dei containers”, i pazzi impiegati dell'esercito della salvezza, etc. La storia di per se' e' il trionfo delle piccole cose, dei piccoli momenti che cambiano la vita.
La satira di Kaurismäki critica quietamente ma con fermezza la burocrazia e le convenzioni, la loro mancanza di flessibilita' e umanita' per cui chi e' senza nome non ha importanza e un pezzo di carta vale piu' della vera identita' di una persona. Allo stesso tempo vengono premiati i coraggiosi, i generosi, quelli che non hanno nulla ma provano ogni giorno ad essere felici, insieme agli altri.
La passione per la musica e il rock-blues di KaurismÄki aleggiano qua e la' tra le pagine senza mai diventare auto citative come potrebbe essere un in libro di Hornby.
L'umorismo di Kaurismäki e' nero, sottile, impalpabile, nascosto nelle cose quotidiane, certamente non e' “visibile” a tutti. Due giorni dopo aver finito di leggere questo libro, in tv hanno trasmesso di nuovo il film, e mi ha divertito ancora molto. Trovo che questa sia una grande qualita', sia per il film che per la sceneggiatura. Sottovoce come e' suo stile, Kaurismäki ci ricorda il potere della speranza, dell'essere generosi, dell'amore e come la felicita' sia in realta', molto semplice.

(Aki Kaurismaki "L'uomo senza passato" 2009 Iperborea)

giovedì 22 aprile 2010

23 Aprile 2010

E' la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d'Autore. Quest'ultima parte non la comprendo fino in fondo, comunque è un'iniziativa dell'Unesco. Chi fosse interessato può trovare più informazioni qui.

mercoledì 14 aprile 2010

I Had a Dream


Ogni libro di Kurt Vonnegut è come uno scrigno colmo di fantasmagoriche ricchezze. Ancora oggi, dopo aver letto una decina delle sue opere rimango ammirata dalla quantità di argomenti e storie che riesce a comprimere, apparentemente senza alcuno sforzo, in una media di sole duecentocinquanta pagine, senza rinunciare a niente da un punto di vista espressivo.

In questo romanzo del 1979 troviamo: sindacati Americani, caccia alle streghe, lo scandalo Watergate, Sacco e Vanzetti, dame delle sporte, società multinazionali, storie di fantascienza e molto altro.

La vita di Walter Starbucks, nato Stankievicz da madre Lituana e padre Polacco inizia in modo singolare: il datore di lavoro dei suoi genitori (industriale ferriero balbuziente ed eremita) lo prende in simpatia e fattone il suo unico avversario nel gioco degli scacchi, decide di finanziare a sua istruzione: lo manda dunque a studiare ad Harward, l’università dove si formano i futuri burocrati di Washington. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla quale partecipa come addetto ai rifornimenti, Walter resta senza lavoro. Poi, gli viene miracolosamente offerto un posto nell’esecutivo di Nixon, nella più bassa posizione possibile. Eppure, anche lui rimane coinvolto nel Watergate e finisce in galera.

Questo è solo l’inizio di una vicenda che vede il protagonista salire, scendere e risalire la scala sociale senza meritare mai fino in fondo il bene ed il male di cui è oggetto. Walter è un burattino , volontariamente o meno, in balìa del destino e lo subisce senza lamentarsi troppo. Lo incontriamo vecchio e rassegnato, consapevole delle proprie debolezze e meschinità, in grado di ammetterle con onestà.

Lui, come Billy Pilgrim, come gli altri personaggi di Vonnegut di arrende all’inevitabilità del bene e del male e chi non lo fa ora è comunque destinato a farlo, colpito come tutti dalla vita. La mancanza di fiducia nella bontà del genere umano, il pessimismo verso l’esistenza sono alla base di questa rassegnazione, e anche se esistono persone buone e a volte vengono pure riconosciute e ricompensate, c’è sempre qualcuno che paga ingiustamente per questo.

La classe dirigente (gli Hawardiani) decide per tutti e poco importa se nei meccanismi del potere costituito rimangono stritolati casualmente (ma fino a che punto casualmente?) uomini come Sacco e Vanzetti, deboli tra i più deboli perché immigrati, veri agnelli sacrificali in una “Passione Moderna”. Pure coloro che cercano di portare uguaglianza e libertà per tutti sembrano destinati irrimediabilmente a fallire.

Come sempre Kurt Vonnegut si diverte a creare situazioni paradossali e collegare tra loro personaggi le cui storie sono inizialmente separate (c'è anche una nuova reicarnazione di Kilgore Trout) e poi, lentamente, si uniscono in un unico grande disegno, come a dire, siamo tutti parte di un’unica cosa.

Maestro di umorismo tragico, in questo romanzo si fa un po’ più rassegnato e amaro; le risate sono più rare e malinconiche del solito. Volendo vedere in una prospettiva storica questo libro, pubblicato al termine di quel periodo che aveva fatto sognare un mondo più giusto a tutti, possiamo quasi dire che si tratti di un requiem di quell’epoca, in cui l’autore confessa di essersi sbagliato, di aver sognato anche lui, di essersi illuso di un cambiamento, quando il cambiamento non esiste. Presente e passato si combinano in un flusso narrativo lontano dalla psichedelica frammentata di “Mattatoio 5” e “Le Sirene di Titano”, basato sulla logica del flashback piuttosto che sul geniale capriccio del narratore.

Si rimane stupiti dall’attualità di quanto scritto trent’anni fa in questo volume, soprattutto quando si legge la storia di Sacco e Vanzetti. Peccato sia una conferma della fondatezza del pessimismo di Vonnegut.

( Kurt Vonnegut "Un pezzo da galera" Feltrinelli, 2004)