domenica 10 febbraio 2013

Letture miste

Che i libri accompagnino i nostri stati d'animo e le nostre vicende personali è una banalità. Tuttavia, in questi giorni di confusione e depressione, mi sono resa conto che anche le mie letture sembrano seguire una linea spezzata e schizofrenica. In altre parole, mi sono resa conto che nei periodi in cui reggo bene allo stress ed ai problemi ho anche un bel libro, uno solo, ad attendermi e farmi compagnia, mentre a momenti carichi di frustrazione corrispondono anche letture frammentate e insoddisfacenti.

Ho iniziato il 2013 leggendo "The day of the triffids" di John Wyndham, un classico della fantascienza inglese degli anni cinquanta. Ci ho messo tantissimo a finirlo considerato che non supera le duecento pagine di lunghezza, e alla fine mi sono trovata delusa, tanto che non ne ho nemmeno scritta la recensione. Riassumendo i motivi del mio giudizio negativo: l'idea, il seme da cui parte la storia è brillante, geniale e ha portato nel tempo a molteplici letture che vanno dalla critica al modo in cui l'uomo sfrutta la natura, al timore delle guerre tecnologiche che si combattono (o si combattevano) nello spazio sopra la terra le cui conseguenze ultime non sono mai totalmente sotto controllo. Le prime pagine, col risveglio del protagonista in un mondo di ciechi e la sua avventura londinese alla ricerca di cibo, fino all'incontro con la giovane Josella sono abbastanza appassionanti, e fanno ben sperare. Successivamente però il nucleo narrativo perde forza e compattezza, e l'obiettivo dichiarato del protagonista di ritrovare la sua amata risulta una debole motivazione per seguirlo in un viaggio abbastanza noioso, durante il quale egli si rivela una semplice funzione di personaggio ed i poveri trifidi nient'altro che una pericolosa scenografia.  

Lasciatomi alle spalle con un certo sollievo Jonh Windham mi sono buttata su "The Hungry Tide" di Amitav Ghosh, scrittore indiano che gode di ottime critiche. Il mio docente di letteratura inglese ha inserito proprio questo titolo nel programma dell'esame universitario che devo sostenere quest'anno. Gli scrittori indiani mi affascinano e quel poco che ho letto di Salman Rushdie e Narayan mi aveva entusiasmata. Purtroppo Ghosh per ora mi sta deludendo e annoiando. A differenza dei suoi colleghi egli sembra non essere interessato a trasmettere (almeno, non in questo libro) la magia della cultura indiana, delle leggende, delle filosofie del suo paese, che nonostante la sua durezza lo rendono comunque affascinante. Nè  si dimostra interessato ad approfondirne i temi sociali che pure sono molto seri ed articolati. Nel libro è descritto un luogo dominato dal fiume -che dovrebbe essere molto evocativo- ma non sembra in grado di farne nulla. Penso al fiume di "Huckleberry Finn", di "Cuore di Tenebra", de "Il terrore corre sul fiume", in questi libri è magico, simbolico, archetipico. Nel romanzo di Ghosh non è niente di questo. Anche in questo caso la partenza non è male, i due protagonisti sembrano offrire spunti interessanti per futuri sviluppi, anche sentimentali; poi è come se tutto si fermasse e i loro caratteri rimangono appena abbozzati. Una recensione che ho letto su internet sottolinea come per la descrizione di un pezzo di stoffa di uso piuttosto comunque in India, Ghosh utilizzi la bellezza di 400 parole, mentre personalmente posso dirvi che leggere quattro o cinque pagine di descrizione di un cannocchiale professionale e di come la protagonista lo abbia scelto ed acquistato  mi ricorda di quando tradussi un romanzo Harmony in cui la scrittrice, per allungare il brodo insipido del suo racconto, aveva copiato dall'Enciclopedia Britannica una serie di pedanti descrizioni della flora e della fauna australiane, generando una serie di pagine totalmente inutili ai fini della storia. D'accordo, anche Dostojevsky partiva per la tangente qualche volta, ma era Dostojevsky e forse le sue digressioni erano più interessanti della stoffa a scacchi e dei cannocchiali professionali.

Mentre mi sottopongo a "The Hungry Tide" decido di darmi respiro con "Ieri" di Agotha Kristof, che certamente ha uno stile più consono al mio attuale stato d'animo e ben altro valore letterario. Il problema è che è così triste che mi deprimo ancora di più.
Stamattina ho preso in mano "Open", l'autobiografia di Andre Agassi consigliata anche da persone interessate alla letteratura più che al tennis. E' l'ennesima scappatoia dal libro di Ghosh, e spero mi tenga a galla mentre lo finisco, visto che per dare l'esame devo leggerlo tutto. Vi terrò informati sugli sviluppi.