mercoledì 20 giugno 2012

Sulle tracce di Timothy McSweeney, "The Best of"

Timothy Mcsweeney's Quarterly Concern è la geniale rivista fondata da Dave Eggers che negli ultimi anni ha lanciato e valorizzato tanti autori della nuova letteratura americana (e che ci piacerebbe tanto fosse tradotta in Italiano). Nata per raccogliere racconti ed articoli rifiutati nonostante una certa qualità, è diventata tanto famosa che ben presto si è trovata a pubblicare materiale scritto appositamente da autori come David Foster Wallace, Zadie Smith, Jonathan Lethem e molti, molti altri, che l'anno portata a diventare, insieme con alcune audaci e creative scelte editoriali, una vera bussola per chi abbia voglia di scoprire nuovi autori.
Dave Eggers

Questo volume raccoglie alcuni dei pezzi migliori dei primi numeri, selezionati dallo stesso Eggers: la scelta è quanto mai eterogenea, si va dal racconto surreale all'articolo di attualità, alla memoria personale.
La varietà è bella, anche se in certi casi si fa un pò pericolosa, quando venga a mancare un filo conduttore o in mancanza di questo, un'atmosfera unificante, e purtroppo c'è da dire che per parecchi degli scritti contenuti nel volume, il giudizio espresso da chi li aveva rifiutati era sostanzialmente corretto.
Non parlo del racconto di David Foster Wallace "L'ennesimo esempio della porosità di certi confini(VIII)" -che anzi è uno dei più divertenti che abbia letto di questo autore- nè del nostalgico e onirico "Gli Osservatori" di Paul La Farge o dell'esilarante "La casa mobile dell'Ipnotizzatore" di Ann Cummins, ma di altri come ad esempio "Quattro monologhi Istituzionali" di  George Saunders, una serie di comunicati, studi di fattibilità ed agghiaccianti report di esperimenti condotti su animali, una serie di esercizi di stile di scrittura formale. L'intento di raccontare storie attraverso un linguaggio totalmente "altro" rispetto a quello letterario è certamente ammirevole, anche se la lettura lascia incerti del risultato ed in sostanza non appassiona.

Nella raccolta sono inclusi diversi articoli trattano argomenti interessanti, ma che sono veramente troppo lunghi (e a mio parere scritti in modo un pò noioso): "A spasso sugli anelli di Saturno" racconta ad esempio la figura di Thomas Dick, predicatore cristiano con la passione per la scienza che produsse una serie di pamphlet a metà tra la fantascienza e la bibbia; c'è poi "Haole go home, piccoli gesti del movimento secessionista hawaiano" di Zew Borow, che illustra le varie realtà politiche autonomiste delle isole Hawai, un tema molto lontano da noi che tuttavia avrebbe dei punti d'interesse, ma che finisce per non smuovere un sopracciglio al lettore (almeno, il mio sopracciglio non s'è mosso) . Perfino un argomento decisamente interessante come Unabomber viene trattato da Gary Greenberg in maniera troppo autoreferenziale e personalistica, così che il resoconto della sua corrispondenza con Ted Kaczynsky (Unabomber, appunto), diventa una cronaca pedante ed inconcludente dei tentativi falliti di un ambizioso psicanalista di pubblicare un libro e farsi pubblicità utilizzando il nome di un criminale.
Molto più interessante anche come scrittura è "La repubblica di Marfa", di Sean Wilsey, un viaggio a Marfa, sperduta cittadina texana ai confini col Messico colonizzata da artisti ed architetti, ma che mantiene comunque il suo status e la sua atmosfera di città di frontiera alla Cormac McCarty, sperduta e lontana dalla "civiltà" moderna.

Tra i racconti, i più meritevoli -oltre a quelli citati sopra- sono il silenzioso "I giorni qui" di Kelly Feeney, "Istigazione" di Rebecca Curtis, minimo ma concreto, e "Double zero" di Rick Moody ,in cui un uomo narra le sventure della sua famiglia, dedita a molteplici attività imprenditoriali. Infine mi aspettavo qualcosa di più da "La ragazza con la frangetta" di Zadie Smith, che mi è parso un tantino superficiale.

L'eterogeneità delle scelte rende questo libro l'ideale per non scontentare completamente nessuno, e valutare gli orientamenti letterari delle persone che lo leggono: alcuni preferiranno i racconti più sperimentali, altri quelli più classici, altri gli articoli...Forse con quest'intento di libertà si è voluta assemblare la raccolta, ma personalmente l'ho trovata poco equilibrata, con forse troppi pezzi insoddisfacenti, non degna della fama di Mc Sweeney.
Ma è solo il primo volume.

(Autori vari "The best of McSweeney, volume primo" 2004 Minimum Fax)








sabato 16 giugno 2012

La signora delle ossa: "Trilogia della città di K" di Agota Kristof


Al termine del banchetto letterario arriva Agota Kristof: alcuni scrittori si sono rimpinzati di frasi articolate, altri hanno preferito un lessico lirico e fantasioso, altri ancora hanno riempito il piatto di descrizioni puntigliose e personaggi coloriti. Hanno lasciato pelle, ossa e cartilagini, periodi brevi, un solo tempo narrativo.
La scrittrice ungherese ha raccolto questi avanzi e composto una storia scheletrica e stratificata, una struttura mobile e trasparente.

All'inizio non si sa bene dove ci si trova, il racconto è limpido, gli eventi registrati, più che narrati. Due gemelli vengono portati dalla madre a casa della nonna nella città di K. Il paese è in guerra, e la nonna è una strega crudele, ma non c'è nulla da mangiare nella grande città, non c'è altro posto dove andare. Intorno a loro si svolgono vicende assurde, si muovono personaggi a volte raccapriccianti. Ma per quanto possa essere terribile, quello che accade viene semplicemente riportato con gelida precisione, senza alcun commento. Eppure l'atmosfera, priva di nomi di città e di paesi, di un riferimento temporale, è irreale, quasi una favola cattiva, oscura.
Non sappiamo ancora cosa stiamo leggendo e perchè.

Poi il guscio si apre, il bozzolo si dipana, il racconto prosegue allo strato successivo, cambiando punto di vista, mettendo insieme pezzi su pezzi, ossa su ossa, fino all'emergere di un senso che giustifica gli incubi e le visioni tra i quali s'intravvede la realtà -presunta.
La guerra finisce e la città di K rimane separata dal mondo, da una parte di mondo. Non si può andare al di là del confine.
La scrittura è sempre chiara, semplice, eppure ancora una volta ingannevole, non si può far altro che continuare a leggere, scendere di un altro scalino verso quella che speriamo essere la verità.

Agota Kristof, di madrelingua ungherese, scriveva in francese. Di questa lingua non fu mai per sua stessa ammissione completamente padrona. Forse il suo modo di scrivere derivava anche da questa circostanza. In questo caso avrebbe non solo dimostrato come per essere grandi scrittori non servano complessi apparati stilistici, ma avrebbe reso la propria debolezza una forza: dal suo linguaggio spogliato di qualsiasi intenzione poetica, di per sé freddo e affatto evocativo, è nata una storia di illusioni, separazioni ed esili autoinflitti, da cui emana la consapevolezza di un dolore così lungo, così profondo, che cauterizza e sostituisce qualunque altra emozione, e fa desiderare di non provare più niente.

Questo è il dolore degli esuli che come la Kristof hanno dovuto a malincuore abbandonare la propria patria (i riferimenti storici sono limpidi, anche se restano sempre sullo sfondo, come una conoscenza acquisita, parte ormai dei tessuti vitali dei personaggi), una ferita insanabile, profondissima, e infinita come la notte che avvolge i protagonisti di questa storia.
Non lottano né assecondano il destino, ci si adattano come se non ci fosse scelta, come se la vita fosse un binario che corre verso il nulla e dal quale non si può deviare. Non esiste speranza se non nella morte. Ciò che di crudele ed insensato fanno gli uomini è inevitabile. E quando tutto finisce non resta niente, non restano ricordi, non resta nemmeno traccia di quel dolore terribile che ha dominato tutta la vita.

Senza il regalo della mia amica Tiziana credo non mi sarei mai avvicinata ad un testo del genere; qualche volta sono stata tentata di smettere di fronte ad un racconto tanto duro, a volte insopportabile. Ma sono contenta di essere riuscita ad arrivare in fondo, si tratta di un libro straordinario, una scoperta.

(Agota Kristof “Trilogia della città di K” 2005, Einaudi Tascabili)