sabato 30 gennaio 2010

Il lunghissimo addio


J.D. Salinger è morto mercoledì scorso. Ci ho pensato un pò a questo post. Alla fine ho deciso di scrivere solo qualche impressione personale.
L'unico suo libro che ho letto (due volte, in Italiano e in Inglese) è ovviamente "Il giovane Holden", anche se ho provato (non riuscendoci) con altri.
Mi è piaciuto, ma non so perchè.
E non sono mai riuscita a comprendere fino nelle fibre il motivo per il quale tutti ritengano questo romanzo così importante. Ricordo alcuni particolari onirici, il discorso sulle anatre al Central Park, alcune notazioni di Holden sui suoi compagni di scuola, piuttosto divertenti. Ma non ci ho trovato nulla di scandaloso, come invece accadde quando venne pubblicato. Sarà che già quando ero ragazzina gli anni '60 e '70 avevano cambiato la condizione dei giovani e il sesso, la violenza e il cosiddetto "turpiloquio" non facevano più impressione a nessuno.
Probabilmente è un mio limite, probabilmente c'è un Holden Caufield in tutti gli adolescenti. Quasi sicuramente lo rileggerò.
Mi ricordo una vecchissima trasmissione di Enrico Ghezzi in cui parlava di quei divi, quelle persone famose ma così da tanto tempo lontane dalle scene che quando poi muoiono ti chiedi "Come morto? Non era già morto?". Questi personaggi, si chiedeva il Ghezzi, sono morti oggi che noi sappiamo o erano già morti, dato che li credevamo tali? Più o meno quello che ho pensato l'altro giorno...

domenica 24 gennaio 2010

Novità!


Una nuova casa editrice è nata e si occupa di comicità!
Sagoma editore debutta con due autobiografie di attori comici, Gene Wilder e sua moglie Gilda Radner, una delle protagoniste del Saturday Night Live degli anni d'oro.
Si tratta di un ambito finora poco considerato dalle case editrici Italiane e quindi se siete interessati a questo genere di testo andatevi a fare un giro sul loro sito: http://libri.sagoma.com/home/ !


giovedì 21 gennaio 2010

L'insopportabile leggerezza di Nick Hornby: "Tutta un'altra musica"


Non avevo mai letto un libro di Nick Hornby (anche se ovviamente lo conosco per la fama acquisita con "Febbre a 90" e "Alta Fedeltà"di cui ho visto le trasposizioni cinematografiche) e non so se ho iniziato da quello giusto.
"Tutta un'altra musica"(traduzione un tantinello ruffiana e totalmente senza senso del titolo originale "Juliet, Naked") è un libro scorrevole, con una storia discretamente prevedibile che nonostante le sue 316 pagine si legge facilmente e piacevolmente.
Non molto di più. Non voglio dire che Hornby scriva male o che io mi sia annoiata a morte leggendolo (giusto un pochino). Però arrivata alla fine mi sono chiesta "Ma perchè l'ha scritto?"

Un momento, andiamo con ordine. Inghilterra, oggi: Annie e Duncan hanno circa 40 anni, stanno insieme con ben poco amore e parecchia sopportazione da 15. Lui è fanatico di un oscuro musicista -Tucker Crowe- che da molto tempo si è ritirato dalle scene e trascina lei dovunque vi siano tracce del suo idolo. Ma ormai il rapporto è logoro, ed Annie se ne rende conto, mentre Duncan lo ignora o fa finta di ignorarlo. Le cose "precipitano" quando il nuovo album di Tucker Crowe viene pubblicato e le loro opinioni su di esso sono divergenti: improvvisamente la frattura nella tranquilla routine della coppia diventa visibile, la crisi entra in un momento culminante e molte cose (forse) cambieranno.

Questa in breve la trama, che potrebbe essere interessante. Ma cos'è allora che non funziona? Che in 316 pagine non c'è evoluzione, non c'è approfondimento, non c'è cambiamento.
Un esempio semplice semplice: Annie vorrebbe avere un figlio e l'idea di aver perso 15 anni con un uomo palesemente inadatto alla paternità, che le ha succhiato un sacco di energie, la deprime. Ma neanche tanto. L'argomento non viene mai adeguatamente sviscerato. Il bisogno di essere madre è allora qualcosa di vero, di profondo o un espediente dello scrittore per far sentire coinvolta la lettrice? Insomma, quando una donna di una certa età decide che vuole rimanere incinta si fa delle domande, a volte stupide, ma si tratta di un pensiero che si presenta costantemente.
E la coppia: si accenna in modo vago a come si è formata, ma non viene riportato un ricordo, un flashback, un momento di vera felicità (anche solo per motivi statistici, ci sarà pur stato), non si dice nulla dei suoi componenti, del loro passato (come mai Duncan è così stupidotto e superficiale?), del momento in cui la protagonista ha incominciato a sentire che qualcosa non andava per il verso giusto, delle sensazioni che si provano quando un rapporto si sfilaccia, quando l'altro, quello (quella) che rendeva reale la vita (o pensavamo potesse farlo) comincia lentamente a perdere sostanza fino a diventare quasi trasparente.
Questo solo per descrivere due delle sensazioni più forti che ho avuto.
Mancano quasi totalmente (ma è questione di gusto) descrizioni di persone e luoghi (bello, brutto, grande, piccolo ma poco altro) e tutto sommato le parti più interessanti sono quelle in cui Hornby parla dell'ossessione di Duncan, probabilmente perchè parla di sè.

Delle decine di personaggi raccontati, quasi tutti sono abbozzi, macchiette che hanno potenzialità ma compaiono una volta e poi ritornano nell'oblìo senza lasciare una traccia, dopo aver dato un contributo alla storia. Gli stessi protagonisti sono poco più che funzioni: Annie è la quarantenne senza figli che vorrebbe (forse) averne uno, Duncan l'uomo sciocco incontrato per caso e col quale si è speso più del tempo necessario, Tucker l'uomo vissuto con tanti errori nel suo passato e poche illusioni per il suo futuro. Ma non si va mai a fondo di questi caratteri, si vuole creare l'illusione di stare affrontando domande epocali per i quarantenni di oggi, ma è tutto molto superficiale.
Ci sono di mezzo tradimenti, figli abbandonati, cose grosse che non trovano uno sfogo, ma rimangono schiacciate dalla buona educazione o dall'indifferenza degli uni verso gli altri.
La comunicazione avviene attraverso abili battute che vorrebbero costantemente sdrammatizzare le situazioni (un vero esercizio di stile!), come se tutti fossero terrorizzati (come se il loro creatore fosse terrorizzato) all'idea di affrontare VERAMENTE i conflitti. E' troppo perfino per un Inglese.

Nel complesso si ha l'impressione di assistere ad una di quelle commedie Britanniche sullo stile de "Il diario di Bridget Jones"(che per altro era una rilettura di "Orgoglio e Pregiudizio" di Jane Austen), leggere ed innocue, con tanto di battuta dopo i titoli di coda. Anzi, mi spingo a pensare che tutti questi buchi siano in realtà spazi che un produttore cinematografico sia già stato invitato a riempire. Last but not least, a volte sorge il dubbio che il manoscritto sia stato privato di alcune parti e male editato, millantando misteri a cui non vengono date risposte.

Se in "Alta Fedeltà" si appassionava ai vinili, ora Hornby si mette furbamente al passo coi tempi e parla di mp3, Wikipedia e forum di fans, ammiccando forse ai suoi lettori più affezionati che nel frattempo come lui si sono "evoluti". Spargendo ad arte riferimenti musicali comuni (Bob Dylan, Bruce Springsteen...) e qualche chicca di "sensibilità" maschera la meccanicità del libro e prova a costruire uno specchio in cui anche il neofita possa pensare di riconoscersi.

Come ho scritto all'inizio, è il primo libro che leggo di questo autore, dunque mi aspetto di essere smentita appena avrò pubblicato la recensione. Però non credo che ne comprerò altri.

Se volete leggere un'opinione diversa dalla mia, cliccate QUI e QUI

(Nick Hornby "Tutta un'altra musica" 2009 Guanda)

lunedì 18 gennaio 2010

Panico!!!!

Stamattina, arrivata alla stazione del metrò, quando ormai era troppo tardi per tornare di sopra, ho scoperto l'atroce verità...HO DIMENTICATO A CASA IL LIBRO CHE STO LEGGENDOOOO!!!!

mercoledì 6 gennaio 2010

Una risata vi seppellirà: Fredric Brown, "Marziani, Andate a casa!"


Se Frank Zappa avesse posto la domanda "Does humor belong to science fiction?" Fredric Brown avrebbe certamente risposto sì. La sua, di tutte le invasioni aliene immaginate da cineasti, disegnatori di fumetti e scrittori, è la più letale e spassosa: piccoli uomini verdi armati non di temibili arsenali o raggi mortali ma di una carognaggine senza pari ed un desiderio d'infastidire il prossimo veramente "da una altro pianeta".
L'invasione inizia una sera di marzo, quando la porta della baracca nel deserto californiano dove Luke Deveraux -scrittore dalla sbronza facile in crisi creativa- si è rifugiato per scrivere un romanzo di fantascienza, risuona dei colpi di un visitatore, che si rivela essere un marziano terribilmente curioso e fastidioso, al quale non si possono porre domande di alcun tipo (la risposta sarà invariabilmente "Non sono affari tuoi, Mack") e capace di far perdere le staffe ad un santo lobotomizzato.
Luke decide che è meglio tornare in città e quello che trova al suo arrivo è spaventoso: i marziani sono dovunque: con i loro poteri sono in grado di scoprire tutti i segreti degli uomini e non vedono l'ora di creare scompiglio. In breve portano l'umanità alla disperazione.
Nessuna attività è più possibile, nè lecita nè illecita. Non si può combattere una guerra, fredda o meno, perchè i marziani spifferano tutti i segreti militari ai contendenti, rendendoli inutili. Non si possono trasmettere programmi radiofonici o girare film perchè i marziani disturbano e mettono in ridicolo qualsiasi copione. Non si può neppure fare sesso, perchè i marziani adorano spiare gli accoppiamenti degli umani, e possono vedere anche al buio, sotto le coperte.

Più di tanti saggi critici ed antropologici e di tante teorie filosofiche e religiose sulla caducità della vita, questo romanzo di Fredric Brown analizza e mette in ridicolo la nostra e qualunque altra società, la smonta pezzo per pezzo evidenziandone (con una punta di compiaciuto sadismo) le meschinità e le debolezze. Anche nell'uomo più serio e potente si nasconde un fesso ("Fesso tu, Mack!") incapace di affrontare il ridicolo.
Nulla li può colpire e loro non fanno niente di fisico per danneggiare gli uomini. Si limitano ad osservarli e sbeffeggiarli. Non si può sconfiggerli con nessun'arma conosciuta, neanche le teorie da "La guerra dei mondi" valgono con loro. Il miracolo di Pulcinella, che batte i prepotenti disorientandoli e prendendosi gioco di loro si allarga al pianeta, mettendo in ginocchio l'intera umanità.
E' divertente vedere lo status quo e la logica che lo ha generato ridotti a pezzettini ed immaginarsi cosa potrebbe accadere anche adesso se un'invasione del genere dovesse concretizzarsi. Provate a pensarci un pò.
Ma Brown fece di più: nel 1955, all'apice di una stagione in cui la fantascienza viveva la sua età dell'oro, non escluse nemmeno sè stesso e la sua categoria da questa gigantesca burla, mettendo in guardia gli scrittori dalle illusioni da loro stessi creati: nel libro all'arrivo dei marziani, la letteratura fantascientifica scompare, rimpiazzata dal genere western. Ed in effetti è proprio ciò che è accaduto a questo genere quando il futuro è diventato presente e l'immaginazione ha ceduto il posto alla deludente realtà, quando negli anni non si sono materializzate le speranze ma sono scomparse le illusioni e le fantasie di quegli anni.

Purtroppo questo libro è praticamente introvabile, io stessa l'ho avuto in prestito dal mio fornitore di fiducia, grande appassionato di questo scrittore. Una storia tanto originale e divertente varrebbe la pena di essere ripubblicata!

(Fredric Brown "Marziani, Andate a Casa" 1999, Classici Urania Mondadori)