sabato 19 ottobre 2013

Canis Canem Est

Ieri scartabellando tra i miei file ho trovato alcuni schizzi che ho fatto per uno spettacolo di burattini ispirato a "Cuore di Cane" Mikhail Bulgakov. Anche se hanno già un paio d'anni continuano a piacermi e a rappresentare l'atmosfera cupa e surreale del racconto. Almeno per me.
Studio per la trasformazione di Pallino da cane a uomo

Studio per la locandina dello spettacolo. Noterete l'ispirazione grafica di Rodchenko...

domenica 6 ottobre 2013

Fallimenti di successo: "Il grande ritratto", Dino Buzzati

C'è una fantascienza da tempo fuori moda in cui il progresso tecnologico e la scienza vengono scrutati con timore e curiosità, in cui all'emozione e all'interesse per le novità che porterà il futuro si contrappongono le paure dell'uomo che si troverà ad affrontarli. A questo filone appartengono alcuni racconti di autori dell'ottocento e dei primi decenni del novecento; un nome per tutti è quello di Mikhail Bulgakov, che con “Cuore di Cane” e “Le uova fatali”, non solo produsse una tagliente satira della Russia dell'epoca (1925) ma espresse anche la segreta angoscia per l'affermazione di un mondo in cui la scienza diventava sempre più preponderante e aggressiva, votata all'inseguimento di oscuri obiettivi di potere sull'uomo e sulla natura. Sono questi racconti che si concentrano non tanto sugli aspetti tecnici degli esperimenti quanto sulle loro conseguenze, per lo più nefaste.
In questo filone in cui la natura e la materia inanimata e fredda si scontrano, prevalentemente europeo, si può inserire in parte anche “Il grande ritratto”, un racconto lungo di Dino Buzzati in cui le macchine danno corpo alle ossessioni dei loro costruttori, diventando uno specchio che rimanda un'immagine deformata e mostruosa. Pubblicato nel 1960 non ha velleità satiriche, al contrario si concentra su temi tipicamente Buzzatiani legati all'inconscio, alla morte, all'erotismo, alla paura di essere sopraffatti da qualcosa di oscuro, che sfugge ad ogni controllo. La vicenda è ambientata in montagna, in un'immaginaria Val Texeruda, dove un segretissimo impianto militare è stato costruito da alcuni scienziati ed è gelosamente custodito dall'esercito italiano. Il professor Ismani viene invitato a lavorarci, e sebbene non gli venga rivelato il suo compito, decide di accettare. Parte quindi con la moglie Elisa e dopo un viaggio lungo e misterioso raggiunge la valle, dove incontra i suoi colleghi Endriade (il capo del progetto), Strobele e la di lui moglie Olga, sua ex allieva al liceo. Di più, per correttezza verso i lettori non posso raccontare, perchè in effetti la storia è molto breve. Non si tratta di un capolavoro, anzi: l'abilità narrativa di Buzzati qui inciampa lasciandoci in bocca l'amaro di personaggi poco caratterizzati (tranne Olga ed Endriade, stereotipi abbastanza classici), di situazioni a volte poco originali o irrisolte che avrebbero potuto generarne altre molto interessanti, di una narrazione poco organica, quasi sfilacciata e non da ultimo di un finale consolatorio. Nonostante tutto questo, l'idea di trasformare la vita in qualcosa di morto per poterla perpetuare all'infinito è affascinante e spaventosa, e l'immagine della montagna contrapposta alla mostruosa opera mimica e devastante dell'uomo, molto forte. Troviamo in questo racconto elementi che torneranno in seguito (il luogo isolato, la solitudine, la missione misteriosa, il protendersi verso un tempo indefinito che ritroveremo ne “Il deserto dei tartari”) ma che restano sigillati come boccioli di fiori maligni non schiusi, quasi che lo stesso autore non abbia avuto il coraggio di spingersi oltre il limite. E' piuttosto evidente che questo libro, nonostante la predilezione di Buzzati per i racconti brevi, avrebbe dovuto e potuto essere ben più corposo, per dare spazio ai desideri dei personaggi, caricare al limite l'atmosfera oscura che comunque si sprigiona -anche se in modo discontinuo- dalle pagine.
Sono da notare alcune scelte linguistiche inconsuete, come l'uso del passato remoto e del presente indicativo in due frasi consecutive che descrivono lo stesso istante, con un effetto quasi cinematografico di campo e controcampo.
“Il grande ritratto” è un libro letterariamente modesto, ma è pur vero che un'opera poco riuscita come questa, con le sue imperfezioni e “reticenze” dice forse molto più dell'autore, delle sue inquietudini e dei suoi turbamenti, di quanto non facciano a volte lavori molto più riusciti.


(Dino Buzzati “Il grande ritratto” , 2004 Mondadori)