venerdì 30 dicembre 2016

Omissis

I percorsi delle letture seguono inevitabilmente le nostre vicende personali. Ciò che viviamo non influenza solo la scelta di cosa leggere, ma anche l'effetto che i libri avranno su di noi, se ci piaceranno, quale segno lasceranno e, addirittura, se li finiremo oppure no.
L'anno che si sta concludendo è stato bizzarro e fastidioso e ben poco è andato secondo i miei piani. Tanto per fare un esempio, l'estate 2016 doveva essere consacrata alla lettura di Flannery O'Connor  
-della quale ho recuperato buona parte degli scritti di narrativa- ma alla fine non ho aperto nemmeno uno dei suoi libri; ho cominciato invece una goffa ricerca di stili e visioni diverse da quelle a cui sono abituata. I risultati sono stati spesso imprevedibili, strani, e alla fine di molti libri non ho scritto niente sul blog. Perfino di alcuni che ero sicura avrei recensito meravigliosamente. Non dirne proprio niente però mi sembrava brutto, quasi omertoso. Ecco allora, in ordine sparso, i libri perduti del 2016.

Stoner di John Williams: una storia limpida, una scrittura minimale che sembra nascondere più che rivelare, un personaggio che segue il suo destino senza la minima ribellione. E' stato il caso letterario degli ultimi anni, se ne è scritto un sacco ed è stato pubblicato un saggio filosofico dal titolo "La saggezza di Stoner". Non so bene perché, ma dopo averlo finito mi sono sentita svuotata, e mettere insieme le mie impressioni è stata un'impresa più grande di me. Mentre leggevo la vita del professor William Stoner sentivo che qualcosa mi sfuggiva, che tutta quella pulizia, quelle frasi brevi e chiare che non alludono a niente sono solo uno specchio, una distrazione. Non ne sono ancora venuta a capo, lo rileggerò.

Churramabad di Andrej Volos: i racconti che compongono questo romanzo sono collegati dalla terra, un luogo di confine tra Afghanistan e Cina, storie di famiglie e interi popoli, e di come
la convivenza di culture e religioni possa mutare in strage. Per quanto affascinante e ben scritto, l'ho dovuto interrompere, ritrovare nelle pagine la stessa ferocia che dilagava nel mondo mi faceva stare male.

WilliamTurner "The burning of the houses of londs and commons" 
Acciaio contro acciaio di I.J. Singer: conoscere il fratello di Isaac Bashievis Singer attraverso questo libro non è stata una buona idea. Binyamin Lerner è un personaggio interessante, la storia della sua diserzione affascinante e Varsavia presa dai tedeschi poco prima della rivoluzione Russa ribolle come un pentolone delle streghe. Eppure il romanzo non prende forma, lascia la sensazione di qualcosa d'incompleto, tagliato e aggiustato in modo da conservare una narrazione coerente, ma (purtroppo) senza troppa convinzione. Peccato, perché qui dentro ci sono personaggi e quadri memorabili, e avrebbero meritato di più.

Quando siete felici, fateci caso di Kurt Vonnegut: prima del famoso discorso di Steve Jobs a Stanford ci fu il famoso discorso di David Foster Wallace a Kenyon (pubblicato in volume col titolo "Questa è l'acqua"); da allora le università americane fanno a gara per avere grandi personaggi che tengano famosi discorsi ai neolaureati. Anche Kurt Vonnegut apparteneva a questa schiera e qui troviamo alcuni dei suoi migliori, illuminati predicozzi. Non riesco a immaginare un modo migliore di festeggiare il giorno della laurea che ascoltarne uno e nell'attesa li uso a scopo medicinale, per tirarmi su di morale.

Chi ti credi di essere? di Alice Munro: è un premio Nobel, i suoi racconti sono a dire poco perfetti, ma la storia di Rose, attrice dalle origini poverissime, non mi ha affatto entusiasmata. Anche dopo aver ascoltato una lezione di Bruna Miorelli su questo libro continuo a ricordarne la lettura come l'attesa infinita di una pagina che mi appassionasse, di un'emozione che mi sollevasse dallo scorrere uniforme dei racconti. Forse è troppo perfetta, Alice Munro, o forse (quasi sicuramente) io non ho capito qualcosa.

L'Angelo sigillato- Il viaggiatore incantato di Nikolaj S. Leskov: di questo libro non ho scritto perché non credo di esserne in grado. Nonostante la bella e corposa introduzione di Pia Pera, è evidente che in queste pagine c'è una tradizione talmente stratificata, una cultura così ricca e uno scopo che va al di là del narrare e diventa storico, di documentazione e omaggio alla "russità", che ci sarebbe voluta una preparazione in storia della letteratura russa decisamente maggiore. Leskov era contemporaneo di Tolstoij, ma non sembrava ambire alla narrazione grandiosa e universale delle vicende e dei sentimenti umani, si concentrò invece sulla cultura e i personaggi del suo paese. I suoi racconti sono come quadri che rappresentano l'unicità della Russia e del suo popolo con gli stessi colori brillanti e la tecnica sapiente delle icone che lui stesso studiò a fondo.

sabato 3 settembre 2016

M.P.

Credo di non aver mai scritto un post d'addio per uno scrittore, ma oggi lo faccio perché l'autrice che voglio ricordare era un'amica. Frequentavamo lo stesso corso di scrittura e avevamo collaborato a un paio di volumetti auto pubblicati delle Penne di Pollo. Era una donna estremamente in gamba, che aveva fatto delle scelte affatto scontate, guidate dal desiderio di seguire i valori in cui credeva. Aveva pubblicato un libro lo scorso anno e prima di andarsene è riuscita a finirne un altro che spero arriverà in libreria. Condividevamo l'amore per la letteratura anche se i nostri gusti erano molto diversi. Quando ci siamo salutate l'ultima volta non potevo pensare che non l'avrei rivista. Mi sembra incredibile.

lunedì 15 agosto 2016

Deserti: Giorgio Falco "L'ubicazione del Bene"

Non è cosa facile raccontare la vita della nuova provincia, non più centrata sulle certezze del piccolo paese e della comunità ristretta e priva di storia, abitata in gran parte da chi si adatta alla deportazione volontaria in aree pressoché isolate per poter comprare casa o comprarne una più grande. E' questo un ambiente dominato dalle linee rette dei capannoni industriali che invadono la pianura contadina in estinzione, molto meno vario in architetture e popolazione delle strade cittadine; leggere sotto la sua superficie è complesso e se si manca l'obiettivo, il racconto rischia di diventare una semplice cronaca che perde efficacia in un tempo relativamente breve (gli anni 80 dello scorso secolo ci sono di monito).
Giorgio Falco approfitta di questa monotonia e vi legge i segni del presente, partendo dal mondo limitatissimo dell'hinterland che circonda Milano, i cui centri vitali sono costituiti da grumi di villette a schiera, centri commerciali, Ikea, McDonald e aree industriali, collegati da un sistema circolatorio di tangenziali e strade provinciali perennemente intasate ,che vi pompa un flusso continuo di uomini e donne o -meglio- di consumatori.
In questi spazi lontani dalla metropoli, che non sono città e neanche campagna, le persone perdono riferimenti geografici, morali e la loro stessa identità: bloccati in automobile in coda a uno svincolo, isolati nei loro appartamenti, allontanati dalla vita, pensano di desiderare qualcosa, agire e scegliere. Accecati dai falsi idoli dell'omologazione sociale modellano la propria esistenza su relazioni stereotipate e stucchevoli, dicerie televisive su cosa l'amore dovrebbe essere e l'idea di un successo lavorativo che sospende la compassione e serve a pagare il mutuo. Si adeguano alle mode e alle aspettative altrui e resistono all'infinito, in attesa di una catastrofe -che prima o poi- arriverà, l'attacco nemico alla Fortezza Bastiani.
Le storie dell'immaginaria frazione di Cortesforza (delineata da Falco con agghiacciante precisione) narrano fallimenti professionali, sentimentali, umani. E pur seppellite, silenziate dietro finestre sbarrate e allarmi anti-intrusione, ci circondano, pronte a diventare una notizia di cronaca nera locale che farà emergere dal nulla le Brigadon di cemento e recinzioni metalliche, almeno fino a quando la noia degli spettatori televisivi le affonderà nuovamente nell'oblìo dopo l'ennesima intervista ai vicini di casa in canottiera e ciabatte, tutti invariabilmente sorpresi dall'accaduto: “ Era una famiglia normale”, “Era una persona gentile”.

Questo paesaggio fisico e morale viene offerto al lettore attraverso immagini gelide, nitide e affilate che diventano uno specchio orribilmente limpido in cui guardarsi e contemplare la verità. La sua analisi è tanto impietosa da risultare talvolta asettica e Cortesforza potrebbe essere un pianeta lontano, abitato da zombie o vittime degli ultracorpi, creature disperate a cui è stata mangiata l'anima. La morte interiore dell'uomo è simboleggiata dal suo rapporto con la Natura: annichilita, vessata, crudelmente sfruttata e sottomessa nell'inutile tentativo di sentirsi in controllo o per la soddisfazione di bisogni frivoli e profitto, è sempre presente, nel paesaggio martoriato dai capannoni e attraverso gli animali, simboli dell'innocenza primordiale dell'uomo, della sua spiritualità, continuamente tradita. Più gli uomini si allontanano dalla luce e precipitano nella follia, più stupide e crudeli si fanno le loro azioni verso gli animali.

“L'ubicazione del bene” è un volume di poche pagine, ma per leggerlo ci vuole fegato, per arrivare fino in fondo e accettare che l'Italia, il mondo occidentale, che tutti noi purtroppo siamo anche questo.


(Giorgio Falco, “L'ubicazione del bene”, 2009 Einaudi Stile Libero. Attualmente fuori catalogo, si trova facilmente in biblioteca, in ebook e, con un po' di fortuna, nei negozi d'usato)

mercoledì 15 giugno 2016

Just Kids: John Ajvide Linqvist "Lasciami entrare"

All'inizio degli anni 2000 il mito del vampiro è stato rispolverato da abili autori che, esaltandone il lato romantico a beneficio di centinaia di migliaia di adolescenti (e delle loro tasche), gli hanno dato nuovo lustro e popolarità. Nel 2004, appena un anno prima che scoppiasse il fenomeno “Twilight”, in Svezia veniva pubblicato un romanzo che trattava un tema simile, anche se in maniera molto diversa. A parte l'età dei protagonisti, un po' più giovani e più emarginati degli omonimi americani, il nucleo portante di “Lasciami Entrare” non è infatti una storia d'amore né, come potrebbe sembrare all'inizio, di bullismo scolastico in una cornice gotica. Invece, racconta qualcosa di molto più ampio e terribile, ovvero della violenza perpetrata e perpetuata sui bambini, da sempre.

Blackberg è un quartiere periferico di Stoccolma progettato per ammassarvi il proletariato più disagiato e povero. In uno degli squallidi palazzi vicino al bosco abita un ragazzino introverso e pauroso, Oskar: vive con la mamma e a scuola è preso di mira da alcuni compagni che lo sottopongono a violenze fisiche e psicologiche; nel tempo libero si abboffa compulsivamente di dolci, commette qualche piccolo furto, colleziona articoli di giornale sui delitti più sanguinosi ed efferati e sfoga la rabbia per le umiliazioni subite pugnalando tronchi d'albero.
Una sera, nell'area giochi di fronte a casa, conosce una strana bambina appena trasferitasi nel palazzo di fianco al suo: anche se è molto freddo porta solo una sottile felpa, ha i capelli molto sporchi, ma in compenso è agilissima e fa dei salti spettacolari. Non ci vuole molto perché i due bambini diventino amici, e i loro incontri un'abitudine quotidiana. Da qui la narrazione si allarga progressivamente come un'inquadratura cinematografica, mostrando lo scenario tremendo che li circonda, in cui tutti i bambini e i ragazzi sono vittime delle scelte, delle perversioni e soprattutto dell'inettitudine degli adulti: anche quando questi ultimi non costituiscono un pericolo immediato, sono comunque incapaci di ascoltare i piccoli, di osservarli e di proteggerli dal male che sembra essere ovunque. Il morso del vampiro che si aggira per Blackberg sembra un male minore di fronte alla vita nel quartiere. E forse il fatto che tutte le sue vittime siano adulti è proprio sintomo di rabbia e impotenza dei bambini che vengono da un tempo remoto e trovano finalmente sfogo e vendetta.
Una scena dal film svedese del 2008 tratto da "Lasciami entrare",
del quale coglie perfettamenete l'atmosfera

La prima parte del romanzo è sicuramente la più coinvolgente, la descrizione della vita quotidiana dei vari personaggi, brillantemente delineati, crea immediatamente un'atmosfera di tensione. Uno dei più riusciti è senz'altro Hakan, il pedofilo: più raccapricciante e disgustoso del professor Humbert Humbert di “Lolita”, è un personaggio a tutto tondo, combattuto tra vergogna di sé e impulso perverso. Tutti lo credono il padre della piccola Eli, l'amica di Oskar, ma in realtà ne è “innamorato”, ed è l'unico a conoscere la sua reale natura. Hakan trasmette un senso di genuino orrore, le pagine che lo riguardano sono lette con ansia, aspettando le sue mosse con inutile sentimento di protezione verso i ragazzi e terrore in attesa che accada il peggio. All'estremo opposto c'è Staffan, un personaggio forse più prevedibile, dal quale comunque ci si aspettano comportamenti disturbati: poliziotto retto e ligio alla sua missione, che sotto la devozione cristiana e il senso del dovere nasconde una natura irosa e violenta, sta per diventare il patrigno di un amico di Oskar, Tommy, rimasto orfano da poco.
Ma è Eli la vera protagonista del libro: anche quando Lindqvist non si concentra su di lui è sempre presente, nei pensieri di Oskar, nelle azioni di Hakan, nelle indagini della polizia. E' un essere polimorfo che muta continuamente: ragazzina, vampiro, animale e androgino, vittima condannata per una colpa non sua, disperata creatura che cerca di restare viva senza nuocere al prossimo; le sue trasformazioni sconcertano Oskar, che talvolta reagisce con disprezzo e rifiuto e altre volte con tenerezza. Il rapporto d'affetto tra i due ragazzi si consolida attraverso una serie di prove terribili fino a sostituire tutti gli altri e a diventare loro salvezza e unica via d'uscita da Blackberg. I “grandi” sono personaggi minori e a volte rischiano di risultare addirittura inutili, come il gruppo del ristorante cinese -un'accolita di disoccupati, alcolisti e sbandati- coinvolto in qualità di vittime negli omicidi che servono a mantenere in vita Eli. La loro presenza fornisce il punto di vista incredulo del mondo adulto e razionale, che -al contrario di quello dei bambini- non prevede l'esistenza dei vampiri. Tuttavia, le loro vicende col procedere delle pagine diventano una pesante zavorra, e si ha spesso la tentazione di saltare interi capitoli.

La scrittura è scorrevole e piacevole: decisamente più coinvolgente nella prima parte, diventa molto fredda e meccanica nella seconda, col probabile obiettivo di esaltare gli eventi più truculenti evitando riflessioni che potevano suonare sentimentali o patetiche. L'immaginazione di Lindqvist e la sua abilità nel costruire i personaggi sono il vero punto di forza del libro, tanto da far perdonare qualche caduta nella credibilità delle situazioni che tradisce un'immaturità del tutto perdonabile, viste l'originalità della storia e la capacità d'indagare a fondo anche gli aspetti più terribili delle vicende con un punto di vista originale e coraggioso.
Si tratta di un libro i cui meriti vanno al di là della qualità letteraria -pur buona. Devo sottolineare che questo è il primo romanzo dello scrittore svedese, al quale ne sono seguiti diversi altri. Sarebbe interessante scoprire l'evoluzione del suo stile e delle sue storie, e viste le premesse c'è da aspettarsi legittimamente qualcosa di ottimo.
(“Lasciami Entrare” di John Ajvide Linqvist, 2004 -prima edizione italiana 2006- Marsilio Editore)



sabato 2 aprile 2016

This is Book Pride!

Eccomi di ritorno da Book Pride col mio bottino e tanti desideri rimasti sui banchetti.
Nella sede di quest'anno presso lo spazio Base in via Bergognone c'è sicuramente molto più spazio, girare è decisamente più comodo, e credo ci sia qualche espositore in più dello scorso anno.
Il consiglio è di approfittare di quest'occasione per esplorare la produzione delle case editrici meno conosciute e magari più difficili da reperire nei negozi di Milano, anche se ammetto che resistere al richiamo di editori come l'ormai affermatissima Minimum Fax è difficile.
Tra i miei acquisti segnalo "Salvi!" di Safarà Editore, un libro sui rifugi per gli animali scampati all'industria umana e "Bastarde senza gloria", poesie invettive pubblicate da Sartoria Utopia, una "capanna editrice" -come la chiamano le sue creatrici Manuela e Francesca- in cui i libri vengono legati a mano.
Altri editori interessanti: Del Vecchio Editore, L'orma, NN, Infinito. Ma ce ne sono veramente tanti.
Avete ancora 24 ore per visitare Book Pride!

martedì 22 marzo 2016

Book Pride 2016

Evviva! Un'altra fiera di editoria! Torna Book Pride, dall' 1 al 3 aprile in una nuova sede, in via Bergognone 34 a Milano. Tutte le informazioni qui.

venerdì 18 marzo 2016

Bellissima Fiera

Purtroppo non ci potrò andare per un altro impegno, altrimenti la fiera del libro e della cultura indipendente "Bellissima" sarebbe stata il mio obiettivo primario del fine settimana. Si terrà all'ex palazzo del ghiaccio di Milano e ci saranno libri, film, fumetti, canzoni...
Se avete tempo fateci un salto, e magari ditemi com'è.

venerdì 26 febbraio 2016

Another one bites the dust

Questo è un grido di dolore. Altre volte ho dovuto purtroppo scrivere della dipartita di una piccola libreria milanese, sempre con tristezza e una segreta rabbia. Oggi è perfino peggio, perché a chiudere dal primo gennaio è stato Il Passalibro, nella zona di via Padova. Quando venni ad abitare da queste parti una delle cose che mi rese contenta di non trovarmi in un'area più centrale fu proprio la presenza di questo piccolo negozio dove si potevano comprare e vendere libri, cd e dvd usati. Era una vera pacchia, arrivavo con la mia borsa di volumi (regali indesiderati, cantonate...) e ricevuti i soldi della vendita passavo del tempo a girare tra gli scaffali, a volte quasi un paio d'ore. Ed era vicino a casa, potevo andarmi a comprare un libro senza andare in centro, bastava una passeggiata di pochi minuti. Essendo una libreria di quartiere ci giravano sempre le stesse persone e dopo un po' di tempo capivi che genere di libri potevi trovarci e ogni quanto sarebbe arrivato un nuovo carico. Quasi un dialogo a distanza tra lettori che non si conoscono. Nei cestoni all'entrata avevo trovato un'edizione quasi antica di "La falena" di Cain, molto prima che fosse ripubblicato da ISBN, e il primo romanzo di A.M. Homes che abbia letto ("Jack") lo avevo comprato usato al Passalibro. Basta questo.
L'ormai ex proprietario è un appassionato di musica, e i dischi che metteva nello stereo rendevano ancora più difficile staccarsi da quel posto. L'ultima volta che ci andai avevo capito che le cose non andavano tanto bene, ma non ho voluto chiedere niente, per paura di ricevere una conferma alle mie impressioni.
Che una libreria chiuda è già abbastanza triste, ma che smetta l'attività l'unico negozio di libri di un quartiere che negli anni è andato sempre più degradando è un vero strazio, e un brutto segno.
Speriamo che torni il Passalibro, speriamo che questo dramma delle piccole librerie finisca e che ritornino a fiorire di libri gli scaffali e di lettori le strade.

lunedì 11 gennaio 2016

Bigini

Quando ho scoperto che una casa editrice ha pensato bene di proporre riduzioni di libri corposi come "Uomini che odiano le donne" falciando decine di pagine dallo scritto originale mi si sono rizzati i capelli in testa. Se non ho voglia di leggere un libro di 700 pagine, semplicemente non lo leggo.      
Avrei voluto preparare un post per esternare la mia opinione sulla collana "I distillati", ma faccio mio quanto scritto qui da "Cultora".
Se "I distillati" dovessero essere troppo lunghi, c'è sempre Wikipedia.

sabato 9 gennaio 2016

Quando meno te l'aspetti: Patricia Highsmith, "lA FoLLia DellE SiRene"

I folli fanno paura. La pazzia viene ancora percepita come una sorta di maledizione destinata a persone particolarmente sfortunate; una malattia fisica è giustificata da condizioni “concrete”, verificabili, mentre quella mentale resta - nonostante le spiegazioni scientifiche- misteriosa, una sorta di possessione che rende impossibile vivere in mezzo agli altri. Cerchiamo con cura di evitare la follia, ci sforziamo di non incontrare lo sguardo del tizio che parla da solo in metropolitana, adeguiamo i nostri comportamenti ai codici prescritti dalla società e per rassicurarci critichiamo coloro che si permettono di non seguire le regole.
La follia nei racconti di Patricia Highsmith è un filo sottilissimo nella trama della vita, qualunque vita. L'esistenza di un uomo può passare senza che nessuno lo noti oppure impigliandosi da qualche parte può venire tirato e diventare visibile a tutti. Talvolta non se ne accorge comunque nessuno, in apparenza tutto continua come prima. Altre, le conseguenze sono così devastanti che per chi guarda è impossibile girare la testa.
Caratteristica peculiare di queste storie è la scelta del momento in cui iniziare a narrare: la Highsmith infatti apre la porta al lettore proprio quando la follia si manifesta o viene riconosciuta o una situazione arriva al punto di rottura, e qui pone il centro da cui la storia scaturisce, un centro sbilanciato che crea tensione e un senso d'attesa.
Il 15 giugno Kenneth W. Minderquist, collaboratore del Presidente, rilascia un'intervista nella propria casa, la prima dopo essere stato dimesso dall'ospedale dove è arrivato con in corpo un proiettile destinato al Presidente. E' guarito, gioviale, diretto e fin troppo spontaneo com'è sempre stato; ma allora perché la nipotina Penny non vuole più stare con lui da quando è tornato a casa? Eppure ha sempre voluto bene al nonno.
«Le avanza un franco, Madame?» chiede un piccolo mendicante alla ricca Michèle. «Questo era stato l'inizio» annuncia il narratore: la donna protagonista di “L'orologio di Natale” scopre un mondo che non conosceva se non come una specie di leggenda. Ne rimarrà ingenuamente coinvolta fino al punto di perdere il controllo della propria vita.
«La storia delle persiane fu l'inizio della crisi» così comincia la storia di Ralph in “Non sono bravo come gli altri”, un giovane che a causa di una scarsa autostima ha una visione distorta della realtà e rischierà di perdere la ragione e l'amore.
Se avessi fatto una copertina per questo libro...
Ogni coinvolgimento sentimentale con i personaggi è stato accuratamente evitato: la scrittrice non teme d'indagare a fondo (a volte con sottile, crudele divertimento) le loro reazioni e la loro psicologia, tuttavia non mostra nessuna empatia e nemmeno trova motivazioni o giustificazioni per gli eventi ai quali partecipano. Resta al lettore constatare (a volte con divertimento e altre con orrore o compassione) che qualcosa ha smesso di funzionare come era predisposto che facesse o che -nonostante le apparenze- non ha mai funzionato; sua è la responsabilità di comprendere l'immagine d'insieme, prendere le parti di un personaggio o meno, ricostruire i suoi sentimenti, intuire quale sia la vera follia. Il distacco che l'autrice mette tra sé e i suoi protagonisti unito a un controllo totale della scrittura, a volte danno una sensazione di freddezza. Sono però questi elementi a rendere racconti come “Il bottone” o “Il mese più crudele” indimenticabili, in grado di arrivare al cuore del lettore e scuoterlo, di fargli sentire il filo invisibile vibrare anche dentro di lui. La follia è in ogni essere umano, e il momento in cui si manifesterà imprevedibile. L'unica certezza è che lo farà, prima o poi.

(Patricia Highsmith “La follia delle Sirene”, Bompiani 2007)


mercoledì 6 gennaio 2016

Incontri in laguna

Molti di voi sapranno già che Ernest Hemingway passò diverso tempo nella laguna veneta, ospite del Barone Franchetti, allora padrone di moltissime terre nella zona di Caorle e non solo. Andava a caccia, si recava a Venezia e a Torcello, e ispirato da questi luoghi Hemingway scrisse “Al di là del fiume e tra gli alberi”, romanzo dalle alterne fortune intriso di melancolia e piuttosto diverso nella lingua dalle opere che lo avevano reso famoso.
Il ricordo di quelle vacanze venete spese nella tenuta del Barone è ancora vivo, e lo scorso anno proprio nella città che d'estate diventa tra le prime mete turistiche del paese si è tenuta una mostra intitolata “Hemingway, Benatelli e Franchetti in Valle San Gaetano”che celebrava il legame tra lo scrittore e questi luoghi meravigliosi.
Il primo gennaio, durante una passeggiata nella zona di San Gaetano, appena dietro Caorle, abbiamo casualmente fatto la conoscenza di T.V. , un simpatico signore nato e cresciuto nella tenuta del Barone Franchetti presso la cui famiglia ha lavorato per molti anni.

Una cosa che non riesco a sopportare di Hemingway:
la passione per la caccia
Abbiamo chiacchierato per un bel pezzo e ci ha raccontato parte della storia del Barone: le fortune, la passione per l'Africa, come la notizia della sua morte arrivò ai contadini che lavoravano per lui e anche delle visite di Hemingway.    Ha descritto lo scrittore come un uomo bello e buono anche se dedito alla bottiglia, che si recava nel capanno della caccia in laguna a far festa con gli amici mentre la moglie restava alla tenuta. Venne regolarmente in Veneto per sette anni, poi smise. Quando si suicidò, a casa Franchetti erano rimasti alcuni suoi oggetti personali tra cui una macchina da scrivere e diversi romanzi autografati che T.V conservò, e che ha messo a disposizione per la mostra del 2015. I racconti di T.V sono pieni di nostalgia e della magia del ricordo. E' stato un bell'incontro, perfetto per aprire in bellezza il nuovo anno. Quando torneremo speriamo di vederlo ancora, magari riusciremo a farci mostrare i preziosi cimeli appartenuti a Hemingway, sarebbe grandioso.