I folli fanno paura. La pazzia viene
ancora percepita come una sorta di maledizione destinata a persone
particolarmente sfortunate; una malattia fisica è giustificata da
condizioni “concrete”, verificabili, mentre quella mentale resta
- nonostante le spiegazioni scientifiche- misteriosa, una sorta di
possessione che rende impossibile vivere in mezzo agli altri.
Cerchiamo con cura di evitare la follia, ci sforziamo di non
incontrare lo sguardo del tizio che parla da solo in metropolitana,
adeguiamo i nostri comportamenti ai codici prescritti dalla società
e per rassicurarci critichiamo coloro che si permettono di non
seguire le regole.
La follia nei racconti di Patricia
Highsmith è un filo sottilissimo nella trama della vita, qualunque
vita. L'esistenza di un uomo può passare senza che nessuno lo noti
oppure impigliandosi da qualche parte può venire tirato e diventare
visibile a tutti. Talvolta non se ne accorge comunque nessuno, in
apparenza tutto continua come prima. Altre, le conseguenze sono così
devastanti che per chi guarda è impossibile girare la testa.
Caratteristica peculiare di queste
storie è la scelta del momento in cui iniziare a narrare: la
Highsmith infatti apre la porta al lettore proprio quando la follia
si manifesta o viene riconosciuta o una situazione arriva al punto di
rottura, e qui pone il centro da cui la storia scaturisce, un centro
sbilanciato che crea tensione e un senso d'attesa.
Il 15 giugno Kenneth W. Minderquist,
collaboratore del Presidente, rilascia un'intervista nella propria
casa, la prima dopo essere stato dimesso dall'ospedale dove è
arrivato con in corpo un proiettile destinato al Presidente. E'
guarito, gioviale, diretto e fin troppo spontaneo com'è sempre
stato; ma allora perché la nipotina Penny non vuole più stare con
lui da quando è tornato a casa? Eppure ha sempre voluto bene al
nonno.
«Le
avanza un franco, Madame?»
chiede un piccolo mendicante alla ricca Michèle. «Questo
era stato l'inizio»
annuncia il narratore: la donna protagonista di “L'orologio di
Natale” scopre un mondo che non conosceva se non come una specie di
leggenda. Ne rimarrà ingenuamente coinvolta fino al punto di perdere
il controllo della propria vita.
«La
storia delle persiane fu l'inizio della crisi»
così comincia la storia di Ralph in “Non sono bravo come gli
altri”, un giovane che a causa di una scarsa autostima ha una
visione distorta della realtà e rischierà di perdere la ragione e
l'amore.
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Se avessi fatto una copertina per questo libro... |
Ogni coinvolgimento sentimentale con i
personaggi è stato accuratamente evitato: la scrittrice non teme
d'indagare a fondo (a volte con sottile, crudele divertimento) le
loro reazioni e la loro psicologia, tuttavia non mostra nessuna
empatia e nemmeno trova motivazioni o giustificazioni per gli eventi
ai quali partecipano. Resta al lettore constatare (a volte con
divertimento e altre con orrore o compassione) che qualcosa ha smesso
di funzionare come era predisposto che facesse o che -nonostante le
apparenze- non ha mai funzionato; sua è la responsabilità di
comprendere l'immagine d'insieme, prendere le parti di un personaggio
o meno, ricostruire i suoi sentimenti, intuire quale sia la vera
follia. Il distacco che l'autrice mette tra sé e i suoi protagonisti
unito a un controllo totale della scrittura, a volte danno una
sensazione di freddezza. Sono però questi elementi a rendere
racconti come “Il bottone” o “Il mese più crudele”
indimenticabili, in grado di arrivare al cuore del lettore e
scuoterlo, di fargli sentire il filo invisibile vibrare anche dentro
di lui. La follia è in ogni essere umano, e il momento in cui si
manifesterà imprevedibile. L'unica certezza è che lo farà, prima o
poi.
(Patricia Highsmith “La follia delle
Sirene”, Bompiani 2007)
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