domenica 26 luglio 2015

Prodigi: "A Good Man is Hard to Find", Flannery O'Connor

Prima di Alice Munro fu Flannery O'Connor. Coloro che ambiscono a scrivere racconti sentono spesso risuonare il suo nome come un consiglio affettuoso e imperativo. Ma nonostante sia ormai considerata un classico ed esistano molti blog e siti a lei dedicati, non è così facile vedere i suoi libri tra le mani dei passanti e degli amici; pure ai corsi di scrittura è una conoscenza quasi esotica, nota ai docenti e molto meno agli aspiranti scrittori. Non cercherò di indagarne qui i motivi, anche se si tratta di una situazione curiosa: parliamo infatti di una delle autrici che più hanno influito sulla letteratura americana contemporanea in termini d'ispirazione, stile e coraggio. Celebrata da Kurt Vonnegut come “La più grande scrittrice di racconti della mia generazione” Flannery scriveva senza timore di essere spietata o scontentare qualcuno, portando avanti una sua visione molto personale; analizzava l'agire degli uomini con la lucidità di un medico, vestiva la tragedia di paradosso e acida ironia, e faceva parlare i suoi personaggi con una lingua concreta, realistica, in cui compaiono volutamente termini volgari (oggi assimilati al linguaggio letterario) o “politicamente scorretti”.

Quando venne pubblicato negli anni '50 “A good man is hard to find” deve aver avuto un effetto dirompente: l'America era in preda al terrore anticomunista, la retorica patriottica era a uno dei suoi picchi storici e il razzismo era ancora sentito in diverse parti del paese come una condizione naturale. La O'Connor rappresentò un mondo rurale e piccolo borghese attraverso i personaggi che lo abitavano, usando la loro lingua e catapultandoli in situazioni paradossali, crudeli, che evidenziavano il lato oscuro della società. Il fatto che ancora oggi si trovino in alcuni siti ultrareligiosi critiche alla durezza del linguaggio e alla violenza mostrata in questi racconti possono darci una misura dell'impatto che il libro può aver avuto ai tempi. Flannery O'Connor era fervente cattolica, nacque e visse nella “Bible Belt” protestante; fu anche quest'appartenenza religiosa a darle un punto di vista particolare, diverso da quello dei suoi vicini di casa, ma anche dei cattolici europei: era troppo pragmatica e diretta per potersi assimilare a un cattolicesimo europeo (italiano, spagnolo) molto moralista, ma anche troppo pietosa per sentirsi a suo agio con la durezza della tradizione protestante. Per lo stesso motivo e per l'onestà della sua convinzione, essa è sempre presente sullo sfondo dei racconti ma non intacca mai l'efficacia e il fine espressivo della narrazione, in altre parole non rischia di diventare divulgazione religiosa. Ci sono invece la critica a una religiosità superficiale e una disillusione quasi inconciliabile con le speranze di cui la fede dovrebbe essere portatrice, a partire da “A good man is hard to find”, un classico quadretto di famiglia americana in gita annichilito da una sorte agghiacciante (sarebbe un grande soggetto per i fratelli Cohen), passando per “Circle in the fire” e “ Good country people” fino a “The misplaced person” -storia di un sacrificio in nome dell'immutabilità di un ordine costituito di schiavi e padroni- che conclude in grande la raccolta, . In un paese che fa della Nazione una religione, Flannery O'Connor s'ispirava ad archetipi universali che ritroviamo nell'intera storia umana, e ribaltava la mistica patriottica.

Uno schizzo per un'illustrazione ispirata a "A good man is hard to find"
La violenza in questo libro è fisica ma anche, soprattutto, prepotenza e umiliazione, quella che sottende alle costruzioni sociali e alle relazioni. Viene in mente la raccolta “Demoni Amanti” di Shirley Jackson, contemporanea della O'Connor che come lei scelse di concentrarsi sui dettagli e sui comportamenti per svelare i meccanismi della sottile sopraffazione quotidiana. Le atmosfere dei suoi racconti sono sospese, sovrannaturali, la realtà che conosciamo si rivela un incubo; allo stesso modo in “A good man is hard to find” troviamo personaggi credibili, circostanze realistiche che la scrittrice avrà certamente sperimentato, sono avvolte da un senso di mistero e attesa di un evento terribile che, prima o poi, si abbatterà sugli uomini.
Ma mentre la Jackson predilige narrare il piccolo paese, che rappresenta la comunità e le sue regole, la massa che pensa all'unisono e non prevede eccezioni, per la O'Connor -la quale visse quasi tutta la vita in campagna- la natura è una silenziosa protagonista, pacifica e perfetta, e l'uomo l'elemento di disarmonia, il male: la foresta inghiotte il rumore di spari e nasconde una mattanza, una giovane priva di una gamba resta prigioniera nella campagna perchè incapace di muoversi, una grande proprietà diventa una miniatura della società, metafora del paradiso terrestre avvelenata da singoli individui che simboleggiano l'umanità.
La scrittura è asciutta e concreta; cambia consistenza, diventa quasi solida per raccontare i litigi di un vecchio col nipotino in gita in città e la loro riconciliazione di fronte a un'immagine quasi surreale (“The artificial nigger”), più fluida per rendere i paesaggi e le atmosfere sognanti della campagna assolata o di un battesimo in riva al fiume (“A circle in the fire”, “The river”). Le immagini evocate sono inaspettatamente forti e restano nella mente del lettore, precise come fotogrammi; è qualcosa di cui non ci si rende subito conto, ma a distanza di tempo emergono dalla fantasia con chiarezza e rimangono col lettore.

(Flannery O'Connor “A good man is hard to find”, Mariner books, 1982. In italiano trovate la raccolta completa “Tutti i racconti” edita da Bompiani, 2009)

Alcuni siti a cui attingere più informazioni su Flannery O'Connor:

E se voleste visitare la sua fattoria in Georgia: