lunedì 28 dicembre 2009

Sfinge: "L'incubo di Hill House" Shirley Jackson


Qualche mese fa su questo blog vi parlai di “Abbiamo sempre vissuto nel castello”, un romanzo di Shirley Jackson. “L’incubo di Hill House” è considerato uno dei libri più importanti di questa scrittrice, portato sugli schermi con risultati dal pessimo al discreto e che come i suoi altri annulla le definizioni di genere e ci porta in una terra di mezzo, che conserva una similitudine col nostro mondo, eppure non gli somiglia.

Anche in questa storia è una casa ad essere al centro degli avvenimenti, una magione signorile a pochi chilometri da un piccolo paese di provincia i cui abitanti guardano con timore e invidia la collina su cui si erge: ma se nel romanzo precedente si trattava di un elemento aggregante, un simbolo di unità della famiglia, Hill House, nata per accogliere il suo costruttore e i suoi cari, è invece deus ex machina dell’implosione di quel nucleo, del collasso dei valori di cui doveva essere custode, delle vite dei suoi abitanti.

E’ un vero personaggio, anzi la protagonista, viva quanto e più dei visitatori. Dalla prima pagina Hill House è presente in ogni istante in qualunque conversazione, motivo generante, come Kurtz in “Cuore di tenebra” o Harry Lime ne “Il terzo uomo”. Viene descritta accuratamente, dentro e fuori, ne viene indagato il passato, il presente, il suo carattere; perché Hill House ha un suo carattere.

Il professor Montagne, accademico interessato ai fenomeni paranormali decide di studiarla, per stabilire la natura delle manifestazioni che vi hanno luogo: sono spiriti? Maledizioni? Per farlo vi passerà l’estate insieme ad alcune persone che si siano distinte per un episodio riconducibile al sovrannaturale avvenuto nella loro vita: due ragazze, Eleanor e Theodora, e Luke, nipote dell’attuale proprietaria di Hill House.

Le due donne sono una l’antitesi dell’altra. Theodora è bella e disinibita, egoecentrica, sa come ottenere ciò che vuole; al contrario Eleanor –che ha passato gran parte della propria vita ad occuparsi della madre inferma non avendo occasione di sbocciare e completarsi come essere umano- è una sognatrice, infantile e bisognosa di affetto e riconoscimento. Attraverso i suoi occhi assistiamo allo svolgersi degli avvenimenti.

Il piccolo gruppo si costituisce e si unisce sotto il tetto di Hill House, prima con atteggiamento di sfida nei confronti dell’ignoto, poi di attenzione, di terrore. Ma nessuno, a parte Eleanor, pare mai perdere contatto con la propria parte logica o accettare l’esistenza di qualcosa che va al di là della propria conoscenza e quando l’abbraccio della casa si chiude su di loro solo Eleanor pare percepirlo realmente. La dicotomia tra le giovani si esaspera, Theo è sempre più egoista e Nell (Eleanor) sempre più fragile e dipendente, e nonostante gli scontri continui il loro legame diventa profondo. Lentamente il lettore ed i personaggi scivolano di qualche grado oltre la realtà dove le regole non sono più quelle conosciute e le persone appaiono per quello che sono o per quello che potrebbero essere. I fatti diventano indistinguibili dai sogni, la follia dalla sanità. Il finale non risolve l'enigma e Hill House rimane immobile, intoccata, il suo segreto non verrà svelato.

Shirley Jackson ha scritto un capolavoro di ambiguità, giocato interamente su fatti riportati in modo frammentario che creano l’illusione di conoscere (la) verità senza darne alcuna conferma. E pur mantenuto in una sorta di limbo sospeso d’incertezza, il lettore rimane totalmente preso, prigioniero dell’incantesimo di Hill House.

Un romanzo dal fascino ineludibile, che si presta a moltissime interpretazioni (non ultima quella psicanalitica), destinato come la sua protagonista, a non invecchiare.

(Shirley Jackson “L’incubo di Hill House” 2004 Adelphi)

domenica 20 dicembre 2009

Un Libro a Milano

Dalla nostra corrispondente Ilaria Prigione, uno sguardo sul salone della piccola e media editoria che si è svolto la scorsa settimana a Milano. Grazie ad Ilaria per il suo contributo!

UN LIBRO A MILANO è il titolo del primo salone dedicato alla piccola e media editoria indipendente svoltosi a Milano l’11, il 12 e il 13 dicembre nella zona di via Tortona, all’interno di uno spazio bonificato e trasformato da ex capannone industriale a luogo adatto a manifestazioni culturali o ad esposizioni. Durante i tre giorni si sono susseguiti parecchi eventi a partire dall’inaugurazione che ha visto protagonisti oltre a nomi noti nell’ambiente “indie-letterario” ( ma non solo) anche la madrina della manifestazione, la cantante Alice. Parecchie le case editrici partecipanti (ben 67) e gli autori che hanno presenziato presso gli stands presentando i loro scritti. Dibattiti e tavole rotonde hanno scandito le tre giornate occupando i vari spazi distinti dai colori blu e rosso, molto spesso sovrapponendosi.

Ai più piccoli sono stati dedicati il sabato e la domenica pomeriggio con letture animate, laboratori creativi e momenti di gioco.

Personalmente, da amante dei libri e ricercatrice di nuovi talenti, ho trovato il salone un po’ scarno, gli stand confusionari e la location poco segnalata. Ora che finalmente si è pensato di dedicare spazio e tempo alle piccole realtà editoriali, dando l’opportunità ai vari espositori di mostrare le loro pubblicazioni, spero che l’evento si ripeta il prossimo anno, apportando delle modifiche e pubblicizzandolo maggiormente.

La mia impressione è stata la stessa che provo quando sento parlare della musica indie: un senso di chiusura, quasi di isolamento voluto da coloro che fanno parte del settore e che a fatica si ritagliano un posto tra le miriadi di nomi conosciuti. Inoltre, segnalo il fatto che l’evento si è svolto sì, in una zona super “laccata” di Milano, ma semi-deserta e poco centrale, perciò a mio parere inadeguata. Nel complesso, mi sento di dire che Un libro a Milano è senza dubbio un salone interessante e curioso, proprio perché dà l’opportunità conoscere realtà letterarie che troppo spesso passano inosservate. Spero di farvi un piacere segnalandovi due case editrici: la Zambon Editore che ha parecchi distributori italiani ma la cui sede è a Francoforte www.zambon-verlag.de che, come è scritto sul depliant informativo: “…si rifiuta di seguire le mode del revisionismo e del negazionismo nel campo della saggistica e della ricerca storica, ed anzi le combatte” editando saggi politici, diari storici e biografie piacevolmente di parte. la Kalandraka edizioni di Firenze invece pubblica bellissimi ed intelligenti albi illustrati per bimbi e adolescenti; inoltre, in collaborazione con Il Dipartimento di Educazione del Comune di Santiago di Compostela e in occasione della X Campagna di Animazione alla Lettura, ha promosso il III Premio Internazionale COMPOSTELA per albi illustrati : www.kalandraka.it .

venerdì 18 dicembre 2009

Torte: Buon Compleanno Wanda June!


All’inizio degli anni settanta Kurt Vonnegut decise che avrebbe abbandonato la scrittura di romanzi per darsi esclusivamente alle commedie. Non perseguì a lungo questo voto, ma di quella solenne promessa ci resta “Buon Compleanno, Wanda June”.

Non intendendomi particolarmente di testi teatrali non mi addentrerò a fondo in questioni di competenza di registi e drammaturghi.

Cuore e nucleo della commedia è ancora una volta l’urgenza di Vonnegut di condannare qualunque forma di conflitto violento e ci mette tutta la sua abilità ed il suo tagliente umorismo. Manca il sottile cinismo e la rassegnazione che contraddistinguono opere come “Mattatoio 5” o “Ghiaccio Nove” o “Madre Notte”, ed i personaggi sono limpidi nelle loro esternazioni e immersi completamente nella loro vicenda. C’è invece l’impeto e la speranza pacifista che in quel periodo portarono a credere alla fine di tutte le guerre.

In questa sorta di lungo sketch alla “Saturday Night Live” Harold, un moderno Ulisse, torna a casa dopo 8 anni dalla moglie Penelope che lo crede morto e dal figlio Paul che, come Telemaco, aspetta con ansia il ritorno del padre. In effetti è l’unico, dato che Harold è ricordato come un uomo coraggioso ma spietato, grande combattente. La sua casa è tappezzata di trofei di caccia, la sua opinione delle donne è carica di sciovinismo.

Durante la sua assenza Penelope s’è presa una laurea e, dopo che il marito è stato ufficialmente dichiarato morto, ha cominciato ad uscire con altri uomini. Il suo fidanzato è Woodly, un medico pacifista sul modello dei migliori frikkettoni dell’epoca.

Nell’appartamento di Harold e Penelope si scatena la furia del primo, che è ben deciso ad imporre la sua prepotenza come un tempo e a ristabilire gli antichi equilibri. Ma in otto anni le cose cambiano e il suo atteggiamento in breve si spoglia dell’aura mitica di grande cacciatore rivelando un uomo minuscolo che cerca il conflitto perché non sa rapportarsi in modo diverso con gli altri.

A dare un tocco di surrealtà alla situazione (se ce ne fosse bisogno) sono alcuni fantasmi (che compongono una specie di coro greco): un criminale nazista, una moglie precedente di Harold e la piccola Wanda June, una bambina di 10 anni investita da un camion il giorno del suo compleanno e finita in paradiso, del quale ci racconta meraviglie, prima tra tutte il gioco delle bocce, che pare essere pressoché l’unica attività praticata lassù.

Trattandosi di una commedia, Kurt ha dovuto rinunciare alle strutture narrative barocche a cui ci ha abituati e sintetizzare moltissimo il suo pensiero, risultando forse leggermente didascalico. Non vi sono grandi indicazioni per la messa in scena e dobbiamo pensare che il regista, il produttore e gli attori che la recitarono per pochissime repliche abbiano goduto della massima libertà d’azione. Tuttavia, il marchio di fabbrica è innegabile e la personalità di questo straordinario scrittore traspare chiaramente dalle situazioni, dai personaggi e dalle battute, dirette ma fulminanti. Soprattutto per chi già lo ama. Ma non solo.

(Kurt Vonnegut “Buon Compleanno Wanda June” 1995 Elèuthera Editore)

sabato 5 dicembre 2009

Salone del Libro Usato 2009

Mentre migliaia di persone si pigiano selvaggiamente prendendo d'assalto la fiera di S.Ambrogio (conosciuta come "Obei Obei") e l'ormai rituale (e pare sempre meno interessante) fierone dell'Artigianato alla Nuova Fiera di Milano, io mi dirigo con allegra sicumera verso il Salone del Libro Usato.
Adoro i libri usati: difficili da trovare o addirittura rari, recuperati a volte dopo ore di scavo paziente a volte beccati al primo colpo, per pura fortuna. Mi trovo irresistibilmente attratta verso i volumi vissuti, dedicati a sconosciuti (regali poco graditi?), che possono contenere vecchie cartoline, biglietti, messaggi. Storie nella storia.
Bando alle romanticherie, arrivo e mi faccio i complimenti, il salone non è affollato, si può girare comodamente senza trovarsi il gomito di qualcuno negli occhi. Mi lancio leggiadra sulle bancarelle e subito trovo un libro di commedie per burattini: 3 euro, mio.
Altra bancarella, di tutto un pò, libri di Stendhal e di Costanzo, oh, cos'è questo? Un trattato di elettronica del 1962, quanto costa? 2,5 euro, mio.
Banchi di tascabili, bestselleroni, libri antichi, stampe, libri di cinema e teatro; mi capita una raccolta di Bulgakov a metà prezzo e becco tre introvabili volumi di Fredrick Brown ("Vagabondo dello spazio", "Tutti i racconti" e"Gli strani suicidi di Bartlesville") in una bancarella specializzata in fantascienza dove c'è anche un'edizione di "Galapagos" di Kurt Vonnegut. Li pago ben 78 euro, ma si sa, c'è ben poco di Brown sul mercato, quindi meglio non lasciarseli scappare. A questo punto però ho esaurito le finanze e non mi resta che girellare con gli occhi fuori dalle orbite, sperando di non vedere niente per cui potrei uccidere.
C'è un signore tedesco che espone libri per bambini molto vecchi e molto belli, un altro che ha portato fumetti d'ogni genere e un banco pieno di guide di viaggio vecchie e antiche.
Sono passate due ore appena, intense e veloci. Forse tornerò domani. Nel caso, ci vediamo là.

Salone del Libro Usato 5/6/7/8 dicembre 2009 presso Fiera Milano City

mercoledì 2 dicembre 2009

Back in time! A.M. Homes "Jack"


Ovvero, cosa succede ad un adolescente americano quando scopre che suo padre se n’è andato di casa perché è gay. Da questa premessa che può essere più o meno drammatica, A.M. Homes, a soli diciannove anni ha tratto questo romanzo, incredibilmente maturo e consapevole.

Jack è un ragazzo normale, mediamente problematico, gioca a basket e dopo due anni dalla separazione dei genitori, viene finalmente messo a parte della verità.

Le sue prime reazioni sono prevedibili, vergogna, terrore che qualche compagno venga a conoscenza del terribile segreto e faccia l’equazione tale padre tale figlio, una serie di gaffes e di considerazioni decisamente comiche. Sua madre, nonostante non sia una frikkettona hippy radicale (anzi, è molto “media”) cerca di convincerlo che non c’è niente di male nel nuovo modo di vivere di suo padre. Le cose sembrano destinate a non riaggiustarsi mai. Jack vede il suo futuro come un’infinita proiezione del momento presente, degli sfottò, della sua scarsa popolarità, del suo sentirsi inadeguato ed escluso con quella sua famiglia sbilenca e così fuori dagli schemi.

Poi però, si rende conto che le cose non restano sempre uguali. Ma anche che le famiglie perfette a volte non sono così perfette, che non è l’unico ad avere certi problemi, e che anche lui può piacere ad una ragazza carina. La vita cambia, diventa tridimensionale, alcuni dolori sono superati, molte paure si dissolvono, altre se ne scoprono e alla fine Jack sa che può affrontare il futuro.

Con una narrazione leggera e divertente, la scrittrice americana racconta un intreccio tutt’altro che semplice da rendere senza cadere (soprattutto all’età in cui fu scritto il romanzo) in trappole come la mitizzazione dell’adolescenza o la tentazione di colpevolizzare i genitori per ogni tristezza e difficoltà vissuta dai figli. A.M. Homes affronta in modo realistico argomenti dolorosi, rispettandone la delicatezza, spogliandoli del melodramma gratuito e aggiungendovi uno humour che rende la lettura ancora più gradevole e pervasa da un vago senso di speranza, tipico anch’esso, insieme alla disperazione, degli anni dell’adolescenza.

E’ una lettura che può sicuramente piacere a tutti, coinvolgendo giovani e adulti, chi ha fresche memorie da teen-ager e chi ha bisogno di un piccolo ripasso di quelle emozioni.

Ottima l’edizione Minimum Fax (adoro il formato compatto) con la traduzione di Adelaide Cioni.

(A.M. Homes “Jack” 2004 Minimum Fax)