martedì 27 aprile 2010

Neve, Amore Rock n' Roll: Aki Kaurismaki "L'uomo senza Passato"




Come ci avverte nella prefazione lo stesso autore, questo libro non e' un romanzo. Il film omonimo Kaurismäki lo diresse nel 2002, ed oggi Iperborea pubblica la traduzione della sceneggiatura che ne era all'origine.
Un uomo arriva una notte in treno in una citta' finlandese, con una valigia contenente i suoi averi. Tutto e' chiuso, non c'e' un bar aperto dove aspettare l'alba, e il nostro decide di appisolarsi su una panchina. Pessima idea, perche' 3 teppisti sadici lo sorprendono, lo derubano, picchiano a sangue e tentano persino di bruciarlo vivo.
Scampato per miracolo alla morte, il nostro personaggio si risveglia dal coma ma non ricorda nulla della sua vita precedente. Senza un nome, un passato, un' identita' e soprattutto senza soldi, si avventura nella parte degradata della citta' e trova amici e compassione tra poveri che abitano nei containers vicino al porto. Da qui in poi seguiremo la malinconica ed esilarante ricerca di M, come viene ribattezzato, di una nuova vita un nuovo amore e un nuovo lavoro.
Vidi il film all'epoca in cui uscì, e rimasi -come sempre capita quando si vedono I film di Kaurismäki- colpita e commossa. Nonostante gli anni e il fatto che gia' conosca la storia, questo libro si legge molto piacevolmente e lascia nel finale la stessa calda e luminosa sensazione che qualcosa di buono al mondo puo' accadere.
I dialoghi di questa sceneggiatura sono veloci, secchi, senza fronzoli come tipico dei film di Kaurismäki e proprio per questo pieni di sottile e surreale umorismo. Nonostante l'economia delle descrizioni, Kaurismäki riesce sempre ad infilare qua e la' un commento personale sui personaggi o la surrealta' di quella o questa situazione, come ad esempio quando definisce la faccia di M “da clown triste” o quando descrive con sarcastica lucidita' I tic degli impiegati bancari. Si ha l'impressione che esista una realta' parallela in cui questi matti esistono per davvero, ma a ben guardarli non sono tanto diversi dalle persone che incontriamo ogni giorno, compresi noi stessi!
I personaggi sono bizzarri ma ognuno con una morale: ad esempio Anttila, il poliziotto che affitta a prezzi da strozzino il container dove M andra' a vivere, che fa il duro, ma alla fine ha un buon senso della giustizia; la malinconica Irma, che come un fiore non troppo fresco ancora aspetta che qualcuno si accorga di lei e la porti via da una mensola solitaria e polverosa; Nieminen che salva M e lo porta dal “popolo dei containers”, i pazzi impiegati dell'esercito della salvezza, etc. La storia di per se' e' il trionfo delle piccole cose, dei piccoli momenti che cambiano la vita.
La satira di Kaurismäki critica quietamente ma con fermezza la burocrazia e le convenzioni, la loro mancanza di flessibilita' e umanita' per cui chi e' senza nome non ha importanza e un pezzo di carta vale piu' della vera identita' di una persona. Allo stesso tempo vengono premiati i coraggiosi, i generosi, quelli che non hanno nulla ma provano ogni giorno ad essere felici, insieme agli altri.
La passione per la musica e il rock-blues di KaurismÄki aleggiano qua e la' tra le pagine senza mai diventare auto citative come potrebbe essere un in libro di Hornby.
L'umorismo di Kaurismäki e' nero, sottile, impalpabile, nascosto nelle cose quotidiane, certamente non e' “visibile” a tutti. Due giorni dopo aver finito di leggere questo libro, in tv hanno trasmesso di nuovo il film, e mi ha divertito ancora molto. Trovo che questa sia una grande qualita', sia per il film che per la sceneggiatura. Sottovoce come e' suo stile, Kaurismäki ci ricorda il potere della speranza, dell'essere generosi, dell'amore e come la felicita' sia in realta', molto semplice.

(Aki Kaurismaki "L'uomo senza passato" 2009 Iperborea)

giovedì 22 aprile 2010

23 Aprile 2010

E' la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d'Autore. Quest'ultima parte non la comprendo fino in fondo, comunque è un'iniziativa dell'Unesco. Chi fosse interessato può trovare più informazioni qui.

mercoledì 14 aprile 2010

I Had a Dream


Ogni libro di Kurt Vonnegut è come uno scrigno colmo di fantasmagoriche ricchezze. Ancora oggi, dopo aver letto una decina delle sue opere rimango ammirata dalla quantità di argomenti e storie che riesce a comprimere, apparentemente senza alcuno sforzo, in una media di sole duecentocinquanta pagine, senza rinunciare a niente da un punto di vista espressivo.

In questo romanzo del 1979 troviamo: sindacati Americani, caccia alle streghe, lo scandalo Watergate, Sacco e Vanzetti, dame delle sporte, società multinazionali, storie di fantascienza e molto altro.

La vita di Walter Starbucks, nato Stankievicz da madre Lituana e padre Polacco inizia in modo singolare: il datore di lavoro dei suoi genitori (industriale ferriero balbuziente ed eremita) lo prende in simpatia e fattone il suo unico avversario nel gioco degli scacchi, decide di finanziare a sua istruzione: lo manda dunque a studiare ad Harward, l’università dove si formano i futuri burocrati di Washington. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla quale partecipa come addetto ai rifornimenti, Walter resta senza lavoro. Poi, gli viene miracolosamente offerto un posto nell’esecutivo di Nixon, nella più bassa posizione possibile. Eppure, anche lui rimane coinvolto nel Watergate e finisce in galera.

Questo è solo l’inizio di una vicenda che vede il protagonista salire, scendere e risalire la scala sociale senza meritare mai fino in fondo il bene ed il male di cui è oggetto. Walter è un burattino , volontariamente o meno, in balìa del destino e lo subisce senza lamentarsi troppo. Lo incontriamo vecchio e rassegnato, consapevole delle proprie debolezze e meschinità, in grado di ammetterle con onestà.

Lui, come Billy Pilgrim, come gli altri personaggi di Vonnegut di arrende all’inevitabilità del bene e del male e chi non lo fa ora è comunque destinato a farlo, colpito come tutti dalla vita. La mancanza di fiducia nella bontà del genere umano, il pessimismo verso l’esistenza sono alla base di questa rassegnazione, e anche se esistono persone buone e a volte vengono pure riconosciute e ricompensate, c’è sempre qualcuno che paga ingiustamente per questo.

La classe dirigente (gli Hawardiani) decide per tutti e poco importa se nei meccanismi del potere costituito rimangono stritolati casualmente (ma fino a che punto casualmente?) uomini come Sacco e Vanzetti, deboli tra i più deboli perché immigrati, veri agnelli sacrificali in una “Passione Moderna”. Pure coloro che cercano di portare uguaglianza e libertà per tutti sembrano destinati irrimediabilmente a fallire.

Come sempre Kurt Vonnegut si diverte a creare situazioni paradossali e collegare tra loro personaggi le cui storie sono inizialmente separate (c'è anche una nuova reicarnazione di Kilgore Trout) e poi, lentamente, si uniscono in un unico grande disegno, come a dire, siamo tutti parte di un’unica cosa.

Maestro di umorismo tragico, in questo romanzo si fa un po’ più rassegnato e amaro; le risate sono più rare e malinconiche del solito. Volendo vedere in una prospettiva storica questo libro, pubblicato al termine di quel periodo che aveva fatto sognare un mondo più giusto a tutti, possiamo quasi dire che si tratti di un requiem di quell’epoca, in cui l’autore confessa di essersi sbagliato, di aver sognato anche lui, di essersi illuso di un cambiamento, quando il cambiamento non esiste. Presente e passato si combinano in un flusso narrativo lontano dalla psichedelica frammentata di “Mattatoio 5” e “Le Sirene di Titano”, basato sulla logica del flashback piuttosto che sul geniale capriccio del narratore.

Si rimane stupiti dall’attualità di quanto scritto trent’anni fa in questo volume, soprattutto quando si legge la storia di Sacco e Vanzetti. Peccato sia una conferma della fondatezza del pessimismo di Vonnegut.

( Kurt Vonnegut "Un pezzo da galera" Feltrinelli, 2004)


sabato 10 aprile 2010

Libri Interrotti



Il mio amico Ciccio mi chiede: "Ma cos'è che ci spinge a finire un libro quando non ci piace?"
Già, vero! E' molto difficile che qualcuno molli a metà un libro o almeno che qualcuno lo ammetta apertamente. Dichiarare di non avercela fatta, di essersi annoiato, di aver deciso che il suo tempo andava meglio speso che leggendo quel volume è quasi un'onta. Si fa, suppongo, ma non si dice.

Eppure leggere deve essere un piacere. E' proprio la mancanza di piacere che ci allontana dalla lettura in gioventù, quando siamo costretti dall'insegnante d'Italiano a leggere i libri che lei/lui ha deciso essere fondamentali per la nostra crescita intellettuale. Pirandello, Pavese, Tomasi di Lampedusa, Silone...In età più matura, rileggendoli sapremo forse apprezzarli di più, ma potrebbe anche accadere che grazie a loro non leggeremo mai niente altro.

Daniel Pennac nel suo "Come un libro" sancisce il diritto del lettore a non continuare la lettura di un libro che l'annoia.
Anche io cerco di leggere sempre tutto, i motivi che mi sono data sono i seguenti:
1) Orgoglio e Pregiudizio personale: quel libro non mi sconfiggerà, vediamo chi è più tosto dei due, tu con le tue 1432 pagine o io;
2) Miserabili opinioni, ovvero poca stima del proprio giudizio: e se stessi sbagliando? E se questo fosse il più grande capolavoro della letteratura e io lo stessi liquidando come una fesseria per mia ignoranza?
3)Domani è un altro giorno: magari dopo pagina 250 migliora.

Ed ora un pò di outing, ovvero la lista dei miei libri interrotti negli ultimi 5,6 anni, alcuni all'inizio, altri a metà, altri quasi alla fine, e le ragioni per cui li ho mollati. Noterete che si tratta di autori affermati, anche importanti, a dimostrazione che un libro non deve essere per forza brutto o commerciale per annoiare, stufare o semplicemente non essere capito.
1)Philip Roth "Il Teatro di Sabbath": ho iniziato a leggerlo perchè il protagonista è un burattinaio. Purtroppo di burattini si parla poco, almeno fino a dove sono arrivata io. Roth è un pilastro della letteratura Americana ma decisamente cupo e a volte non ce la si fa a sopportare la commistione di sesso e morte che lo caratterizza...
2)Giuseppe Genna "Dies Irae": prestatomi con entusiasmo, attaccato con timore, dopo averne recensito un terzo mi sono arresa. I fatti raccontati sono spaventosi e resi in modo viscerale; dopo 200 dolorose pagine me ne restavano altre 400. Un romanzo (?) che ti mette veramente di umore pessimo (non perchè sia scritto male ma appunto per ciò che racconta), anche se non è detto che un libro debba per forza renderti felice. Devi comunque esserci predisposto e nonostante il mio pessimismo, io non lo ero abbastanza. Mi hanno detto che in seguito c'è un riscatto a tutta questa oscurità, ma non ce la faccio ad aspettarlo.
3)Gunter Grass "Il Tamburo di Latta": regalo del mio amico Paolo, speravo mi avrebbe preso di più. Non che tutta la storia della nonna del protagonista che coltivava patate e indossava quattro gonne una sull'altra e di come conobbe suo marito anarchico inseguito dai gendarmi che si rifugiò sotto le quattro gonne fosse brutta, anzi. Però non è scattato quel non so che che ti fa appassionare. E' vero che il capolavoro di Grass si compone di quasi 600 pagine e io ne avrò lette sì e no una cinquantina, però non me la sono sentita di andare avanti. Mi consola il fatto che neanche Paolo lo ha finito.
4)David Foster Wallace "Westward the Course of the Empire Takes its Way": romanzo breve contenuto nell'edizione Americana di "Girl with Curious Hair" narra una storia piuttosto surreale -e fin qui tutto bene- omaggiando lo scrittore John Barth e fornendo opinioni personali sulla metascrittura e sul post modernismo. Sia come sia, leggerlo in lingua originale s'è rivelata un'impresa improba, certe frasi sono così lunghe che arrivata in fondo non mi ricordavo più il significato globale del discorso. Mi sono arresa ed ho comprato la versione tradotta in Italiano.

Aspetto i vostri outing: gemellearotelle@gmail.com

lunedì 5 aprile 2010

David Foster Wallace 1 : "Girl With Curious Hair"




Sono sempre un pò in imbarazzo quando parlo di un autore considerato unanimemente un genio: ho paura di dire qualche stupidaggine e fare la figura della tonta. Ma lo faccio ugualmente.

"Girl With Curious Hair" (tradotto in Italia come "La ragazza dai capelli strani") è il primo libro di David Foster Wallace che ho preso in mano e mentre lo leggevo m' è venuto più volte in mente Philip K. Dick: entrambi erano provvisti di un talento visionario, una visione cristallina e delirante della realtà, come la pallottola di diamante del Colonnello Kurtz.
Scrittore, professore universitario e apprezzato intellettuale, Wallace come Dick distorceva gli avvenimenti in modo psichedelico, anche se -diversamente da lui- non aveva visioni del futuro, ma guardava il passato ed il presente in uno specchio deformante.
Dunque, per quanto le ambientazioni siano riconducibili alla quotidianità, dal dietro le quinte di un talk show all'ufficio di Lyndon Johnson, i racconti sono tutti pervasi da un senso di algida iperealtà da cui emerge un nucleo di inquietudine e stupore, quasi che lo scrittore avesse scelto l'angolo più impensabile ed angusto per osservare gli avvenimenti e riportarceli.

La title track (se vogliamo chiamarla così) racconta la serata al concerto di Keith Jarret di Sick Puppy, un figlio di papà completamente pazzo che accompagnandosi ad un gruppo di punk dà sfogo -come una sorta di "American Psyco" dalla faccia pulita e l'anima marcia- al suo sadismo, in quella che può essere letta come metafora del potere delle classi dominanti che si serve del basso proletariato (e della sua violenza) per raggiungere i propri scopi.
In "Little expressionless animals" -una delle storie che ho preferito- i drammi dell'intero cast del quiz show "Jeopardy", autori e concorrenti, vengono sezionati con mano chirurgica di pari passo con il progredire delle puntate televisive. Persone esistenti e personaggi inventati mescolano i loro destini in un tessuto inestricabile.
"My apparition" ha per protagonista un'attrice televisiva che descrive la sua apparizione al David Letterman Show e solo dopo pagine e pagine di precisa e puntigliosa resa degli eventi, immersi nell'atmosfera creata dall'assunzione di Xanax, è rivelata la dolorosa realtà che chiude e dà senso a tutto il racconto.
"Here and there" è scritto in flusso di coscienza, come una seduta di terapia in cui un ragazzo (forse un alter ego dello stesso Wallace) analizza ossessivamente il rapporto con la sua fidanzata e in "Say Never" la voce di ogni personaggio coinvolto narra separata dalle altre la sua parte di storia.
Separazione sembra una parola chiave di questa raccolta: tutti i personaggi sono irraggiungibili. Avvicinarsi, esplorare l'essenza dell'altro, entrare in vera intimità è insopportabilmente doloroso e anche quando ne fossero capaci, loro non osano o non vogliono farlo, tutt'al più osservano con struggimento, ma rimangono quello che sono e dove sono, senza muoversi di un passo, autisticamente isolati da tutto il resto.

Titoli di giornali, interviste, terza persona, la narrazione è complessa, cambia continuamente, il linguaggio è preciso, studiato e tutt'altro che semplice (pur conoscendo bene l'Inglese ho avuto qualche difficoltà) e spesso si sviluppa in meditazioni avviluppate su loro stesse che paiono essere il marchio di fabbrica di questo scrittore, tanto che molti siti ne parlano. Il lato negativo di un autore così complesso è l'eccessiva quantità di elementi, di piani di lettura, l' intelligenza esasperata che rischia di far diventare Wallace uno "scrittore per scrittori".
Se infatti dietro alle storie ci sono significati qui (pur non sopraffacendo la narrazione) sono forse troppo presenti a chi scrive e a volte oscuri al lettore -che sia un problema di cultura?.

Nell'edizione Italiana (Minimum Fax) non troverete il romanzo breve "Westward the course of the empire takes its way", uno scritto tanto estenuante e complesso che ho rinunciato a finirlo. Comunque è stato pubblicato sempre da Minimum Fax col titolo di "Verso Occidente l'impero dirige il suo corso" e mi riprometto di tentare nuovamente la lettura.
Un autore non facile, comunque da conoscere.

(David Foster Wallace "Girl With Curious Hair" Abacus 2009)