Ogni libro di Kurt Vonnegut è come uno scrigno colmo di fantasmagoriche ricchezze. Ancora oggi, dopo aver letto una decina delle sue opere rimango ammirata dalla quantità di argomenti e storie che riesce a comprimere, apparentemente senza alcuno sforzo, in una media di sole duecentocinquanta pagine, senza rinunciare a niente da un punto di vista espressivo.
In questo romanzo del 1979 troviamo: sindacati Americani, caccia alle streghe, lo scandalo Watergate, Sacco e Vanzetti, dame delle sporte, società multinazionali, storie di fantascienza e molto altro.
La vita di Walter Starbucks, nato Stankievicz da madre Lituana e padre Polacco inizia in modo singolare: il datore di lavoro dei suoi genitori (industriale ferriero balbuziente ed eremita) lo prende in simpatia e fattone il suo unico avversario nel gioco degli scacchi, decide di finanziare a sua istruzione: lo manda dunque a studiare ad Harward, l’università dove si formano i futuri burocrati di Washington. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla quale partecipa come addetto ai rifornimenti, Walter resta senza lavoro. Poi, gli viene miracolosamente offerto un posto nell’esecutivo di Nixon, nella più bassa posizione possibile. Eppure, anche lui rimane coinvolto nel Watergate e finisce in galera.
Questo è solo l’inizio di una vicenda che vede il protagonista salire, scendere e risalire la scala sociale senza meritare mai fino in fondo il bene ed il male di cui è oggetto. Walter è un burattino , volontariamente o meno, in balìa del destino e lo subisce senza lamentarsi troppo. Lo incontriamo vecchio e rassegnato, consapevole delle proprie debolezze e meschinità, in grado di ammetterle con onestà.
Lui, come Billy Pilgrim, come gli altri personaggi di Vonnegut di arrende all’inevitabilità del bene e del male e chi non lo fa ora è comunque destinato a farlo, colpito come tutti dalla vita. La mancanza di fiducia nella bontà del genere umano, il pessimismo verso l’esistenza sono alla base di questa rassegnazione, e anche se esistono persone buone e a volte vengono pure riconosciute e ricompensate, c’è sempre qualcuno che paga ingiustamente per questo.
La classe dirigente (gli Hawardiani) decide per tutti e poco importa se nei meccanismi del potere costituito rimangono stritolati casualmente (ma fino a che punto casualmente?) uomini come Sacco e Vanzetti, deboli tra i più deboli perché immigrati, veri agnelli sacrificali in una “Passione Moderna”. Pure coloro che cercano di portare uguaglianza e libertà per tutti sembrano destinati irrimediabilmente a fallire.
Come sempre Kurt Vonnegut si diverte a creare situazioni paradossali e collegare tra loro personaggi le cui storie sono inizialmente separate (c'è anche una nuova reicarnazione di Kilgore Trout) e poi, lentamente, si uniscono in un unico grande disegno, come a dire, siamo tutti parte di un’unica cosa.
Maestro di umorismo tragico, in questo romanzo si fa un po’ più rassegnato e amaro; le risate sono più rare e malinconiche del solito. Volendo vedere in una prospettiva storica questo libro, pubblicato al termine di quel periodo che aveva fatto sognare un mondo più giusto a tutti, possiamo quasi dire che si tratti di un requiem di quell’epoca, in cui l’autore confessa di essersi sbagliato, di aver sognato anche lui, di essersi illuso di un cambiamento, quando il cambiamento non esiste. Presente e passato si combinano in un flusso narrativo lontano dalla psichedelica frammentata di “Mattatoio 5” e “Le Sirene di Titano”, basato sulla logica del flashback piuttosto che sul geniale capriccio del narratore.
Si rimane stupiti dall’attualità di quanto scritto trent’anni fa in questo volume, soprattutto quando si legge la storia di Sacco e Vanzetti. Peccato sia una conferma della fondatezza del pessimismo di Vonnegut.
( Kurt Vonnegut "Un pezzo da galera" Feltrinelli, 2004)
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