sabato 31 dicembre 2011

Della scuola 2: Silvia Dai Prà "Quelli che però è lo stesso"

Nel post “Della scuola 1” vi raccontavo di “Ex Catedra”, cronaca degli avvenimenti di un liceo romano nell’anno scolastico 1985/86.
Nonostante una notevole produzione disponibile sul mercato e diversi acquisti, non sono riuscita ad approfondire l’argomento scuola, ma quando ho letto la frase in quarta di copertina di questo libro non sono riuscita a rimandare la lettura.

Sono passati 25 anni dal libro di Starnone e non siamo più a Roma ma nella malfamatissima Ostia, non in un liceo in cui nasce la debole protesta della “Pantera” ma in un istituto professionale dove il Blocco Studentesco spadroneggia e tutti gli studenti sono di destra, dove l’insegnante narratore non è un professore navigato che guarda con affetto e rassegnazione l’evolversi delle vite degli studenti, conoscendo –in parte- quale direzioni potranno prendere, ma una giovane precaria che si è trovata ad insegnare per non rimanere disoccupata e nutre più di un dubbio sul lavoro che si trova a fare.
L’aria, capite, è del tutto diversa. Gli anni 80 non erano certo drammatici come quelli che viviamo ora, anche se la disperazione di oggi nacque proprio lì, tra le illusioni d’infinito benessere e quello che chiamavano edonismo.
Questi studenti sono all’ultima spiaggia, sbattuti fuori da tutte le scuole o stranieri che a volte non parlano quasi italiano o fuori tempo massimo, lavorano di giorno e studiano la sera. O meglio, non studiano, non stanno attenti durante le lezioni, si vergognano della propria nazionalità, si fanno le canne, ruttano.
Silvia, l’insegnante “pischella” segue un iter che chi ha lavorato in una scuola professionale difficilmente riesce a sfuggire: dapprima la sorpresa di trovarsi davanti allievi del tutto privi di filtri, che ti danno del tu e discutono le lezioni trovando assurde le proposte fatte, che la chiamano “comunista” eppure imparano a rispettarla, che scrivono temi assurdi in romanesco; poi, il divertimento e l’affetto che proprio questi modi suscitano, la voglia di favorire, di “salvare” questi ragazzi (perché c’è poco da fare, quelli del professionale sono più simpatici).
Lentamente diventa consapevole di quanto disperata sia la situazione e di quanto arrabbiata lei stessa sia per la propria precarietà professionale e personale, che per la povertà intellettuale ed umana che la circonda e che fa sorridere, ma è pur sempre desolazione, mitigata solo dalla giovane età degli allievi del diurno, l’unica speranza che ci possa essere –per loro- un riscatto.
La periferia sembra ancora quella di cui parlava Pasolini, ma Silvia non riesce a trovarvi la stessa poesia.

L’amarezza si fa strada nel racconto, che prende toni surreali e poi decisamente drammatici; infine la stanchezza di un intero anno scolastico uguale a mille altri ripetuti da anni sempre identici, con le stesse vicende, le stesse scenate, le medesime conclusioni ha il sopravvento e perfino la prospettiva di non essere retribuita per tre mesi non è per Silvia un problema, pur di scappare da lì.
Così è la scuola ai tempi colera, uno specchio in cui non sempre è divertente guardarsi, che riflette l’immagine di un paese che per certi versi è rimasto lo stesso di quarant’anni fa e sembra non evolversi, anzi, scende sempre più in basso, trascinato da deleterie ideologie, cattiva televisione, da brutti libri e da pessima musica.

Sincero, deprimente, divertente…Brava Silvia.

(Silvia Dai Prà “Quelli che però è lo stesso” 2011, Laterza)

venerdì 30 dicembre 2011

Natale, Natale, Natale: "Le correzioni" Jonathan Franzen


C’è una categoria di libri che potremmo definire imbarazzanti. Ai due estremi di questa categoria ci sono libri bruttissimi, sconclusionati, che annichiliscono perfino la nostra voglia di farli a pezzi parlandone male (mi viene in mente un volume che mi fu prestato un paio d’anni fa e sul quale non riuscii a scrivere una riga), e libri sublimi che ci assorbono completamente, diventano un’ottima ragione per non uscire la sera, e quando finiscono ci lasciamo esterrefatti, senza parole.
Jonathan Franzen ha scritto un’opera che appartiene a questo estremo, che parla della fragilità dell’occidente, della scomparsa di un’America sconfitta dal tempo, dell’attesa del futuro. E’ un libro che mette in scena la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, con tutto il dolore e la speranza che questo comporta, tanto bello che non si sa bene come recensirlo.
Proviamoci.

La famiglia Lambert, protagonista del libro, incarna l’America tutta. Ognuno dei suoi componenti vive le conseguenze e le contraddizioni del proprio paese e della propria storia famigliare: i tre figli, l’intellettuale idealista Chip rovinato da una studentessa che lo ha sedotto, l’affarista Gary, uomo di apparente successo eppure titolare di una fragile posizione nella propria famiglia dove di fatto è sottomesso psicologicamente alla moglie Caroline, la più giovane Denise, chef rampante che scopre la propria bisessualità, sono vittime dell’educazione rigidissima del padre Albert, un ingegnere ferroviario che per tutta la vita ha cercato di “correggere” sé stesso e gli altri secondo ideali reazionari e bacchettoni eliminando tutto ciò che considera debolezza (piacere), sia una pausa caffè durante l’orario di lavoro o il sesso, pure se consumato con la propria moglie.
Ora che è malato, in preda ad assurde allucinazioni con uno stronzo che salta beffardo sulle lenzuola del suo letto, e non in grado di controllare nemmeno gli sfinteri, tutto il mondo collassa su di lui e sulla moglie, Enid, una donna non intelligente che lo ama nonostante la sua durezza e che-delusa da tutto, affaticata dalla gestione di un uomo intrattabile e malato- concentra tutte le proprie aspettative di felicità sul classico dei classici, la celebrazione del Natale in famiglia, con i propri figli e nipoti.

Così, mentre i loro figli affrontano la propria inadeguatezza agli standard paterni, i sensi di colpa e cercano di portare avanti come meglio possono esistenze che avrebbero tutti gli elementi della normalità ma normali non riescono ad essere, Albert ed Enid (sempre più distanti l’uno dall’altra) cercano di vincere ognuno la propria battaglia personale per non andare a fondo, e gli eventi precipitano in maniera surreale ed inesorabilmente verso la voragine Natalizia che tutto dovrebbe aggiustare e portare ad una soluzione consolatoria.
La famiglia, considerata organismo di base della società occidentale, viene sezionata e scomposta nei suoi  meccanismi e componenti minimi -individui imperfetti di cui il lettore conoscerà segreti, percorsi inaspettati nel mondo delle droghe, pensieri virtuosi e meschini. 
E dietro la perfezione che Enid cerca disperatamente di mostrare ai vicini ed Albert ha imposto ai propri cari si nasconde l’infelicità generata da errori mai corretti che si protrae fino a quando il mondo dei Lambert giunge alla catastrofe, spazzato via con tutte le sue certezze e le sue paure dal tempo e dalla malattia.
La storia di ogni personaggio è contemporaneamente una vicenda singola segnata da una volontà autonoma e a volte autodistruttiva, un frammento di delirante vita famigliare collegato a decine di altri, ed un pezzo di società americana alla vigilia di un cambiamento. Ognuno è se stesso e una parte del tutto.

Franzen è un autore colto, sensibile e molto abile, in grado di produrre un romanzo di quasi seicento pagine in cui non ci sono cadute di ritmo e del quale si segue ogni parola senza che il pensiero di saltare avanti ci tocchi, capace di ritrarre con giusto distacco l’animo umano, mettendone in evidenza le virtù e le debolezze e lasciando solo al lettore il giudizio ultimo sui suoi personaggi.

Impossibile esaurire in una recensione tutti i pensieri e le sensazioni che suscita una lettura del genere: questi sono modesti, incompleti spunti per convincervi a leggere un romanzo secondo me assolutamente imperdibile. Capita di rado di leggere qualcosa di tanto bello.

(Jonathan Franzen "Le correzioni" 2005 Einaudi)

domenica 18 dicembre 2011

Alla ricerca del Tesoro

Quest'anno la visita al "Salone del Libro Usato" di Milano è stata più breve (anche a causa del percorso accidentato per arrivarci a piedi, dato che la zona è selvaggiamente cantierizzata), appena due ore.
A livello di quantità dunque potremmo parlare di un bottino abbastanza misero (neanche dieci libri tra me ed il fidanzato), ma bastano questi due titoli per giustificare la gimcana tra le recinzioni attorno a FieraMilanoCity e le due ore di paziente ricerca tra le bancarelle.
Dei Fratelli Strugatzki ho già parlato in passato e data la penuria di loro scritti disponibili in Italiano, il recupero di "Passi nel Tempo" è una piccola Epifania.
"Venere sulla Conchiglia" è invece firmato da Kilgore Trout, autore preferito di Billy Pilgrim e protagonista di "Cronosisma" nonchè l'alter ego di Kurt Vonnegut (il disegno in alto a destra di questo blog è il ritratto di Trout che proprio l'autore di "Mattatoio 5" disegnò).
Non sapevo che Kurt si fosse dedicato a dare corpo alle fantasie del suo personaggio e ci sarei cascata se, spulciando neanche troppo accuratamente Wikipedia, non avessi scoperto che proprio questo volume è in realtà opera di Philip Josè Farmer, autore di fantascienza statunitense, che pare (sempre da fonte Wikipedia) esser stato uno scrittore dissacrante col grande merito di aver introdotto nella fantascienza l'elemento del sesso. In effetti questo romanzo si apre con una scena di sesso, cosa abbastanza inusuale per un romanzo di Vonnegut, che lungi dall'aver evitato l'argomento (ricordo ad esempio la prima notte di matrimonio di Billy Pilgrim e sua moglie Valencia), lo ha sempre trattato senza il carnale coinvolgimento che dimostra questo Kilgore Trout.

Pare comunque che Vonnegut non sia rimasto particolarmente lusingato dal lavoro di Farmer. Forse ci vide una furba operazione commerciale (e come non pensarlo? Negli anni 70 Vonnegut era uno degli scrittori americani più conosciuti) o forse perchè Kilgore Trout è in realtà -come tutti i suoi personaggi migliori- una figura tragica, i cui geniali racconti e il dramma personale non avranno mai giusto riconoscimento e consolazione...

Se siete interessati ad approfondire l'argomento andate sulla pagina di Wikipedia dedicata a Trout, dove troverete anche links ad alcuni siti a lui dedicati.
Vi segnalo anche questo interessante articolo che esplora attraverso la storia di questo romanzo le vicende dei falsi letterari

mercoledì 7 dicembre 2011

Salone del Libro Usato 2011

Vi ricordo che da oggi 7 dicembre fino a sabato 10 dicembre a Milano si svolgerà il Salone del Libro Usato!
Tutte le informazioni qui...

lunedì 31 ottobre 2011

Come gamberi: "Galapagos", di Kurt Vonnegut

Kurt Vonnegut inventò la macchina del tempo molti anni fa. Più efficiente di qualunque worm-hole egli è stato in grado di manipolare questa dimensione al suo volere, come fosse Pongo: non solo in “Mattatoio 5” -in cui è frantumata e ricomposta mille volte come se non fosse infine importante una successione logica (temporale, appunto) degli avvenimenti- ma anche in molti altri romanzi, a partire da “Le sirene di Titano” fino a “Cronosisma”, che ha appunto per tema il sovvertimento del tempo come noi lo conosciamo.
“Galapagos” è l’ennesimo esercizio di quest’arte quasi filosofica per Vonnegut: una voce dal futuro che parla al passato di eventi che all’atto della lettura sono al futuro, ma che di fatto (svolgendosi la vicenda nel 1986) sono ormai al passato. Bisogna esserne capaci.

Protagonisti di questa avventura che porterà l’umanità alla sua estinzione, almeno per come la conosciamo, sono: un cacciatore di vedove che punta su un aspetto miserevole per fare colpo, un’ex insegnante di scienze e vedova, un faccendiere ricchissimo con una figlia cieca, uno scienziato giapponese e sua moglie, due fratelli –uno direttore d’albergo e l’altro capitano di marina- un cameriere, Jaqueline Onassis, Rudolf Nurejev, eccetera, eccetera.
Un’umanità quando mai variegata e disperata che si accalca, alla vigilia della fine del mondo come lo conosciamo, sulla costa di un paese ridotto alla fame (l’Ecuador), dalla quale dovrà salpare la lussuosa nave “Bahia de Darwin” per la Crociera Natura del Secolo.

Ma sappiamo da subito che farà poca strada, che molti personaggi moriranno, e quando moriranno. E sappiamo anche che tra milioni di anni, quando cioè la storia viene raccontata dalla voce del fantasma di un operaio americano morto nei cantieri in cui la nave fu costruita, l’uomo non avrà mani né gambe né un cervello grosso come quello di cui disponevano –al tempo- i protagonisti.

Vonnegut riesce a controllare perfettamente questa complessa strutturada maestro quale è, ma la macchina narrativa stavolta sembra avere troppi bottoni e manopole; è tale l’impegno richiesto per farla funzionare che l’equilibrio tra testa e cuore va irrimediabilmente perduto: l’umorismo triste ma irresistibile che ti costringe a ridere piangendo, gli intrecci sorprendenti tra esistenze apparentemente separate che si trovano legate da un piccolo particolare, le ironiche tragedie di ogni minuscola comparsa, sono eclissate dalla potenza del grande cervello di  Kurt, ansioso di controllare il dispositivo alla perfezione.
Non troviamo nel racconto nessun vero personaggio con una personalità, nessuno che interessi l’autore abbastanza da soffermarsi sulla sua storia e sul suo carattere abbastanza da farlo emergere  per rappresentare adeguatamente la tragedia che sta per inghiottire la razza umana.
La struttura è così rigida che non riusciamo neanche ad immaginarci i protagonisti muoversi, sono immobili, imprigionati senza voce (praticamente i dialoghi sono assenti) in un gelido tableaux vivant o (per citare Vonnegut stesso) in un blocco d’ambra.
Ironia del romanzo, è il Mandarax, un dispositivo in grado di tradurre da e verso moltissime lingue nonchè pedante dispensatore di sagge citazioni, l’unico personaggio minimamente approfondito nella sua fissità elettronica, e forse il vero alter ego dello scrittore, nonostante la confessione finale della voce narrante, che contiene il vero colpo di scena per tutti i Vonnegutiani e l' unico messaggio che stesse a cuore al nostro Kurt. Queste sono le pagine più calde e commoventi, anche se forse arrivano troppo tardi.

Nonostante questo non sia ( a mio modesto parere) un bel libro di Kurt Vonnegut -e chi mi conosce sa quanto mi costi in termini affettivi ammetterlo- ci restituisce ancora una volta (forse troppo nitida) un’immagine del suo autore, un uomo che non aveva più fiducia nel genere umano e che vedeva come sua sola salvezza la “regressione” intellettuale, la scomparsa di tutte le passioni dettate dall’intelletto, la rinuncia a tutto quanto costruito in millenni di storia.

Anche un’opera imperfetta può –quando lo scrittore è di valore- dare ispirazione.

(Kurt Vonnegut “Galapagos” 2004 Tascabili Bompiani)

mercoledì 31 agosto 2011

Dalle note alle pagine

Ciambella mi ha segnalato questo bel libro per bambini, "Space Oddity", dell'illustratore Andrew Kolb. Come i fan di David Bowie avranno subito capito, si tratta di una trasposizione della bellissima, inquietante canzone  risalente al periodo in cui era il re del glam rock, tutto tinte, scarpe a zeppa e trucco glitter.                          Lo stile dei disegni si rifà alla grafica degli anni 50'/60' ed il libro è anche scaricabile in pdf dal sito dell'artista in cui troverete tra le tantissime immagini anche contributi ai film della Pixar, le istruzioni per fare un White Russian con tutti i personaggi de "Il Grande Lebowski" e una bellissima illustrazione di animali.

Sempre in ambito libri illustrati per bambinetti con rock feeling, ecco "Yellow Bird Project" un progetto no-profit con base a Montreal, finalizzato al finanziamento di associazioni per la cura di malattie come l'AIDS o per la difesa dei diritti politici e civili (tra cui Amnesty International), che pubblica divertenti volumi da colorare ispirati alla musica indie. Tra le band coinvolte segnalo Wolfmother, The Shins, King Creosote (mamma, se suonano indie questi nomi!!), Elvis Perkins e Devendra Banhart. I volumi sono reperibili in Italia, ma si possono anche ordinare dal sito, che vi consiglio di visitare, è molto divertente e colorato.
Infine, con lo stesso concetto ma indicato forse ad un pubblico più maturo, "Bob Dylan Dream" di Matteo Guarnaccia, pubblicato da VoloLibero Edizioni, è un libro che ricorda i grandi album con giochi e tavole da colorare e ritagliare che ci facevamo regalare da piccoli quando andavamo in vacanza. Diciamo che visto il costo (36,90 eur) e la tiratura limitata (1000 copie numerate) forse i collezionisti dovranno resistere alla tentazione di metterci mano direttamente con matite e forbici e sfogarsi su delle fotocopie. Per maggiori informazioni cliccate qui.

martedì 16 agosto 2011

Presto, un'aspirina! Nick Hornby "Febbre a 90"

Prologo: io e il calcio

1) In generale lo sport non mi piace, non mi piacciono i soldi che ci vengono spesi, mi sembrano troppi. Qualunque sport per me è un gioco e non vale la pena di prendersela se si perde..

2) Sono calcisticamente atea, il calcio non esiste o almeno ne sono convinta io. E se anche esistesse non mi piacerebbe. Mio padre lo odia, il mio fidanzato è un tifoso di quelli che si accontentano di leggere i risultati sul televideo, nessuno nella mia famiglia (nemmeno il giovanissimo cugino) prova attrazione per esso. Ho iniziato a seguire le partite della Nazionale grazie ai commenti di Radio Popolare e della Gialappa’s Band, che sdrammatizzano la faccenda cogliendone i lati ridicoli, insomma per farmi due risate.

3) Anni fa quando ero a Londra ebbi un fugace innamoramento per l’Arsenal: ci giocava Tierry Henry, era una squadra operaia ed ero rimasta colpita dallo stadio di Highbury in architettura Liberty inserito tra le casette del quartiere (a Milano è una cosa impensabile!) e dalla stazione della metropolitana di Arsenal, dove sono riportate vecchie immagini della squadra e addirittura i disegni di molti piccoli sostenitori, lo trovavo tenero.

4) Una delle cose che mi hanno spinta a dare le dimissioni dal lavoro d’ ufficio che facevo è stata l’incessante tiritera calcistica dei colleghi: si parlava di calcio(e sempre della stessa squadra) dal lunedì al venerdì con qualunque scusa possibile, ripassando a memoria le partite della domenica, del mercoledì e prospettando i risultati degli anticipi del sabato.

5) Il mio giocatore preferito è Khan, perché era divertentissimo vederlo arrabbiarsi coi giocatori della sua squadra, e poi aveva dei basettoni che lo facevano sembrare molto old fashion.

Lui e il calcio

Inizialmente pensavo che questo libro fosse stato scritto come una specie di lunga giustificazione nei confronti delle donne che non amano il calcio, in modo da farsi comprendere da loro. In realtà, si tratta della storia di passione patologica per questo gioco,che condiziona ed influenza (molto al di là della mia personale comprensione) la vita dell’autore sin dall’età di 14 anni, quando suo padre lo portò per la prima volta ad assistere ad una partita dell’Arsenal. Lui era andato solo per fargli piacere ed invece di annoiarsi, come aveva temuto, si trovò fulminato sulla via di Damasco.
Niente fu uguale dopo quel giorno (14 settembre 1968) ed il calcio s’è spesso intrecciato così strettamente con le sue vicende personali che per molto tempo Hornby fu convinto che il suo destino fosse indissolubilmente legato a quello della sua squadra in una specie di tandem demenziale.

Comico a pensarci, o spaventoso. Se c’è un metro su cui valutare la propria esistenza, la propria capacità di reazione alle avversità della vita e le proprie ambizioni, lui lo individua in questo sport ed in questa squadra, e si fa un sacco di domande su come la vita vera potrebbe interferire con il suo essere tifoso, e come si comporterebbe, ben sapendo (di questo bisogna dargli atto) che le sue reazioni sarebbero esagerate ed incomprensibili per quasi tutto il resto del mondo.
Perché Hornby sa benissimo di  non essere completamente “a posto” o almeno finge questa consapevolezza, quando ad esempio confessa l’assurda gelosia che provò quando la sua ragazza divenne tifosa dell’Arsenal, al punto che (meschinamente, per sua stessa ammissione) le fece capire che lui è l’unico, vero tifoso della coppia.

I ricordi del padre, del rapporto con la sua famiglia allargata e delle sue ragazze, della sua carriera scolastica e lavorativa seguono di pari passo le sue vicissitudini di tifoso, il suo interesse per la squadra locale del Cambridge negli anni dell’università, quando andare a Londra ad Highbury era troppo lungo e dispendioso.
Come Louise Rafkin in “Lo sporco degli altri” (recensito precedentemente in questo blog) entrava in ogni particolare riguardante il mondo delle pulizie, Hornby penetra in tutte le minute pieghe del fenomeno calcistico, dalle squadre di provincia le cui partite sono seguite da una serie di personaggi strampalati (una delle parti più divertenti), al problema dell’agibilità degli stadi britannici.
Non si risparmia nulla e (a volte con coraggio) critica il sistema del calcio professionistico e lo stesso Arsenal (non solo per il gioco). Affronta anche i temi del razzismo e degli hooligans e segnalo l’episodio dello stadio Heysel che rappresenta uno dei paragrafi più dolorosi ed intensi di tutto il libro.Ci si poteva aspettare che dato il suo grado di ossessione ci passasse sopra, invece con il pragmatismo che è patrimonio dei popoli nordici prende posizione e riconosce (diversamente che in Italia, dove il calcio è ormai diventato il Circenses che serve a distrarre gli allocchi dai veri problemi) che non è tutto bello e che col gioco ormai si trascinano interessi di ben altro tipo che spesso avvelenano il piacere del seguire la propria squadra.

Su tutto comunque si percepisce una sorta di autocompiacimento dello scrittore nel verificare quanto oltre la sua passione sia arrivata, al punto di dettare le priorità alla sua vita ma anche quella di chi gli sta attorno; l’episodio in cui narra di non essere andato ad una festa di compleanno di una cara amica (a cui per atro erano state invitate solo cinque persone) perché all’ultimo momento era stata spostata proprio in quella data una partita dell’Arsenal è di quelli che lasciano esterrefatti e non fanno proprio ridere. Lui riconosce che il suo comportamento sia stato deprecabile (o-come  dicevo- fa finta di riconoscerlo), ciononostante non solo l’ha fatto, lo rifarebbe!!!
Quindi non so quanto si possa considerare divertente nel complesso una confessione del genere. Si sorride spesso, ma non sono riuscita a superare la sgradevole sensazione che non ci sia niente di comico nell’ossessione dello scrittore, che fagocita e condiziona ogni scelta. In fondo cosa penseremmo di un drogato di gioco d’azzardo? Ci farebbe ridere una situazione del genere?

Dal punto di vista della scrittura “Febbre a 90” è molto gradevole, senza però picchi di stile; la lettura è veloce e la suddivisione del testo in brevissimi capitoli (uno per ogni partita "del cuore") rende possibile prenderlo e ri-prenderlo con una certa facilità (qualità molto utile soprattutto quando il tempo per leggere è poco e frammentato). Manca però a mio avviso la cattiveria, l’ironia acida che caratterizza lo humour britannico e ce lo fa tanto amare: penso ad Oscar Wilde, ad Alan Bennet e a come avrebbero scritto un libro del genere. Ci sono certamente umorismo e autorironia, ma Nick Hornby non sembra avere avuto (ai tempi) il coraggio di osare troppo.

(Nick Hornby “Febbre a 90” 2008, Guanda Editore)

giovedì 14 luglio 2011

In precario equilibrio: A.L. Kennedy "Gesti Indelebili"

Ultimamente sto scoprendo una serie di talentuose narratrici, tra cui A.M. Homes e Stacey Richter, che chi segue questo blog (ma non solo, la Homes è già autrice affermata) avrà già sentito nominare.
E' ora il turno di A.L. Kennedy, scozzese, di cui avevo addocchiato tempo fa "Geometria Notturna". Facendo qualche piccola ricerca ho scoperto che ha scritto veramente molto, anche per bambini, e che (abbastanza curioso) ha una carriera parallela come stand-up comedian. Per caso mi sono trovata a fare la sua conoscenza letteraria partendo da questa raccolta di racconti, ma ora che l'ho letta non mi farò scappare gli altri suoi volumi.

La solitudine, l'amore irrazionale, totale e irraggiungibile, il desiderio che sopraffà la razionalità ed il buon senso sono i protagonisti di queste storie intense, che una scrittura tesa che non perde un colpo ci fa sentire fisicamente, nella nostra carne.
I personaggi di queste dodici storie sono uomini e donne prigionieri del sentirsi soli, di segreti inconfessabili e desideri inesprimibili ed inesaudibili, dolori intimi e nascosti sui quali hanno costruito la loro quotidiana "normalità". Ma è sufficiente un gesto e la routine che li proteggeva è distrutta e loro sono scoperti, fragili e nudi.
Molti racconti appaiono come istantanee del momento in cui la maschera va in pezzi, descrizioni di situazioni apparentemente statiche attorno alle quali vorticano passato e presente, ciò che è stato e ciò che potrebbe essere: un uomo incapace di accettare  la propria omosessualità di cui sembra diventare consapevole in un istante, un bambino imprigionato dal terrore della violenza domestica di cui è testimone, una donna innamorata di un uomo che mai lascerà la moglie cerca di raccogliere su di sè il più possibile di lui e un'altra, presa da una specie di delirio in una camera d'albergo.

Il sesso, vissuto, ricordato o sognato, attraversa i racconti, li tiene insieme gli uni agli altri facendone un blocco solido: sesso d'amore, dolore, malattia, rabbia. Una forza alla quale i protagonisti (con l'eccezione di un racconto) non riescono a sottrarsi, e che dà la misura della loro felicità ed infelicità, animati come sono dalla necessità di essere completi, di non essere ancora soli. Ma non pensate che una scrittrice così in gamba e raffinata sia prevedibile, all'ultima pagina vi sorprenderà ancora.

Potete giurarci, non è che il primo dei post che dedicherò a A.L. Kennedy.
Vi lascio con il link del suo sito.
(A.L. Kennedy "Gesti Indelebili" 2006 Minimum Fax)

domenica 26 giugno 2011

"Mai toccato da mani umane", Robert Sheckley

Circondata dai libri dell'Università, mi sono concessa questo vecchio Urania Mondadori dei tempi in cui Fruttero e Lucentini si occupavano di quella collana (non ci dovrebbero essere problemi a reperirlo, è stato rieditato) prestatomi da un giovane cugino.
Una manciata di racconti di fantascienza divertenti, a volte sarcastici e dotati di una certa preveggenza per il futuro, non tecnologico ma sociale.
La partenza non è particolarmente scoppiettante, con la storia che dà il nome alla raccolta, un gran bel titolo per una vicenda dalla trama interessante che però si esaurisce in un deludente giochetto.
Più divertente è "Pellegrinaggio alla Terra", in cui un paesano proveniente da un pianeta colonizzato secoli prima dagli umani, visita per la prima volta la Terra, trovandovi un luogo in cui la morale è capovolta ed in cui succedono cose per lui incredibili, ma che oggi come oggi non sorprenderebbero molte persone.
"La montagna senza nome" è assai gustoso, soprattutto se ne avete le scatole piene di come l'umanità sta trattando il pianeta: evoca infatti un mondo futuro (quanto mai vicino al nostro presente) in cui l'uomo fa esattamente quello che fa oggi, usa in modo strumentale, a proprio esclusivo uso e consumo la Natura, che si sa è paziente, ma fino ad un certo punto
I racconti più riusciti del volume rappresentano società aliene, siano queste su un altro pianeta come ne "I mostri" e in "Criminali Cercansi" o l'evoluzione malata della nostra civiltà, come mostrano "La decima vittima" e "L'accademia". In entrambe i casi dobbiamo confrontarci con nuove moralità, dettate da una logica extraterrestre o da un progresso imprevedibile del genere umano.
In queste storie Sheckley ci presenta con grande divertimento l'inaccettabile (o ciò che consideriamo tale) come la normalità - di più, lo status quo- ed il controllo estremo dell'individuo come quotidianità, costringendoci a meditare non solo sui cambiamenti della società umana e sulle pericolose derive dettate dal desiderio dei governi di creare masse tranquille e controllabili, ma anche su quanto giusta sia la nostra scala di valori "terrestri"(leggi occidentali) e su quale sia la nostra capacità di comprensione della diversità altrui. Quanto mai attuale.

Chiude la raccolta il delizioso "Il catalogo delle mogli", un racconto romantico che ha per protagonisti un colono, una moglie per corrispondenza e una schiera di esilaranti robot. Sarebbe ottimo materiale per un allegro, colorato musical con lieto fine e tanti balletti meccanici, magari sullo stile della "Fabbrica di cioccolato" di Tim Burton. Pensaci Tim!

(Robert Sheckley "Mai toccato da mani umane" Classici della fantascienza Mondadori Urania)

venerdì 13 maggio 2011

Se siete a Berlino questo fine settimana...

Sabato 14 maggio si celebra a Berlino in Oranien Strasse la 13ma Lange Buchnacht, ovvero la Lunga Notte dei Libri.

In questa via di Kreuzberg si terranno incontri con gli autori, mostre, concerti e iniziative varie legate ai libri.
C'e' anche un programma pe ri piu' piccoli. Il programma completo lo trovate su...

http://www.lange-buchnacht.de/

Questa manifestazione e' ormai cosi rinomata dall'essere stata copiata non solo da altre zone di Berlino, come Moabit, ma anche da altre citta'.

(Grazie a Ciambella per questa notizia!)

sabato 7 maggio 2011

Reazioni inconsulte

Devo ammettere che quando vedo qualcuno in metrò che sfoggia il suo ebook reader mi viene una voglia difficilmente controllabile di farglielo cadere e calpestarglielo, per passargli poi davanti col mio amato volume cartaceo che può cadere mille volte e rimanere sempre leggibile...

mercoledì 4 maggio 2011

L'amore che sfugge: "Bugiardi e innamorati" Richard Yates

Ultimo in ordine di pubblicazione per Minimum Fax, questo libro di racconti toglie il fiato.
La cosa che affascina da subito il lettore e lo stringe in un abbraccio ineludibile è la precisione con cui Yates descrive i meccanismi del sentimento umano, cioè tutti quei minuti pensieri (a volte neanche coscientemente formulati) e quelle reazioni istantanee, non mediate, che rivelano la natura dei personaggi.
Li osserva, come uno dei tanti bambini che assistono alle vicende che coinvolgono i loro genitori con rassegnazione, e ci trasmette la sensazione dell'ineluttabilità del fallimento di ogni relazione. Per quanto bene possa iniziare, ogni rapporto amoroso contiene il seme della sua fine: le reciproche incomprensioni, gli egoismi, la schiavitù delle convenzioni sociali e la paura profonda di un totale abbandono guidano i protagonisti di quasi tutte le storie verso la separazione.
E anche quest'atto definitivo è spesso penoso, rimandato all'infinito (soprattutto dagli uomini), fino a quando non è più procrastinabile.
Ci sono molti genitori in questo libro, ma soprattutto madri, quasi sempre divorziate o vedove, opprimenti e inadeguate al loro ruolo, crescono distrattamente figli disorientati dai continui spostamenti, cambi di uomini, e schiacciati (quando saranno un pò più grandi) dalla loro totale mancanza di autonomia e senso pratico. I loro amanti, fidanzati, mariti, non sono da meno, capaci come sono di tradimento, mancanza di fiducia e di una desolante meschinità.
Ma sono anche disorientati e impauriti: gli uomini dalle donne, delle quali non capiscono l'essenza ed il comportamento sfuggente e (al contrario del loro) pratico e deciso; le donne dagli uomini, da cui hanno paura di essere abbandonate e di cui aspettano sempre una telefonata. Creature fragili che si feriscono a vicenda a causa di un'infantile inquietudine e di una fame d'affetto senza fondo. E tutti loro sono impauriti dall'incertezza del futuro e dal mondo. Non a caso tanti dei protagonisti di queste storie sono reduci della seconda guerra mondiale, che portano con loro tutte le angosce di quell'esperienza.

La scrittura, la descrizione perfetta di ogni pensiero, di ogni istante, danno la sensazione che ogni cosa possa crollare da un momento all'altro, che anche respirare per uno dei protagonisti possa portare ad un cambiamento radicale, alla distruzione di una situazione ormai consolidata e alla fine di tutte le certezze.

Bellissimo.

(Richard Yates "Bugiardi e Innamorati", 2011 Minimum Fax)

domenica 1 maggio 2011

La frase del giorno di George Orwell

"In times of Universal deceit, telling the truth becomes a revolutionary act."
(In tempi di inganno universale, dire la verità diventa un atto rivoluzionario.)

sabato 16 aprile 2011

Life on Mars? Oliver Sacks, "Un antropologo su Marte"

Oliver Sacks è forse il neurologo più famoso del mondo. La sua opera ha il dono di spiegare in modo discorsivo e appassionante i meccanismi di malattie alquanto complesse senza cadere in eccessivi e ridondanti tecnicismi, schiudendo ai più il mondo misterioso nella nostra testa.
I suoi racconti dimostrano come il cervello umano sia capace di qualunque cosa e come la realtà di certe patologie sia molto vicina alla fantasia (specialmente quella dei film di fantascienza degli anni 50) e possa addirittura superarla.
In questo volume vengono raccontate sette storie di persone affette da disturbi singolari e di come la loro vita si sia strutturata o modificata a partire da essi. Com'è il mondo senza colore? E la vita senza memoria a breve termine? Com'è possibile fare il chirurgo se si soffre di Sindrome di Tourette? Com'è realmente il mondo di una persona autistica?
Potremmo immaginare che le risposte a quesiti del genere siano drammatiche, che la vita di queste persone sia segnata in modo totalmente negativo, ma non è sempre così. Certo, quello che accade ai protagonisti di queste storie ha spesso a che fare con la sofferenza, la mancanza o la perdita di una funzione che la maggior parte delle persone possiede.
Tuttavia, la cosa che emerge maggiormente è la capacità di adattamento degli individui a queste situazioni a volte paradossali, tanto che a volte sono alla base di un successo artistico e altre volte la scomparsa di queste condizioni invalidanti può creare problemi anzichè essere un sollievo.
Ad esempio, è sorprendente scoprire che riacquistare la vista per una persona rimasta a lungo cieca può essere un dramma più che una gioia, perchè può distruggere tutte le certezze acquisite in anni di vita senza vista. Il cervello, abituato all'assimilazione di elementi attraverso il tatto, improvvisamente si trova a dover combattere con un altro senso che (letteralmente) non sa come utilizzare e più che d'aiuto si rivela un disturbo.
Ed è abbastanza sconvolgente la vicenda dell'uomo incapace di ricordare compiutamente qualunque cosa non appartenesse alla sua giovinezza, intrappolato dalla propria memoria negli anni settanta o -all'estremo opposto- l'ossessione mnemonica di un pittore Italiano per il piccolo paese in cui era nato che ha certamente qualcosa di patologico, anche se Sacks non lo visita e si limita a fare delle supposizioni su quale potrebbe essere l'origine di questo stato.

La malattia può diventare addirittura un elemento costituente della personalità del "malato", tanto che il medico Tourettico* ritiene la sindrome da cui è affetto una parte di sè e che alcuni autistici descritti nel libro diventano orgogliosi della propria condizione, per quanto possa essere fonte di dolore e certamente di isolamento.

Ci si scopre affascinati e un pò impauriti da questi disturbi che ci portano in situazioni talvolta difficili da visualizzare, e che possono tuttora essere misteriosi anche per la scienza.
In questo senso l'autismo** (di cui vengono illustrati due casi esemplari) è una patologia che suscita grande curiosità, anche perchè le persone che ne soffrono sono a volte (dipende dalla gravità del caso) in grado di razionalizzarla e pertanto di darne una visione dall'interno che è  illuminante, commovente ed agghiacciante allo stesso tempo. Temple Gradin, protagonista del capitolo che dà il titolo al volume, è un esempio incredibile di questa capacità ed è autrice lei stessa di libri sulla propria vita ed il modo in cui percepisce il mondo.
Questa consapevolezza della propria condizione è un elemento della disabilità al quale non siamo ancora abituati, ma che è già radicato anche nella comunità sorda e che credo sia l'indispensabile evoluzione per coloro che sono affetti da questi (ed altri) disturbi. Il riconoscimento della propria diversità come una ricchezza -anche culturale- è la base per l'uscita definitiva da una logica assistenzialista che riduce a poco o niente le aspettative di successo personale, soprattutto lavorativo. La testimonianza della Gradin è la dimostrazione che la disabilità è spesso generata dall'incapacità di una società (e di molti individui) di accettare un piano di vita non omogeneo e standardizzato.

Un libro insomma, che vi darà moltissimo da pensare.

*I sintomi della Sindrome di Tourette sono diversi: impulsi irresistibili a fare movimenti improvvisi e ripetitivi, pronunciare giochi di parole, cedere ad una serie di tic compulsivi, solo per dirne alcuni. In precedenza ho recensito"Testadipazzo" di Jonathan Lethem, che ha per protagonista un giovane Tourettico.
**L'autismo è un fenomeno tanto misterioso quanto grave, di cui ancora la scienza non ha trovato la causa certa (si fanno molte ipotesi e in realtà le cause potrebbero essere molteplici). Le persone che ne sono affette possono avere disturbi di diverso genere, dalla difficoltà di espressione verbale e di relazione, alla mancanza di certi processi di organizzazione delle funzioni cerebrali. Ciò che sconcerta i più è che queste gravi carenze sono a volte accoppiati talenti eccezionali nei campi più disparati: la matematica, l'arte, la musica.

(Oliver Sacks "Un antropologo su Marte"1999 Adelphi)

giovedì 17 marzo 2011

Concorso Letterario "Io Scrittore"

Se avete un romanzo nel cassetto ed avete voglia di tentarne la pubblicazione, date un'occhiata a questo concorso letterario...Attenzione, i termini d'iscrizione scadono il 31 Marzo!

venerdì 11 marzo 2011

Età oscura: "E' difficile essere un dio", Arkadi e Boris Strugatzki

Una delle prime recensioni di questo blog fu "Picnic sul ciglio della strada", forse il più celebre romanzo dei fratelli Strugatzki, ispiratore del film "Stalker".
La fantascienza Russa sembra non avere praticamente niente a che fare con quella occidentale: per quel poco che la conosco mi dà l'idea di utilizzare gli spunti propri del genere per innescare una serie di considerazioni sulla condizione umana che sfociano nella filosofia.
In questo senso "E' difficile essere un dio" è esemplare, una meditazione sul lato oscuro e bestiale dell'umanità che la porta all'autodistruzione, al premiare i tiranni ed a opprimere i giusti, a distruggere in nome di una rassicurante obbedienza ciò che potrebbe trascinarla fuori dal pantano dell'ignoranza e della servitù.

Ci troviamo su un pianeta lontano non si sa quanto dalla terra, il cui nome non conosciamo, ma dove la storia e l'evoluzione sociale, culturale e politica sono mille anni circa indietro rispetto alla nostra. E' questo un mondo dominato dalla paura e dalla superstizione in cui vivono animali leggendari e le cose sconosciute, mai viste prima, diventano visioni, opere di maghi e streghe.
Tra la popolazione ignara vivono alcuni studiosi provenienti dalla terra, specializzati in storia. Si nascondono sotto le spoglie di nobili e frati, il loro scopo è lo studio di questa civiltà arretrata e come novelli David Attemborough hanno il dovere di mantenere un atteggiamento neutro nei confronti dell'ambiente che li circonda limitandosi ad osservarlo. Cosa non facile per Anton, un giovane storico terrestre conosciuto nel Regno di Arkanar come Don Rumata: trova quel mondo barbaro, sporco e ripugnante, non riesce ad abituarvisi nè a rimanere indifferente ai massacri di intellettuali e semplici cittadini che hanno come unica colpa quella di saper leggere e scrivere. La cultura è bandita per editto reale e il non conformarsi con la massa rivelando un carattere autonomo può costare la vita.
Prototipo di eroe leale ed in possesso di abilità e conoscenze fuori dal comune, Rumata si muove tra intrighi e sommosse, assistendo al disfacersi di un ordine ed all'affermarsi di uno nuovo, non per forza migliore.

Geniale critica al potere che si impone attraverso l'ignoranza, la paura e il timor di dio, questo libro lascia esterrefatti per l'analisi perfetta dei meccanismi sociali e politici che ricordano in modo inquietante la realtà Italiana e tutte le situazioni dittatoriali passate e presenti:
"...Erano passivi, avidi ed incredibilmente egoisti. Da un punto di vista psicologico erano quasi tutti schiavi: schiavi della fede, di sè stessi, delle loro rabbiose passioni e della loro avidità. E se per caso uno di essi era nato con uno spirito nobile (...) non sapeva neanche che farsene della propria libertà: si affrettava a diventare di nuovo schiavo". Vi ricorda qualcosa?

L'umanità non ha fatto -contrariamente a quanto accade nel libro- molti passi avanti e ci riconosciamo perfettamente nella popolazione brutta sporca cattiva e fessa del Regno di Arkanar.

La scrittura è impalpabile e visionaria, con alcune scene degne dell'antro del nano in Twin Peaks, c'è addirittura un dialogo assolutamente delirante composto da parole plausibili ma inesistenti.
A mio parere i fratelli Strugatzki eccedono forse in sottintesi, tanto che pure dopo aver finito il libro si rimane come quando ci si sveglia da un sogno, senza la certezza di tutti i fatti accaduti, del perchè e del come. Sicuramente è un effetto voluto, fatto sta che Rumata sembra scivolare simile ad un'ombra in un granitico tableau vivant dove gli abitanti del pianeta agiscono come giocattoli a molla seguendo le loro inclinazioni senza deviarne mai e dove alla fine tutte le imprese dell'eroe non portano alcun cambiamento. C'è in questo un enorme contrasto con la narrativa occidentale che identifica con un protagonista, una sorta di messia laico, la possibilità di riscatto globale. Qui invece domina il pessimismo e la certezza che l'uomo, per quanto bravo, evoluto ed in gamba, da solo non possa far nulla per modificare il corso degli eventi e della storia.

Forse non si tratta proprio di un libro di fantascienza, e personalmente continuo a preferire "Picnic sul ciglio della strada", ma sicuramente si tratta di un'opera acuta, intelligente, che vi darà molto da riflettere anche dopo che ne avrete conclusa la lettura.
E leviamo una preghiera agli editori Italiani perchè si decidano a tradurre l'opera omnia di questi grandi autori Russi, due libri sono davvero troppo pochi!

(Arkadi e Boris Strugatzki "E' difficile essere un dio" 2005 Marcos Y Marcos)

domenica 27 febbraio 2011

Dal mondo dei Libri

Ecco alcune notizie e curiosità dal mondo dei libri. Ringrazio mia sorella Ciambella per la "corrispondenza" da Berlino e il mio amico Doron per la segnalazione di Books2Barcodes

La Biblioteca mobile di Amburgo
Ad Amburgo, in Germania, le persone che non hanno possibilita' di muoversi (anziani, handicappati, etc) possono  ricevere visite da parte del servizio mediatico mobile della Biblioteca di Amburgo.
Prendendo un appuntamento, le persone possono scegliere dal catalogo libri e media che gli vengono recapitati a domicilio.
Per chi lo richiede, il personale non consegna solo il media ma resta anche per leggere all'utente i libri, creando cosi un importante legame tra le persone che sono obbligate a restare in casa e il mondo esterno.
Le persone che girano con la biblioteca mobile sono volontari, in gran parte uomini, che provengono da varie esperienze lavorative, non necessariamente dal mondo della biblioteca.
Essi sono coordinati da un responsabile professionale che si occupa anche di scegliere i media e di fornire un'adeguata istruzione e propone corsi di aggiornamento professionale ai volontari.

Il successo della biblioteca mobile e' sempre piu' grande e l'idea si sta' diffondendo anche in altre città.



Se leggete il tedesco ecco il sito della Biblioteca di Amburgo


Non comprate libri, scambiateli!
Se avete letto un libro e non volete tenerlo, invece di comprarne un altro, potete scambiarlo. Si chiama BookSwap e si realizza attraverso alcuni siti internet. Qui vi diamo due indirizzi, uno di un sito con base in Inghilterra, Read It Swap It e BookMooch che invece è internazionale. 


Libri digitalizzati
Nel sito Books2Barcodes sono pubblicati libri "ridotti" in codici che possono essere facilmente immagazzinati da un dispositivo mobile per la lettura dei codici a barre e poi riconvertiti in testo leggibile da noi umani ...Nel link trovate niente meno che l'Ulisse di James Joyce...

domenica 20 febbraio 2011

venerdì 11 febbraio 2011

Ebook o non Ebook?

Viaggiando sui mezzi pubblici ho la possibilità di capire quale sarà il gadget elettronico che verrà lanciato con più entusiasmo dal mercato. Inizialmente sono pochi a farne sfoggio, l'mp3, il telefonino touch screen, il computer portatile, l'Ipad: poi, in qualche mese le carrozze del metrò si riempiono di emulatori che hanno ricevuto l'aggeggio in questione in regalo o se lo sono comprato a rate.
Quest'anno è la volta del'Ebook. A giudicare dallo spazio dedicato ai lettori portatili nelle grandi librerie e dalla quantità di persone a cui l'ho visto in mano nel mese di dicembre, suppongo che sia stata questa la strenna elettronica alla moda del Natale appena passato..

E visto che l'altro giorno m'è stata chiesta un' opinione su questo modo nuovo di leggere, eccola qua, personalissima e passibile (ma non so quanto) di cambiamenti.

L'ebook affascina le persone fondamentalmente per due motivi, il poco spazio occupato (cosa che lo rende altamente portatile) e la quantità di testi che può contenere. La vostra intera biblioteca potete portarvela dietro in ogni luogo in cui andiate. E' anche in grado di connettersi direttamente con la rete qualora nel libro che state leggendo sia contenuto dell'ipertesto, si può passare agevolmente da una pagina all'inizio del libro a una che si trova in fondo, attingere a banche dati correlate, immagini, video.
Non mancano i problemi, soprattutto di formato (i libri elettronici possono essere pubblicati in diversi formati non tutti compatibili con tutti i lettori),  in pochi anni dovrebbero essere per la maggior parte risolti.
In ogni caso gli schermi oramai non sono più fastidiosi da leggere come nella prima generazione di readers e (cosa importantissima) i libri elettronici costano la metà di quelli cartacei (ecologico; almeno finchè non ti devi disfare del vecchio lettore, che come i telefoni cellulari ormai defunti se abbandonato nell'ambiente può essere molto inquinante) e possono essere acquistati online (comodo).

Ecco, detto tutto questo a me gli ebook non piacciono. Perchè non sono libri. Non hanno la fisicità del libro, l'odore del libro, non si possono toccare, afferrare come libri. Si accendono, si spengono, dipendono dall'elettricità. Le pagine non fanno rumore quando le giri, perchè non ci sono. Non occupano spazio.
I readers di ebook non si possono maneggiare come libri, maltrattare, buttare in fondo allo zaino  senza paura che si rovinino, bisogna proteggerli, starci attenti, coprire lo schermo con una pellicola. Gli ebook eliminano tutto il piacere fisico e tattile della lettura e impoveriscono d'entusiasmo l'azione del leggere. Quando mi arriva un pacco di libri o me ne vado a comprare uno in qualche negozio torno a casa e non vedo l'ora di rigirarmeli tra le mani, sfogliarli, leggere terza di copertina. E iniziare a leggerli. Pensate quale emozione possa dare un download.
Ultima osservazione, un libro te o puoi portare OVUNQUE, un lettore di ebook funziona ad elettricità quindi dovesse capitarti di naufragare su un'isola sperduta dove non ci sono prese elettriche, non avresti neanche la possibilità di leggerti un libro.

I sostenitori dell'ebook ribadiranno che con i libri cartacei non è possibile portarsene dietro più di due o tre, mentre la tua intera collezione può essere sempre con te dentro un e-reader. Ma se stai leggendo un libro, che bisogno c'è di portarsene dietro altri cento o mille?
Mi viene in mente quello che è accaduto con l'mp3 quando ha sostituito il Walkman: quando dovevi portarti appresso il cd player o il mangiacassette potevi ascoltare uno, al massimo due dischi in un giorno, e allora dovevi selezionare, pensare, essere sicuro di voler ascoltare proprio quel disco. Da quando possiamo permetterci di scegliere fra centinaia di album e canzoni tutti compressi in un apparecchio minuscolo e superportatile, passiamo più tempo a saltellare da un titolo all'altro che ad ascoltare musica. Noia e capricci.


Ci sono iniziative come Smashwords che sfruttando l'economicità del mezzo elettronico permettono a chiunque di pubblicare un ebook, favorendo la diffusione di opere di autori giovani e sconosciuti, ma il sogno di ogni scrittore, ci scommetto, è quello di stringere in mano un volume col proprio nome in copertina.
Illustrazione di Gregg www.whatthegregg.com
Sicuramente nell'ambito scolastico-educativo il libro elettronico può essere molto utile: innanzitutto perchè non sembra un libro (i giovani, ahimè, spesso sono spaventati dagli ammassi di pagine) e grazie all'ipertesto dà la possibilità di collegare diversi argomenti ed approfondirli. Può aiutare gli studenti disabili ad acquistare una certa autonomia nello studio a casa.Inoltre, considerati i costi dei libri scolastici cartacei ed il loro peso, potrebbe avere una grandissima diffusione  in questo campo.
Pensiamo poi ai testi universitari, tanti, alcuni difficili da trovare: se fosse possibile scaricarli da internet, recuperare l'intera bibliografia di un corso di laurea prenderebbe qualche ora al massimo.

Ma sono ambiti in cui non sono coinvolte le emozioni e le sensazioni.
Se voglio leggere Vonnegut o Wilde o Lansdale...No, non posso farlo con una scatola di cioccolatini schiacciata.

Per concludere, ecco il blog di Microcosm Publishing , una piccola casa editrice americana no-profit che si offre di ritirare il Kindle (lettore di ebook) ricevuto a Natale e scambiarlo con LIBRI VERI!

domenica 6 febbraio 2011

Un pomeriggio: Alan Bennett "La cerimonia del massaggio".

Alan Bennett (del quale ho già letto "Nudi e Crudi", precedentemente recensito) ha il dono della sintesi. I suoi libri sono minuti rispetto a quelli di altri autori e concentrano in poche pagine la visione del mondo spogliata della sua retorica ed acidamente esposta in tutta la sua meschinità.

In questo libro, che potrebbe -o probabilmente lo è già stato- essere facilmente tradotto in un'opera teatrale, ci troviamo all'interno di una chiesa alla periferia di Londra, dove si celebra una funzione  in ricordo di un uomo morto a soli 34 anni alla quale partecipano moltissime persone famose: giornalisti, scrittrici, presentatrici della televisione, attori, cantanti. Eppure lui, il morto non era famoso, almeno non in apparenza.
In realtà conosceva molto bene tutti i convenuti, e di ognuno -perfino del prete officiante- sapeva molti segreti. Era un massaggiatore, bravissimo, e un disinvolto gigolò. Tutto ruota intorno al suo ricordo, il ricordo del suo corpo, della sua persona, di ciò che faceva.
L'atmosfera è carica di elettricità, potrebbe succedere qualunque cosa a partire da questi ingredienti. Ed in effetti le sorprese non sono poche, la cerimonia diventa un rito catartico, una specie di psicodramma attraverso il quale emergeranno i caratteri delle persone, le loro ipocrisie e paure.

Bennett analizza in modo secco e ricco di humour l'atteggiamento della società e della chiesa nei confronti dell'omosessualità, la superficialità della televisione e perfino la perfidia degli editori. Tutti i difetti  dell'alta borghesia sono analizzati, resi pubblici. La scena è apparentemente immobile e vagamente claustrofobica, una specie di tableau vivant; eppure attraverso quei pochi accadimenti si costruisce un'esperienza che per molti sarà rivelatoria. Più di tutti Padre Joliffe ne uscirà cambiato, rasserenato e comunque grato ancora una volta a Clive.
Per tutto il libro Alan Bennett parla di cerimonie come rappresentazioni teatrali, spettacoli. Siamo tutti attori ai suoi occhi, recitiamo la nostra parte e nascondiamo agli altri i nostri inconfessabili segreti.

Devo dire che nonostante questo libro sia praticamente perfetto, composto con misura invidiabile e stile, avrei gradito qualche decina di pagine in più, non perchè i caratteri non emergano o ci sia una mancanza di completezza, ma perchè il piacere di questa lettura è veramente molto, molto breve.

(Alan Bennett "La Cerimonia del Massaggio" 2002, Adelphi)

sabato 5 febbraio 2011

Sos Libri

Ecco un'iniziativa interessante: l'Associazione Culturale Diogene recupera dalle case editrici libri che andrebbero al macero, li dona alle biblioteche e ne mette in vendita una parte sul proprio sito. Tutti i libri hanno il prezzo fissato a 3 euro l'uno. Ci sono diverse sezioni, dalla letteratura alla musica al cinema, sia di autori sconosciuti che famosi. Vale la pena di farci un giro. Per tutti i dettagli SosLibri.

Eco-Libris

Per tutti voi lettori attenti all'ambiente la possibilità di leggere libri di carta superando i sensi di colpa relativi al taglio delle foreste...Su questo sito potete acquistare e far piantare un albero per ogni libro.

Di uomini e canzoni: Paolo Sorrentino "Hanno tutti ragione"

"Io sono un istrione,
 ma la genialità è nata insieme a me...." (Charlez Aznavour)


Paolo Sorrentino è a mio modesto parere il miglior regista Italiano da molti anni in qua, capace di analizzare in modo approfondito ed originale i sentimenti umani. Rigoroso, capace di raccontare con amore e surrealtà, non ha pari nel panorama cinematografico attuale. Se Toni Servillo, attore di talento indiscusso e parco di apparizioni su pellicola accetta tanto spesso di lavorare con lui, un motivo ci sarà.

Qualche anno fa Sorrentino diresse “L’uomo in più”, un film che raccontava la storia parallela di due uomini con lo stesso nome, un calciatore ed un cantante melodico ispirato dalla figura di Franco Califano. Quest’ultimo, interpretato da Servillo appunto, non esaurì la sua vita nel film, rimase impigliato tra le dita del regista in attesa di continuare il suo percorso.

Nacque così Tony Pagoda, autore e cantante dalla gran voce, amato da tutti (compresi i camorristi) nella sua Napoli della quale vede e vive spesso il lato più oscuro. Tony  è uomo di mondo, frequentava Capri negli anni 50 –conosceva tutti i più famosi cantanti dell’epoca- ha iniziato a cantare negli anni 60, pippa cocaina da quando era diciassettenne e scopa tutto lo scopabile.

E’ simpatico Tony, un fiume di parole,  tanto fitte che si possono tagliare col coltello. Verbalmente funambolico mescola ardite, esilaranti metafore alla sintassi Napoletana. E’ un uomo apparentemente superficiale, infedele, senza costrutto, eppure a modo suo profondo e saggio.
Il libro parte così, benissimo. Pagoda racconta con una serie di salti temporali anarchici la sua vita, costellata di personaggi fuori di testa ed incontri sorprendenti in un crescendo di eventi che culmina nella decisione di abbandonare  il tetto coniugale. Il suo soliloquio è avvincente, e se a tratti si lascia prendere dalle considerazioni filosofiche e diventa verboso, glielo si può perdonare perché fa parte del personaggio. E’ ridondante, molto Napoletano ed amabile come tutti gli uomini che sanno riconoscere i propri difetti pur non facendo nulla per cambiare.

Tony va in crisi, non sopporta più niente e nessuno, e al termine di una tournèe in Brasile, decide di restarvi rinunciando alla celebrità, alla famiglia ed a tutti i problemi.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova vita ed invece (lo scopriremo più in là) è l’inizio della fine.
Anche per il libro, intendo.
L’affascinante giostra di Tony Pagoda s’inchioda e la sua prosopopea un po’ cialtrona e un po’ profonda deraglia, facendo il verso a sé stessa. Sorrentino comincia a caricare in modo inutilmente arzigogolato le descrizioni. Il lungo brano che  ha per protagonista Alberto Ratto è affettato, esagerato nell’esagerazione. E invece di dare un contributo alla storia, finisce per essere un’apparizione a tratti divertente ma rispetto (tanto per fare un nome) alla precedente Rita Formisano sembra inutile ed ha qualcosa  di artefatto.
E’ vero, il colpo di scena principale di un romanzo che non sembrava prevederne è affidato a lui, ma è una rivelazione che viene servita in modo frettoloso in due paginette scarse senza reali conseguenze.

La terza vita di Tony Pagoda si svolge a Roma e segna la cristallizzazione definitiva di             questo linguaggio in una serie di infinite filippiche filosofiche (pesantissima quella sulla parola “figo”) ad opera di ruffiani ed altri personaggi del jet set romano, colmi di vizi e cocaina. Tutto è cupo e corrotto dal denaro, i riferimenti e le critiche al sistema di potere instauratosi nel paese negli ultimi vent’anni sono palesi. Tony si trova a raccontare bassezze e squallori che somigliano molto all’attualità e lo fa con le sue lunghe tirate che però ora contengono quel tanto di moralismo e nostalgia per i tempi andati che stonano col suo personaggio. Forse Paolo Sorrentino voleva mostrarci un uomo sconfitto, completamente. Oppure, concentrandosi sulla critica alla nostra società si è lasciato sfuggire Tony e non ha saputo riacchiapparlo.

Si intuisce bene che l’autore ragiona per immagini e certamente quelli che ho segnalato come difetti non lo sarebbero stati in un film, dove un’immagine basta a raccontare tantissime cose, dove i personaggi di contorno assumono una dignità in quanto tali e le loro apparizioni per quanto brevi rimangono scolpite nella memoria anche se non fondamentali per la vicenda.

Anche se questo può sembrare un giudizio molto critico “Hanno tutti ragione” è un’opera prima ben riuscita, ricca personaggi memorabili, episodi e riflessioni divertenti. La struttura a flashbacks è molto cinematografica e funziona benissimo. Non mancano  riferimenti e citazioni della musica  Italiana e in alcuni colleghi di Pagoda si possono riconoscere celebrità della scena melodica (qualcuno mi confermi se Antonella Re non gli ricorda Loredana Bertè). Pure le trame oscure della nostra storia recente vengono menzionate, in modo forse eccessivamente fumoso.

Mi auguro che ci sia presto un bis!

(Paolo Sorrentino “Hanno tutti ragione” Feltrinelli 2010)







mercoledì 26 gennaio 2011

Concorso Subway 2011

Subway è arrivata al suo primo decennio. L'iniziativa del Comune di Milano e Atm in collaborazione con lo Iulm seleziona e pubblica racconti di autori sotto i 35 anni. Gli scritti vincitori verranno stampati in formato "Millelire di Stampa Alternativa" e distribuiti gratuitamente attraverso i "Jukebox letterari" siti nelle fermate della Metropolitana Milanese. Partecipate numerosi voi che anagraficamente potete e fateci sognare!
Tutte le informazioni sul sito www.subway-letteratura.org

venerdì 21 gennaio 2011

Notizia

Pubblichiamo una notizia che ci sembra importante. Senza voler esprimere giudizi  su Cesare Battisti, se debba o meno essere estradato in Italia, istituire liste che generino l'esclusione di opere letterarie dalle Biblioteche Nazionali è un gesto profondamente antidemocratico che evoca i roghi di libri nella Germania degli anni più bui.
Il primo scrittore a fare le spese di questa iniziativa è Roberto Saviano. Vorrei solo aggiungere che anche nell'America che accettava la segregazione razziale le opere di Mark Twain ("Huckleberry Finn" in primis) erano "libri proibiti". 

L'Associazione Italiana Biblioteche ha preso posizione contro l'iniziativa promossa dall'Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia con la quale si chiede l'eliminazione dagli scaffali delle biblioteche civiche dei libri i cui autori firmarono nel 2004 una petizione a favore di Cesare Battisti. L'iniziativa è stata rilanciata dall'Assessore regionale all'istruzione nei confronti delle biblioteche scolastiche.
E' stata spedita oggi una lettera alla presidente della Provincia di Venezia e al Presidente della Regione Veneto.
 Comunicato, rassegna stampa e copia della lettera sono disponibili a partire da http://www.aib.it/aib/cen/stampa/c1101.htm
 L'AIB ritiene imprescindibile proteggere il ruolo e la professionalità dei bibliotecari e difendere la natura aperta e democratica delle biblioteche.

venerdì 7 gennaio 2011

La frase del giorno di Groucho Marx

"Al di fuori del cane il libro è il miglior amico dell'uomo. Dentro al cane è troppo buio per leggere".

Jesus Christ Superstar: Ken Kesey "Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo"

Ken Kesey ha avuto una vita folle e piena di avventure: è stato cavia volontaria per un esperimento della CIA sull'LSD, ha militato nei Merry Pranksters, che portavano il verbo dell'acido e dell'arte in giro per l'America. Nella sua villa in California organizzava Acid Parties di cui scrisse Tom Wolfe in   "The Electric Kool-Aid Acid Test" ed a cui partecipavano i Grateful Dead; ha lavorato in un ospedale per veterani, dove faceva il turno di notte insieme a Gordon Lish (che riconobbe per primo il talento di Raymond Carver), parlava coi malati di mente e aveva visioni lisergiche di Indiani che spazzavano i corridoi.

“Qualcuno volò sul nido del cuculo” fu il suo primo libro pubblicato e forse rimane il più celebre. Uscito nel 1962, posso immaginarmi l'effetto che fece su coloro che lo lessero, per il tema, per le opinioni che esprimeva e per alcuni personaggi veramente memorabili.
Secondo Kesey i matti non lo sono davvero, la follia è una comoda giustificazione per isolare coloro che non riescono ad inserirsi nel rigido schema della società, un consorzio di stampo matriarcale che non accetta alcuna differenza di comportamento e soffoca il naturale spirito dell'uomo, la creatività, la bellezza e la sessualità libera. Tutto questo è rappresentato dalla Grande Infermiera, Miss Ratched, un'algida cinquantenne dal seno a dir poco prorompente, che nasconde la propria femminilità in uniformi rigide di amido e distrugge la personalità degli uomini affidatigli a colpi di sensi di colpa e trattandoli come bambini.

Il suo regno di terrore psicologico sembra inespugnabile, fino all'arrivo di McMurphy, un piccolo criminale giocatore d'azzardo che rappresenta la vita libera, la capacità di correre rischi, la fantasia e la trasgressione. Da quel momento la vita nella corsia di Miss Ratched non sarà più la stessa: basta con le riunioni di terapia (leggi castrazione psicologica) in cui la vita di un compagno viene fatta a pezzi, basta con i regolamenti auto-inflitti dai manipolabili pazienti, basta con l'immutabile routine e la musica rimbambente ad alto volume.
Ken Kesey con Further, l'autobus dei Merry Pranksters
McMurphy non ha paura della Grande Infermiera e, pur conscio del suo infinito potere all’interno del microcosmo ospedaliero, la sfida nel suo territorio. Le conseguenze non si fanno attendere, i malati si schierano immediatamente e silenziosamente dalla sua parte, vincendo a poco a poco le proprie paure mentre lo scontro fra la crudele intelligenza di Miss Ratched e l'energia e la forza bruta dell'Irlandese si fa sempre più duro.
Ad ogni trasgressione di lui corrisponde una punizione di lei. McMurphy difende a pugni un compagno e finisce per subire l'elettroshock, immola progressivamente il proprio corpo come un Cristo circondato dai suoi inermi, schizzatissimi apostoli, fino al sacrificio estremo.

Tra i malati c'è Harding, un uomo forse troppo intelligente per il mondo in cui vive, sposato ad una moglie infedele e protagonista di una delle scene più tese e belle del libro, da far tremare i polsi. Billy Bibbit è invece un trentenne tenuto bambino dalla madre (grande amica di Miss Ratched) che lo manipola e cerca di pilotarne la vita. Sarà lui il Giuda della vicenda, l'unico a difendere McMurphy in un momento di crisi e colui che lo accuserà di un delitto imperdonabile.
E poi Capo Brodmen, l'Indiano che finge di essere sordomuto e (miracolo!) McMurphy riporterà a parlare.
E' lui a narrare la vicenda ed è lui (a mio modesto parere) un punto debole del libro, in un misto di visioni, osservazioni, congetture ed analisi personali. Stordito dalla guerra ed addolorato dal destino della sua tribù, egli è convinto di essere vittima di una “Cricca”, che gestisce l'ospedale, spia i malati e detiene il potere su tutto, dentro e fuori dall'edificio. Un personaggio complesso che il linguaggio di Kesey (che pure teneva moltissimo a lui) non è riuscito a gestire. Se restituisce perfettamente le situazioni realistiche di tensione tra la Grande Infermiera e l'Irlandese, la loro guerra personale, le confessioni di Harding, le reazioni paranoiche di Chesick, non ha paradossalmente la capacità di evocare memorie dell'infanzia e visioni deliranti. I suoi monologhi sono a tratti pesanti e senza mordente, tolgono spazio all'azione ed alla concentrazione sul carattere dei protagonisti.

Altro problema -ma forse non lo è- viene dalle intenzioni troppo scoperte dello scrittore. Quasi subito intuiamo gran parte di ciò che vuol dire e dimostrare. Nonostante siano concetti sempre validi (tutti) risulta un po’ didascalico. Alcuni personaggi infine sono un po' scontati, a partire da McMurphy, che incarna la rivoluzione hippie ma è rappresentato con lo stereotipo dell'Irlandese visto dagli Americani, forte, selvaggio, bevitore e spaccone. Anche Billy Bibbit è abbastanza prevedibile, mentre Harding e la terribile Miss Ratched sono più appassionanti.

Forse “Qualcuno volò sul nido del cuculo” risulta un po' datato per lo spirito hippie (e un tantino maschilista), ed alla luce di quanto detto sopra potrebbe essere ridotto di almeno una cinquantina di pagine. Resta un libro rivoluzionario per il tema e la raffinatezza di alcune analisi e, detto tra di noi, un testo che può servire a difendersi dalle Miss Ratched sparse per il mondo.

E se ancora non l'avete visto, procuratevi il bellissimo film che Milos Forman ha tratto dal libro.

(Ken Kesey “Qualcuno volò sul nido del cuculo” 2001 BUR Rizzoli)