sabato 31 dicembre 2011

Della scuola 2: Silvia Dai Prà "Quelli che però è lo stesso"

Nel post “Della scuola 1” vi raccontavo di “Ex Catedra”, cronaca degli avvenimenti di un liceo romano nell’anno scolastico 1985/86.
Nonostante una notevole produzione disponibile sul mercato e diversi acquisti, non sono riuscita ad approfondire l’argomento scuola, ma quando ho letto la frase in quarta di copertina di questo libro non sono riuscita a rimandare la lettura.

Sono passati 25 anni dal libro di Starnone e non siamo più a Roma ma nella malfamatissima Ostia, non in un liceo in cui nasce la debole protesta della “Pantera” ma in un istituto professionale dove il Blocco Studentesco spadroneggia e tutti gli studenti sono di destra, dove l’insegnante narratore non è un professore navigato che guarda con affetto e rassegnazione l’evolversi delle vite degli studenti, conoscendo –in parte- quale direzioni potranno prendere, ma una giovane precaria che si è trovata ad insegnare per non rimanere disoccupata e nutre più di un dubbio sul lavoro che si trova a fare.
L’aria, capite, è del tutto diversa. Gli anni 80 non erano certo drammatici come quelli che viviamo ora, anche se la disperazione di oggi nacque proprio lì, tra le illusioni d’infinito benessere e quello che chiamavano edonismo.
Questi studenti sono all’ultima spiaggia, sbattuti fuori da tutte le scuole o stranieri che a volte non parlano quasi italiano o fuori tempo massimo, lavorano di giorno e studiano la sera. O meglio, non studiano, non stanno attenti durante le lezioni, si vergognano della propria nazionalità, si fanno le canne, ruttano.
Silvia, l’insegnante “pischella” segue un iter che chi ha lavorato in una scuola professionale difficilmente riesce a sfuggire: dapprima la sorpresa di trovarsi davanti allievi del tutto privi di filtri, che ti danno del tu e discutono le lezioni trovando assurde le proposte fatte, che la chiamano “comunista” eppure imparano a rispettarla, che scrivono temi assurdi in romanesco; poi, il divertimento e l’affetto che proprio questi modi suscitano, la voglia di favorire, di “salvare” questi ragazzi (perché c’è poco da fare, quelli del professionale sono più simpatici).
Lentamente diventa consapevole di quanto disperata sia la situazione e di quanto arrabbiata lei stessa sia per la propria precarietà professionale e personale, che per la povertà intellettuale ed umana che la circonda e che fa sorridere, ma è pur sempre desolazione, mitigata solo dalla giovane età degli allievi del diurno, l’unica speranza che ci possa essere –per loro- un riscatto.
La periferia sembra ancora quella di cui parlava Pasolini, ma Silvia non riesce a trovarvi la stessa poesia.

L’amarezza si fa strada nel racconto, che prende toni surreali e poi decisamente drammatici; infine la stanchezza di un intero anno scolastico uguale a mille altri ripetuti da anni sempre identici, con le stesse vicende, le stesse scenate, le medesime conclusioni ha il sopravvento e perfino la prospettiva di non essere retribuita per tre mesi non è per Silvia un problema, pur di scappare da lì.
Così è la scuola ai tempi colera, uno specchio in cui non sempre è divertente guardarsi, che riflette l’immagine di un paese che per certi versi è rimasto lo stesso di quarant’anni fa e sembra non evolversi, anzi, scende sempre più in basso, trascinato da deleterie ideologie, cattiva televisione, da brutti libri e da pessima musica.

Sincero, deprimente, divertente…Brava Silvia.

(Silvia Dai Prà “Quelli che però è lo stesso” 2011, Laterza)

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