sabato 2 settembre 2017

Robot di tutto il mondo, unitevi: Isaac Asimov, "I, Robot"

I, io, affermazione di consapevolezza del proprio esistere, sufficiente di per sé a comprendere come questo classico della fantascienza superi i limiti del raccontare per proiettarsi nel territorio della filosofia, della sociologia e della politica.
Marx è il riferimento più evidente, la parola Robot deriva dal ceco Robota, traducibile come lavoro pesante, lavoro forzato o addirittura schiavitù (fonte: https://left.it/2016/05/16/i-robot-al-cinema-e-nella-letteratura-tra-fantascienza-e-realta/) ed è proprio con lo scopo di assolvere il lavoro più duro e pericoloso che i robot vengono creati e gestiti in modo da non danneggiare in termini di concorrenza i lavoratori umani. Con la creazione di cervelli positronici sempre più potenti acquisiscono nuove capacità, fino ad essere in grado di sostituire gli uomini anche nella gestione di apparecchiature sofisticate. Contemporaneamente, prendono coscienza della loro superiorità in termini mentali e di forza fisica arrivando, in taluni casi, a mettere in dubbio di essere stati costruiti da esseri che giudicano inferiori ed eleggendo una macchina a divinità creatrice (come avviene in “Reason”, in cui tra l'altro il robot QT-1 afferma: “Io esisto perché penso”, esplicito riferimento alla logica Cartesiana).
Queste masse lavoratrici asservite a un padrone umano hanno dunque le potenzialità per sopraffarlo, tuttavia non possono in virtù delle “Tre Leggi della Robotica”*, sorta di Imperativi Categorici (qui la citazione è dalle teorie di Kant) con cui vengono programmati i loro cervelli e che costituiscono il codice di comportamento fondamentale comune a tutte le macchine pensanti. Non sarà comunque necessaria una sollevazione robotica per ribaltare i rapporti di forza in linea con la Dialettica Servo-Padrone (ancora Marx), tutto avverrà pacificamente man mano che l'intervento delle creature artificiali si estenderà agli equilibri più profondi del pianeta. La rivoluzione operaia si compie.

Ripercorriamo questa evoluzione attraverso i ricordi della robopsicologa Susan Calvin, creazione geniale di Asimov e uno dei pochissimi personaggi umani degni di questa definizione di tutto il libro (l'altro è Stephen Byerley, nel racconto “Evidence”). Estimatrice della purezza dei robot -che non possono mentire né avere secondi fini- è in grado di scomporre e comprendere i loro ragionamenti, spesso oscuri agli altri umani coinvolti; infatti i comportamenti morali dettati dalle tre leggi hanno conseguenze non sempre prevedibili, tanto per le macchine quanto per gli uomini, e sono talvolta pericolose, come nel caso di “Escape!” in cui la macchina più potente della
US Robotics &; Mechanical Men (per cui la Calvin lavora) deve risolvere un problema che potrebbe portarla ad autodistruggersi per non violare le leggi. Oppure quando, per un errore di fabbricazione, viene costruito un robot in grado di leggere nel pensiero che causa in perfetta buona fede una serie di malintesi bizzarri, svelando le debolezze degli uomini e delle donne che vengono in contatto con lui (“Liar!”).
La quantità di questioni che si pongono è vasta, a partire dalle più semplici, legate alla “meccanica” del pensiero robotico, passando per quelle affettive (“Robbie”, “Run and around”), morali, di comportamento e infine più puramente filosofiche, come negli ultimi due racconti del volume, “Evidence” e “The evitable conflict” in cui l'uomo fatica a distinguersi dalla propria creatura ormai a sua immagine e somiglianza,  e ne diventa infine dipendente, lasciandosi docilmente governare come un placido animale da pascolo. Uomini e robot si scambiano di posto, i secondi regolano il lavoro e la vita dei primi, assumendo una funzione quasi divina.
La potenza di questo libro è tale che a distanza di quasi settant'anni (!) dalla sua prima uscita resta attuale, interroga il lettore sull'evoluzione della società, sulla creazione di un Golem-alter ego dell'uomo, sull'anima tutt'altro che quieta di questi "nuovi viventi". Per renderli i veri protagonisti di queste pagine Asimov rinunciò a una caratterizzazione non stereotipata dei personaggi umani che avrebbe potuto risultare dannosa, sia perché questi ultimi dovevano in qualche modo rappresentare i tipi umani nella loro generalità sia perché le loro vicende interiori si sarebbero sovrapposte inutilmente a considerazioni di altro respiro, offuscando il vero soggetto della narrazione. In questo senso anche la lingua semplice, trasparente, serve allo scopo, oltre a rendere accessibile la lettura in inglese anche a chi lo usa relativamente poco.
L'universo di Asimov è davvero grande a giudicare dalla vastità della sua opera, e “I, robot” è la porta per entrarvi.

*   1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio
          mancato intervento, un essere umano riceva danno.
      2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non 
          contravvengano alla prima legge.
      3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non entri in contrasto              con la prima legge.



(Isaac Asimov “I, Robot”, 2013, Harper Voyager)