martedì 29 giugno 2010

Il grande vuoto: "Nudi e Crudi", Alan Bennett


Perdere tutti i propri averi in una botta sola. Da un momento all’altro essere privati di tutti i mobili, i libri, i dischi, i vestiti. Non solo. Di tutte le fotografie, i regali ricevuti, ogni cosa scomparsa come se mai fosse esistita.

Tremendo? Spaventoso? O consolante? Alan Bennett, tra i più noti umoristi contemporanei ci fa la domanda e ci fornisce (come piacerebbe a Marzullo) la sua risposta in questo racconto esilarante.

I coniugi Ransome (trad. riscatto) al rientro da una serata a teatro trovano l’appartamento completamente svaligiato. COMPLETAMENTE. Non è rimasta neanche la carta igenica. Non senza qualche difficoltà (non hanno cellulare ed il loro telefono fa parte della refurtiva) avvertono la polizia, che senza troppa solerzia arriva sul luogo del crimine.

Da quel momento è come se la storia prendesse due strade opposte: da una parte Mrs Ransome, casalinga borghese si trova a gestire un sacco di tempo libero ed un sacco di spazio vuoto. Vincendo l’iniziale titubanza e diffidenza comincia ad avvicinarsi al mondo che sta al di fuori del suo appartamento e che blindata nei suoi averi non aveva mai conosciuto.

Al contrario il marito sembra del tutto indifferente alla scoperta della moglie e procede abitando il suo desolato appartamento come se nulla fosse accaduto.

Quanto mettiamo di noi stessi in ciò che possediamo? Quanto ci facciamo rappresentare dalle cose? E se le perdiamo, perdiamo anche la nostra identità? E se la risposta è sì dobbiamo disperarci o tirare un sospiro di sollievo? Non essere più la persona conosciamo può essere una tragedia, ma può essere l'inizio di un nuovo sè e di un riscatto a lungo atteso. In fondo tutti almeno una volta abbiamo sognato di scappare da ciò che siamo e se l'occasione non ce la creiamo, può venire da sola. L’umorismo acidissimo e surreale della vicenda dei Ransome nasconde in realtà una meditazione quasi tragica sul senso della perdita, sul dramma del tempo che passa, della morte che si avvicina e sulla possibilità di strappare qualcosa dalle sue dita. La capacità di rinnovarsi è fondamentale per sopravvivere e chi si ferma è perduto.

Serissimo e dissacrante, Bennett critica ferocemente (e con inarrivabile stile) la classe borghese e la way of life britannica, ma la storia dei Ransome ha decine di letture diverse. Per esempio, ora come ora potrebbe essere una metafora dello smarrimento di certezze economiche in un tempo di crisi; decidete voi quella che più vi aggrada. Perdete pure tutti i mobili, ma non fatevi mancare questo libro.

(Alan Bennett "Nudi e Crudi" 2001, Adelphi)

giovedì 24 giugno 2010

Nudo e crudo: "Tuttalpiù muoio" Albinati e Timi


Vedo Filippo Timi sui cartelloni che pubblicizzano un suo spettacolo a Milano. Poi eccolo ad un programma televisivo. Infine m'imbatto nei suoi libri. Mi chiedo come farà a fare tante cose. E decido di rischiare, mi compro "Tuttalpiù muoio", un romanzo semi-autobiografico scritto con Edoardo Albinati da cui Timi ha tratto anche un monologo teatrale intitolato "La vita bestia".

L'incipit è conosciuto: Filo nasce in un paesino umbro, la sua è una famiglia povera e lui, grasso e balbuziente, è da subito un piccolo emarginato, quello che fa tutte le penitenze durante i giochi e che alle feste non balla con nessuno. Cresce e si vede diverso dagli altri, si sente stretto il paesino e desidera (forse senza neanche saperlo) molto di più. Per caso inizia a recitare e poi comincia a fare sul serio. Inizia il bello.
Bisognoso di esperienza, prova qualunque cosa, in teatro fa acrobazie pericolose e non si tira indietro neanche quando scopre di avere una malattia agli occhi; inseguendo la sua fame inizia a viaggiare, studia, s'innamora, non si ferma mai, cerca, cerca, cerca redenzione, cerca gloria, cerca amore totale e una fuga dal suo passato. La sua forza ed energia, la sua sincerità e sfrontatezza conquistano, trova le parole giuste per dire cose complicate e dolorose, per raccontare l'infelicità del non sentirsi amati e neppure degni dell'amore che pur tanto ci serve, e il male che ci si porta dietro per anni come un bagaglio ingombrante ma irrinunciabile.

Un'odissea che parte da Ponte San Giovanni, vicino a Perugina e arriva a Milano passando per Roma: lui rimbalza mille volte avanti e indietro, provando e sbagliando magari sempre le stesse cose. I suoi segreti sono centellinati, sembrano emergere quasi per caso congelandoci un sorriso sulle labbra, troncando una scena surreale. Ancora a poche pagine dalla fine c'è qualcosa da scoprire.
E' una storia che in parte appartiene a tutti, quella del conto da regolare con le nostre origini, con i genitori ed i dolori ed i traumi della giovinezza.
Timi l'affronta con purezza ed umorismo, combinando episodi quasi magici (come la visita alla zia cui era stata amputata la gamba che sentiva l'arto muoversi sotto il letto) e altri duri, a volte da mettersi a piangere, altre imbarazzanti.
Filo non si nasconde, dice tutto senza paura del giudizio degli altri o voler apparire diverso da come è. In fondo è questo l'unico segreto per scrivere bene, soprattutto di sè stessi, non far sconti a nessuno, tanto meno al protagonista.
Non è chiaro dove finisca la realtà autobiografica ed inizi la finzione, ma non è certo questo l'importante. Filo ci piace perchè è simpatico e insopportabile, solo e spietato e perchè non vuole essere" buono". Ha il coraggio di affrontare la vita in modo estremo e sconsiderato come pochi osano fare.

I periodi sono brevi ma non telegrafici, dopo un punto si va sempre a capo. E tra i meriti del libro c'è anche l'essere efficacemente a metà tra narrazione e teatro: s'intuisce come il testo possa essere diventato uno spettacolo, eppure si tratta proprio un romanzo.
Per me che di rado leggo autori italiani, è stata una bella scoperta, degna di replica.
Applausi, applausi, applausi.

(Edoardo Albinati, Filippo Timi "Tuttalpiù muoio" , 2008 Fandango Libri)

Ancora...


...Mi emoziono quando vedo qualcuno sul metrò che legge "Mattatoio 5" di Kurt Vonnegut!

sabato 19 giugno 2010

Prima che tu vada: "nell'intimità" Hanif Kureishi



L'amica che mi ha prestato questo libro voleva da me un'opinione. Non riusciva ad inquadrare il personaggio narrante, l'alter ego (ma quanto alter?) dello scrittore Hanif Kureishi che racconta il travaglio della notte prima di lasciare la casa dove vive con la compagna ed i due figli.

Invece il significato di questo breve romanzo e lungo monologo a me pare piuttosto chiaro: un uomo di circa quarant'anni (ma forse qualcosa di più) rivisita la propria vita, il proprio percorso sentimentale e psicologico, perfino spirituale forse, cercando di trovare un senso a tutto il suo vissuto ed a quello che sta per fare.
Perchè è ben cosciente che il prossimo passo distruggerà un mondo, il suo ma anche quello dei figli e della compagna. Tuttavia, non vede altra possibilità per continuare a vivere. Ha la sua bolla personale, il lavoro, la vita di famiglia, i rapporti con i vicini, i colleghi di lavoro, il mondo esterno che vede in lui e nelle persone che lo circondano una famiglia normale che conduce una vita normale.
La realtà invece è quella così comune fatta d'insoddisfazione e frustrazione: l'amore ormai finito che si perpetua per convenzione e per paura tra dispetti e tradimenti, che ci si illude di poter salvare anche quando si sa bene che è finito.
Ma il desiderio di pienezza, di provare ancora quel sentimento in tutta la sua emozione, purezza, sensualità -anche se alla tua età dovresti esserti rassegnato, soddisfatto e sedato- è insopprimibile, egoista, irrefrenabile nonostante le convenzioni e la paura della sofferenza propria ed altrui.
Cosa c'è di male nel volere vivere ancora? Nel lasciare ciò che non ci serve? Nel seguire il vero amore, la vera intimità? E perchè non si può continuare ad amare come il primo giorno, con lo stesso trasporto e la stessa pazzia? I legami invece di avvicinare le persone sembrano allontanarle, soffocare i sentimenti e la loro sincerità in un mare di menzogne, di cose non dette, di piccole e quotidiane cattiverie che invece dell'amore alimentano la solitudine.

Il narcisismo ed il cinismo di questo personaggio lo rendono a tratti veramente antipatico. Eppure non si sa dargli torto. Tanto più che la stessa crudeltà che usa verso la sua compagna ed i suoi amici la rivolge verso sè stesso, giudicandosi spietatamente, riconoscendo i propri errori e le proprie mancanze.

La forma del monologo è di per sè un pò ridondante e in un paio di punti il ritmo stagna, ciònonostante si tratta di un libro che appassiona e dà uno spunto per riconoscere le piccole bugie della nostra quotidianità, per chiedersi quanto siamo veramente felici e se non vorremmo qualcosa di diverso da ciò che abbiamo.

(Hanif Kureishi "nell'intimità" 2005 Bompiani)

mercoledì 16 giugno 2010

APPELLO!

La biblioteca Italiana per i Ciechi di Monza fornisce un servizio importantissimo.
I libri in Braille sono molto costosi e non tutti i ciechi possono permetterseli. Questo vale sia per la letteratura che per i libri scolastici.
La legge finanziaria contiene tra i tagli anche i fondi per questo servizio FONDAMENTALE. Non mi esprimo sulle implicazioni costituzionali dell'abolizione di tale servizio, vi invito però a firmare l'appello al Ministro della Cultura per salvare questa Istituzione.

domenica 6 giugno 2010

LionasssoTessorg!


"La Sindrome di Tourette si manifesta con movimenti involontari del corpo e/o facciali e con tic di tipo vocale o verbale che possono variare dalla ripetizione di una parola fino all'incoercibile pulsione a proferire espressioni o parole imbarazzanti e/o volgari; si parla in tal caso di coprolalia e coproprassia. La tipologia, la frequenza e la gravità di queste manifestazioni variano ovviamente da una persona all’altra al punto che diversi soggetti con sindrome di Tourette neppure la considerano una patologia. La sindrome sembra influenzare una propensione all'attività indagativa e alla ritmica musicale: numerosi soggetti affetti dalla sindrome sono musicisti; nella biografia di Mozart e di molti altri musicisti sono riscontrabili diversi tratti tourettici. (...) L'elaborazione delle informazioni è spesso rapida, intuitiva, poco propensa a sottomettersi a passaggi sequenziali e questo talora penalizza i pazienti più giovani nelle attività scolastiche, dove la didattica imposta richiede l'adesione a modelli di pensiero poco confacenti la creatività tourettiana." (da Wikipedia)

Se (come me) non siete proprio delle cime a sciogliere i nodi di un romanzo poliziesco, se delle situazioni banali cercate di cogliere il lato insolito, se per voi il crimine è solo una scusa per conoscere personaggi nuovi e interessanti "Testadipazzo" può fare al caso vostro: c'è un'indagine che procede in modo non logico ma intuitivo, c'è una struttura di base abbastanza trita ma dagli sviluppi impensati e c'è...Lionel Essrog.
Lionel fa parte di un gruppo di orfani che Frank Minna, malavitoso newyorkese da strapazzo educa al crimine in scala minima. Beh, insomma, di crimine lui non parla mai apertamente e tutti i lavori in cui coinvolge i ragazzi sono apparentemente semplici traslochi, consegne, investigazioni private e autonoleggio. S'intuisce subito però (e lo sanno tutti) che dietro c'è molto più di quanto si vede. Quando Minna viene ucciso durante un'operazione di cui Lionel ed il suo "collega" Gilbert non conoscono lo scopo, Essrog decide con la determinazione di un bambino a cui abbiano portato via il padre di trovare l'assassino.
Questa non sarebbe comunque una cosa facile, ma il fatto che Lionel sia tourettico complica le cose in maniera esponenziale. Per lui anche ordinare un caffè può diventare una tragedia, i suoi tic verbali e fisici sono sempre in agguato e rendono ogni rapporto personale -anche il più banale- una vera avventura; non sa mai come reagirà il prossimo alla toccatina rituale sulla spalla piuttosto che ai giochi di parole spontanei ed agli insulti che il suo "Cervello Tourette" produce senza sosta. Ogni sua azione è autoanalizzata, controllata ossessivamente da lui stesso e spiegata al lettore.

L'indagine di Lionel è un'indagine SU Lionel e sulla propria mente, su come funziona e su come il mondo reagisce ad essa. Ma si rivela pure un amaro viaggio nel passato che lo porta a scoprire chi fosse realmente l'unico uomo che abbia potuto considerare un padre (ed ha avuto l'intuizione sulla vera natura della sua "pazzia").
Un uomo che lo amava ma che lo ha fatto vivere in un mondo irreale, che lo amava ma non si fidava di lui.
Affronta questo ed altri dolori, altre consapevolezze senza patetismo, senza provare dispiacere per la propria condizione nonostante le dolorose ripercussioni che ha sui suoi rapporti col mondo e per la solitudine a cui inevitabilmente lo condanna.

Lionel Essrog irrompe nei modi e nei clichè del romanzo d'indagine con l'imprevedibilità e l'anarchia della Tourette, che rende impossibili tutte quelle situazioni e quelle battute che hanno reso famosi personaggi come Marlowe e Sam Spade. Non troverete infatti un linguaggio realistico, gergale, violento, rimpiazzato da esplosioni verbali senza senso e costruzioni raffinate, al limite del gioco letterario.

Apparentemente leggero, in realtà è un romanzo che può essere apprezzato da tipi di lettori molto diversi ed ha una qualità speciale, quella di mostrarci un personaggio affetto da una malattia invalidante protagonista a pieno titolo con la propria patologia di una storia senza risvolti "didattici"o patetici. Basta questo a farlo speciale.

(Jonathan Lethem"Testadipazzo"2001 Marco Tropea Editore)



sabato 5 giugno 2010

Zona Cesarini

Mi accorgo solo stasera di questo festival Scrivere sui margini che ha luogo a Milano in questi giorni. Rimane comunque una giornata di incontri, tra cui uno con Giuseppe Genna.
Per tutte le informazioni cliccate qui...