Vedo Filippo Timi sui cartelloni che pubblicizzano un suo spettacolo a Milano. Poi eccolo ad un programma televisivo. Infine m'imbatto nei suoi libri. Mi chiedo come farà a fare tante cose. E decido di rischiare, mi compro "Tuttalpiù muoio", un romanzo semi-autobiografico scritto con Edoardo Albinati da cui Timi ha tratto anche un monologo teatrale intitolato "La vita bestia".
L'incipit è conosciuto: Filo nasce in un paesino umbro, la sua è una famiglia povera e lui, grasso e balbuziente, è da subito un piccolo emarginato, quello che fa tutte le penitenze durante i giochi e che alle feste non balla con nessuno. Cresce e si vede diverso dagli altri, si sente stretto il paesino e desidera (forse senza neanche saperlo) molto di più. Per caso inizia a recitare e poi comincia a fare sul serio. Inizia il bello.
Bisognoso di esperienza, prova qualunque cosa, in teatro fa acrobazie pericolose e non si tira indietro neanche quando scopre di avere una malattia agli occhi; inseguendo la sua fame inizia a viaggiare, studia, s'innamora, non si ferma mai, cerca, cerca, cerca redenzione, cerca gloria, cerca amore totale e una fuga dal suo passato. La sua forza ed energia, la sua sincerità e sfrontatezza conquistano, trova le parole giuste per dire cose complicate e dolorose, per raccontare l'infelicità del non sentirsi amati e neppure degni dell'amore che pur tanto ci serve, e il male che ci si porta dietro per anni come un bagaglio ingombrante ma irrinunciabile.
Un'odissea che parte da Ponte San Giovanni, vicino a Perugina e arriva a Milano passando per Roma: lui rimbalza mille volte avanti e indietro, provando e sbagliando magari sempre le stesse cose. I suoi segreti sono centellinati, sembrano emergere quasi per caso congelandoci un sorriso sulle labbra, troncando una scena surreale. Ancora a poche pagine dalla fine c'è qualcosa da scoprire.
E' una storia che in parte appartiene a tutti, quella del conto da regolare con le nostre origini, con i genitori ed i dolori ed i traumi della giovinezza.
Timi l'affronta con purezza ed umorismo, combinando episodi quasi magici (come la visita alla zia cui era stata amputata la gamba che sentiva l'arto muoversi sotto il letto) e altri duri, a volte da mettersi a piangere, altre imbarazzanti.
Filo non si nasconde, dice tutto senza paura del giudizio degli altri o voler apparire diverso da come è. In fondo è questo l'unico segreto per scrivere bene, soprattutto di sè stessi, non far sconti a nessuno, tanto meno al protagonista.
Non è chiaro dove finisca la realtà autobiografica ed inizi la finzione, ma non è certo questo l'importante. Filo ci piace perchè è simpatico e insopportabile, solo e spietato e perchè non vuole essere" buono". Ha il coraggio di affrontare la vita in modo estremo e sconsiderato come pochi osano fare.
I periodi sono brevi ma non telegrafici, dopo un punto si va sempre a capo. E tra i meriti del libro c'è anche l'essere efficacemente a metà tra narrazione e teatro: s'intuisce come il testo possa essere diventato uno spettacolo, eppure si tratta proprio un romanzo.
Per me che di rado leggo autori italiani, è stata una bella scoperta, degna di replica.
Applausi, applausi, applausi.
(Edoardo Albinati, Filippo Timi "Tuttalpiù muoio" , 2008 Fandango Libri)
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