sabato 5 febbraio 2011

Di uomini e canzoni: Paolo Sorrentino "Hanno tutti ragione"

"Io sono un istrione,
 ma la genialità è nata insieme a me...." (Charlez Aznavour)


Paolo Sorrentino è a mio modesto parere il miglior regista Italiano da molti anni in qua, capace di analizzare in modo approfondito ed originale i sentimenti umani. Rigoroso, capace di raccontare con amore e surrealtà, non ha pari nel panorama cinematografico attuale. Se Toni Servillo, attore di talento indiscusso e parco di apparizioni su pellicola accetta tanto spesso di lavorare con lui, un motivo ci sarà.

Qualche anno fa Sorrentino diresse “L’uomo in più”, un film che raccontava la storia parallela di due uomini con lo stesso nome, un calciatore ed un cantante melodico ispirato dalla figura di Franco Califano. Quest’ultimo, interpretato da Servillo appunto, non esaurì la sua vita nel film, rimase impigliato tra le dita del regista in attesa di continuare il suo percorso.

Nacque così Tony Pagoda, autore e cantante dalla gran voce, amato da tutti (compresi i camorristi) nella sua Napoli della quale vede e vive spesso il lato più oscuro. Tony  è uomo di mondo, frequentava Capri negli anni 50 –conosceva tutti i più famosi cantanti dell’epoca- ha iniziato a cantare negli anni 60, pippa cocaina da quando era diciassettenne e scopa tutto lo scopabile.

E’ simpatico Tony, un fiume di parole,  tanto fitte che si possono tagliare col coltello. Verbalmente funambolico mescola ardite, esilaranti metafore alla sintassi Napoletana. E’ un uomo apparentemente superficiale, infedele, senza costrutto, eppure a modo suo profondo e saggio.
Il libro parte così, benissimo. Pagoda racconta con una serie di salti temporali anarchici la sua vita, costellata di personaggi fuori di testa ed incontri sorprendenti in un crescendo di eventi che culmina nella decisione di abbandonare  il tetto coniugale. Il suo soliloquio è avvincente, e se a tratti si lascia prendere dalle considerazioni filosofiche e diventa verboso, glielo si può perdonare perché fa parte del personaggio. E’ ridondante, molto Napoletano ed amabile come tutti gli uomini che sanno riconoscere i propri difetti pur non facendo nulla per cambiare.

Tony va in crisi, non sopporta più niente e nessuno, e al termine di una tournèe in Brasile, decide di restarvi rinunciando alla celebrità, alla famiglia ed a tutti i problemi.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova vita ed invece (lo scopriremo più in là) è l’inizio della fine.
Anche per il libro, intendo.
L’affascinante giostra di Tony Pagoda s’inchioda e la sua prosopopea un po’ cialtrona e un po’ profonda deraglia, facendo il verso a sé stessa. Sorrentino comincia a caricare in modo inutilmente arzigogolato le descrizioni. Il lungo brano che  ha per protagonista Alberto Ratto è affettato, esagerato nell’esagerazione. E invece di dare un contributo alla storia, finisce per essere un’apparizione a tratti divertente ma rispetto (tanto per fare un nome) alla precedente Rita Formisano sembra inutile ed ha qualcosa  di artefatto.
E’ vero, il colpo di scena principale di un romanzo che non sembrava prevederne è affidato a lui, ma è una rivelazione che viene servita in modo frettoloso in due paginette scarse senza reali conseguenze.

La terza vita di Tony Pagoda si svolge a Roma e segna la cristallizzazione definitiva di             questo linguaggio in una serie di infinite filippiche filosofiche (pesantissima quella sulla parola “figo”) ad opera di ruffiani ed altri personaggi del jet set romano, colmi di vizi e cocaina. Tutto è cupo e corrotto dal denaro, i riferimenti e le critiche al sistema di potere instauratosi nel paese negli ultimi vent’anni sono palesi. Tony si trova a raccontare bassezze e squallori che somigliano molto all’attualità e lo fa con le sue lunghe tirate che però ora contengono quel tanto di moralismo e nostalgia per i tempi andati che stonano col suo personaggio. Forse Paolo Sorrentino voleva mostrarci un uomo sconfitto, completamente. Oppure, concentrandosi sulla critica alla nostra società si è lasciato sfuggire Tony e non ha saputo riacchiapparlo.

Si intuisce bene che l’autore ragiona per immagini e certamente quelli che ho segnalato come difetti non lo sarebbero stati in un film, dove un’immagine basta a raccontare tantissime cose, dove i personaggi di contorno assumono una dignità in quanto tali e le loro apparizioni per quanto brevi rimangono scolpite nella memoria anche se non fondamentali per la vicenda.

Anche se questo può sembrare un giudizio molto critico “Hanno tutti ragione” è un’opera prima ben riuscita, ricca personaggi memorabili, episodi e riflessioni divertenti. La struttura a flashbacks è molto cinematografica e funziona benissimo. Non mancano  riferimenti e citazioni della musica  Italiana e in alcuni colleghi di Pagoda si possono riconoscere celebrità della scena melodica (qualcuno mi confermi se Antonella Re non gli ricorda Loredana Bertè). Pure le trame oscure della nostra storia recente vengono menzionate, in modo forse eccessivamente fumoso.

Mi auguro che ci sia presto un bis!

(Paolo Sorrentino “Hanno tutti ragione” Feltrinelli 2010)







2 commenti:

monty ha detto...

Nulla da dire sulla recensione, scritta al solito magistralmente e ricca di spunti.

In merito all'analisi che fai, non condivido la tua opinione sul deterioramento della qualità dopo il turning point della fuga in brasile.
In tutto il libro convivono alti
e bassi, tensione e coinvolgimento del lettore si alternano costantemente a momenti di oggettiva stanca del "rap" che sorrentino propone.Elemento questo che secondo me è presente anche in quella fase.
La sola parte sui salotti romani, nell'epilogo, è un pò tirata via e abbassa l'ottimo giudizio, anche se si fanno apprezzare lo stanco oblio di toni e la spietata analisi dell'anziano vedovo.

Gemelle a rotelle ha detto...

Capisco quello che vuoi dire, tuttavia mi sembra che di 18 anni in Brasile lui racconti molto poco, troppo poco se vogliamo. Come se non fosse successo niente o come se lo scrittore non avesse avuto nulla da far succedere.
Per quanto riguarda il linguaggio io ho percepito degli improvvisi ritorni ai fasti della prima parte (che di fatto è la più lunga, meno male)che forse corrispondono ai momenti in cui Sorrentino si sentiva più sicuro di quanto scriveva e non aveva -per così dire- bisogno di crederci troppo. Forse gli è stato chiesto di tagliare uno scritto molto più lungo e lui non ha voluto sacrificare la prima vita di Toni Pagoda?

In ogni caso, non è straordinario che un libro Italiano, opera prima, ci porti a discuterne tanto? Non capita tutti i giorni...