Non è cosa facile raccontare la vita
della nuova provincia, non più centrata sulle certezze del piccolo
paese e della comunità ristretta e priva di storia, abitata in gran
parte da chi si adatta alla deportazione volontaria in aree pressoché
isolate per poter comprare casa o comprarne una più grande. E'
questo un ambiente dominato dalle linee rette dei capannoni
industriali che invadono la pianura contadina in estinzione, molto
meno vario in architetture e popolazione delle strade cittadine;
leggere sotto la sua superficie è complesso e se si manca
l'obiettivo, il racconto rischia di diventare una semplice cronaca
che perde efficacia in un tempo relativamente breve (gli anni 80
dello scorso secolo ci sono di monito).
Giorgio Falco approfitta di questa
monotonia e vi legge i segni del presente, partendo dal mondo
limitatissimo dell'hinterland che circonda Milano, i cui centri
vitali sono costituiti da grumi di villette a schiera, centri
commerciali, Ikea, McDonald e aree industriali, collegati da un
sistema circolatorio di tangenziali e strade provinciali perennemente
intasate ,che vi pompa un flusso continuo di uomini e donne o
-meglio- di consumatori.
In questi spazi lontani dalla
metropoli, che non sono città e neanche campagna, le persone perdono
riferimenti geografici, morali e la loro stessa identità: bloccati
in automobile in coda a uno svincolo, isolati nei loro appartamenti,
allontanati dalla vita, pensano di desiderare qualcosa, agire e
scegliere. Accecati dai falsi idoli dell'omologazione sociale
modellano la propria esistenza su relazioni stereotipate e
stucchevoli, dicerie televisive su cosa l'amore dovrebbe essere e
l'idea di un successo lavorativo che sospende la compassione e serve
a pagare il mutuo. Si adeguano alle mode e alle aspettative altrui e
resistono all'infinito, in attesa di una catastrofe -che prima o poi-
arriverà, l'attacco nemico alla Fortezza Bastiani.
Le storie dell'immaginaria frazione di
Cortesforza (delineata da Falco con agghiacciante precisione) narrano
fallimenti professionali, sentimentali, umani. E pur seppellite,
silenziate dietro finestre sbarrate e allarmi anti-intrusione, ci
circondano, pronte a diventare una notizia di cronaca nera locale che
farà emergere dal nulla le Brigadon di cemento e recinzioni
metalliche, almeno fino a quando la noia degli spettatori televisivi
le affonderà nuovamente nell'oblìo dopo l'ennesima intervista ai
vicini di casa in canottiera e ciabatte, tutti invariabilmente
sorpresi dall'accaduto: “ Era una famiglia normale”, “Era una
persona gentile”.
Questo paesaggio fisico e morale viene
offerto al lettore attraverso immagini gelide, nitide e affilate che
diventano uno specchio orribilmente limpido in cui guardarsi e
contemplare la verità. La sua analisi è tanto impietosa da
risultare talvolta asettica e Cortesforza potrebbe essere un pianeta
lontano, abitato da zombie o vittime degli ultracorpi,
creature disperate a cui è stata mangiata l'anima. La morte
interiore dell'uomo è simboleggiata dal suo rapporto con la Natura:
annichilita, vessata, crudelmente sfruttata e sottomessa nell'inutile
tentativo di sentirsi in controllo o per la soddisfazione di bisogni
frivoli e profitto, è sempre presente, nel paesaggio martoriato dai
capannoni e attraverso gli animali, simboli dell'innocenza
primordiale dell'uomo, della sua spiritualità, continuamente
tradita. Più gli uomini si allontanano dalla luce e precipitano
nella follia, più stupide e crudeli si fanno le loro azioni verso
gli animali.
“L'ubicazione del bene” è un
volume di poche pagine, ma per leggerlo ci vuole fegato, per arrivare
fino in fondo e accettare che l'Italia, il mondo occidentale, che
tutti noi purtroppo siamo anche questo.
(Giorgio Falco, “L'ubicazione del
bene”, 2009 Einaudi Stile Libero. Attualmente fuori catalogo, si
trova facilmente in biblioteca, in ebook e, con un po' di fortuna,
nei negozi d'usato)
2 commenti:
Pochi post ma coi controfiocchi. Complimenti
Grazie, grazie, troppo buono.
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