venerdì 30 dicembre 2016

Omissis

I percorsi delle letture seguono inevitabilmente le nostre vicende personali. Ciò che viviamo non influenza solo la scelta di cosa leggere, ma anche l'effetto che i libri avranno su di noi, se ci piaceranno, quale segno lasceranno e, addirittura, se li finiremo oppure no.
L'anno che si sta concludendo è stato bizzarro e fastidioso e ben poco è andato secondo i miei piani. Tanto per fare un esempio, l'estate 2016 doveva essere consacrata alla lettura di Flannery O'Connor  
-della quale ho recuperato buona parte degli scritti di narrativa- ma alla fine non ho aperto nemmeno uno dei suoi libri; ho cominciato invece una goffa ricerca di stili e visioni diverse da quelle a cui sono abituata. I risultati sono stati spesso imprevedibili, strani, e alla fine di molti libri non ho scritto niente sul blog. Perfino di alcuni che ero sicura avrei recensito meravigliosamente. Non dirne proprio niente però mi sembrava brutto, quasi omertoso. Ecco allora, in ordine sparso, i libri perduti del 2016.

Stoner di John Williams: una storia limpida, una scrittura minimale che sembra nascondere più che rivelare, un personaggio che segue il suo destino senza la minima ribellione. E' stato il caso letterario degli ultimi anni, se ne è scritto un sacco ed è stato pubblicato un saggio filosofico dal titolo "La saggezza di Stoner". Non so bene perché, ma dopo averlo finito mi sono sentita svuotata, e mettere insieme le mie impressioni è stata un'impresa più grande di me. Mentre leggevo la vita del professor William Stoner sentivo che qualcosa mi sfuggiva, che tutta quella pulizia, quelle frasi brevi e chiare che non alludono a niente sono solo uno specchio, una distrazione. Non ne sono ancora venuta a capo, lo rileggerò.

Churramabad di Andrej Volos: i racconti che compongono questo romanzo sono collegati dalla terra, un luogo di confine tra Afghanistan e Cina, storie di famiglie e interi popoli, e di come
la convivenza di culture e religioni possa mutare in strage. Per quanto affascinante e ben scritto, l'ho dovuto interrompere, ritrovare nelle pagine la stessa ferocia che dilagava nel mondo mi faceva stare male.

WilliamTurner "The burning of the houses of londs and commons" 
Acciaio contro acciaio di I.J. Singer: conoscere il fratello di Isaac Bashievis Singer attraverso questo libro non è stata una buona idea. Binyamin Lerner è un personaggio interessante, la storia della sua diserzione affascinante e Varsavia presa dai tedeschi poco prima della rivoluzione Russa ribolle come un pentolone delle streghe. Eppure il romanzo non prende forma, lascia la sensazione di qualcosa d'incompleto, tagliato e aggiustato in modo da conservare una narrazione coerente, ma (purtroppo) senza troppa convinzione. Peccato, perché qui dentro ci sono personaggi e quadri memorabili, e avrebbero meritato di più.

Quando siete felici, fateci caso di Kurt Vonnegut: prima del famoso discorso di Steve Jobs a Stanford ci fu il famoso discorso di David Foster Wallace a Kenyon (pubblicato in volume col titolo "Questa è l'acqua"); da allora le università americane fanno a gara per avere grandi personaggi che tengano famosi discorsi ai neolaureati. Anche Kurt Vonnegut apparteneva a questa schiera e qui troviamo alcuni dei suoi migliori, illuminati predicozzi. Non riesco a immaginare un modo migliore di festeggiare il giorno della laurea che ascoltarne uno e nell'attesa li uso a scopo medicinale, per tirarmi su di morale.

Chi ti credi di essere? di Alice Munro: è un premio Nobel, i suoi racconti sono a dire poco perfetti, ma la storia di Rose, attrice dalle origini poverissime, non mi ha affatto entusiasmata. Anche dopo aver ascoltato una lezione di Bruna Miorelli su questo libro continuo a ricordarne la lettura come l'attesa infinita di una pagina che mi appassionasse, di un'emozione che mi sollevasse dallo scorrere uniforme dei racconti. Forse è troppo perfetta, Alice Munro, o forse (quasi sicuramente) io non ho capito qualcosa.

L'Angelo sigillato- Il viaggiatore incantato di Nikolaj S. Leskov: di questo libro non ho scritto perché non credo di esserne in grado. Nonostante la bella e corposa introduzione di Pia Pera, è evidente che in queste pagine c'è una tradizione talmente stratificata, una cultura così ricca e uno scopo che va al di là del narrare e diventa storico, di documentazione e omaggio alla "russità", che ci sarebbe voluta una preparazione in storia della letteratura russa decisamente maggiore. Leskov era contemporaneo di Tolstoij, ma non sembrava ambire alla narrazione grandiosa e universale delle vicende e dei sentimenti umani, si concentrò invece sulla cultura e i personaggi del suo paese. I suoi racconti sono come quadri che rappresentano l'unicità della Russia e del suo popolo con gli stessi colori brillanti e la tecnica sapiente delle icone che lui stesso studiò a fondo.

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