giovedì 21 gennaio 2010

L'insopportabile leggerezza di Nick Hornby: "Tutta un'altra musica"


Non avevo mai letto un libro di Nick Hornby (anche se ovviamente lo conosco per la fama acquisita con "Febbre a 90" e "Alta Fedeltà"di cui ho visto le trasposizioni cinematografiche) e non so se ho iniziato da quello giusto.
"Tutta un'altra musica"(traduzione un tantinello ruffiana e totalmente senza senso del titolo originale "Juliet, Naked") è un libro scorrevole, con una storia discretamente prevedibile che nonostante le sue 316 pagine si legge facilmente e piacevolmente.
Non molto di più. Non voglio dire che Hornby scriva male o che io mi sia annoiata a morte leggendolo (giusto un pochino). Però arrivata alla fine mi sono chiesta "Ma perchè l'ha scritto?"

Un momento, andiamo con ordine. Inghilterra, oggi: Annie e Duncan hanno circa 40 anni, stanno insieme con ben poco amore e parecchia sopportazione da 15. Lui è fanatico di un oscuro musicista -Tucker Crowe- che da molto tempo si è ritirato dalle scene e trascina lei dovunque vi siano tracce del suo idolo. Ma ormai il rapporto è logoro, ed Annie se ne rende conto, mentre Duncan lo ignora o fa finta di ignorarlo. Le cose "precipitano" quando il nuovo album di Tucker Crowe viene pubblicato e le loro opinioni su di esso sono divergenti: improvvisamente la frattura nella tranquilla routine della coppia diventa visibile, la crisi entra in un momento culminante e molte cose (forse) cambieranno.

Questa in breve la trama, che potrebbe essere interessante. Ma cos'è allora che non funziona? Che in 316 pagine non c'è evoluzione, non c'è approfondimento, non c'è cambiamento.
Un esempio semplice semplice: Annie vorrebbe avere un figlio e l'idea di aver perso 15 anni con un uomo palesemente inadatto alla paternità, che le ha succhiato un sacco di energie, la deprime. Ma neanche tanto. L'argomento non viene mai adeguatamente sviscerato. Il bisogno di essere madre è allora qualcosa di vero, di profondo o un espediente dello scrittore per far sentire coinvolta la lettrice? Insomma, quando una donna di una certa età decide che vuole rimanere incinta si fa delle domande, a volte stupide, ma si tratta di un pensiero che si presenta costantemente.
E la coppia: si accenna in modo vago a come si è formata, ma non viene riportato un ricordo, un flashback, un momento di vera felicità (anche solo per motivi statistici, ci sarà pur stato), non si dice nulla dei suoi componenti, del loro passato (come mai Duncan è così stupidotto e superficiale?), del momento in cui la protagonista ha incominciato a sentire che qualcosa non andava per il verso giusto, delle sensazioni che si provano quando un rapporto si sfilaccia, quando l'altro, quello (quella) che rendeva reale la vita (o pensavamo potesse farlo) comincia lentamente a perdere sostanza fino a diventare quasi trasparente.
Questo solo per descrivere due delle sensazioni più forti che ho avuto.
Mancano quasi totalmente (ma è questione di gusto) descrizioni di persone e luoghi (bello, brutto, grande, piccolo ma poco altro) e tutto sommato le parti più interessanti sono quelle in cui Hornby parla dell'ossessione di Duncan, probabilmente perchè parla di sè.

Delle decine di personaggi raccontati, quasi tutti sono abbozzi, macchiette che hanno potenzialità ma compaiono una volta e poi ritornano nell'oblìo senza lasciare una traccia, dopo aver dato un contributo alla storia. Gli stessi protagonisti sono poco più che funzioni: Annie è la quarantenne senza figli che vorrebbe (forse) averne uno, Duncan l'uomo sciocco incontrato per caso e col quale si è speso più del tempo necessario, Tucker l'uomo vissuto con tanti errori nel suo passato e poche illusioni per il suo futuro. Ma non si va mai a fondo di questi caratteri, si vuole creare l'illusione di stare affrontando domande epocali per i quarantenni di oggi, ma è tutto molto superficiale.
Ci sono di mezzo tradimenti, figli abbandonati, cose grosse che non trovano uno sfogo, ma rimangono schiacciate dalla buona educazione o dall'indifferenza degli uni verso gli altri.
La comunicazione avviene attraverso abili battute che vorrebbero costantemente sdrammatizzare le situazioni (un vero esercizio di stile!), come se tutti fossero terrorizzati (come se il loro creatore fosse terrorizzato) all'idea di affrontare VERAMENTE i conflitti. E' troppo perfino per un Inglese.

Nel complesso si ha l'impressione di assistere ad una di quelle commedie Britanniche sullo stile de "Il diario di Bridget Jones"(che per altro era una rilettura di "Orgoglio e Pregiudizio" di Jane Austen), leggere ed innocue, con tanto di battuta dopo i titoli di coda. Anzi, mi spingo a pensare che tutti questi buchi siano in realtà spazi che un produttore cinematografico sia già stato invitato a riempire. Last but not least, a volte sorge il dubbio che il manoscritto sia stato privato di alcune parti e male editato, millantando misteri a cui non vengono date risposte.

Se in "Alta Fedeltà" si appassionava ai vinili, ora Hornby si mette furbamente al passo coi tempi e parla di mp3, Wikipedia e forum di fans, ammiccando forse ai suoi lettori più affezionati che nel frattempo come lui si sono "evoluti". Spargendo ad arte riferimenti musicali comuni (Bob Dylan, Bruce Springsteen...) e qualche chicca di "sensibilità" maschera la meccanicità del libro e prova a costruire uno specchio in cui anche il neofita possa pensare di riconoscersi.

Come ho scritto all'inizio, è il primo libro che leggo di questo autore, dunque mi aspetto di essere smentita appena avrò pubblicato la recensione. Però non credo che ne comprerò altri.

Se volete leggere un'opinione diversa dalla mia, cliccate QUI e QUI

(Nick Hornby "Tutta un'altra musica" 2009 Guanda)

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