domenica 5 gennaio 2014

Vetrocemento: J.D. Ballard, "Il condominio"

Così dolce, così innocente...James Ballard bambino
L'approccio alla fantascienza di James Ballard mi ricorda il film “Alphaville” di Godard: ambientazioni quotidiane o comunque plausibili in cui si svolgono eventi incredibili. Nessuna super astronave e nessun mostro spaziale, ma situazioni e reazioni dei personaggi estremizzate al massimo. Il risultato, almeno in questo libro, è un'atmosfera di gelido iper-realismo in cui il verosimile è ingigantito fino a non essere più riconoscibile . “Il condominio” può per certi versi essere ricondotto a “Il signore delle mosche” di William Golding o “L'angelo sterminatore” di Bunùel: come queste opere si prefigge di dimostrare quale sia la natura profonda degli uomini, che in condizioni estreme e in assenza di un controllo sociale emerge facendo evaporare velocemente l'effimero travestimento delle buone maniere e delle convenzioni. Nel caso del premio Nobel Golding l'ambiente era un'isola deserta su cui approdava un gruppo di bambini naufraghi, allievi di una scuola esclusiva (quindi privi solo di parte delle strutture che condizionano gli adulti, comunque più vicini alla condizione primordiale che si cercava); il regista spagnolo immaginò un appartamento in cui un gruppo di persone adulte era inspiegabilmente prigioniero; qui il luogo dell'esperimento è qualcosa che incarna in qualche modo la straniazione e la familiarità degli altri due, trattandosi di un grattacielo di quaranta piani in cui la vita può essere quasi completamente autonoma dal mondo esterno: non solo gli appartamenti dei residenti, ma un centro commerciale, piscine, ristoranti e palestre, tutto quanto necessita -a parte, non a caso, un ospedale e una stazione di polizia- è contenuto nelle altissime mura dell'edificio. I suoi abitanti si dispongono a seconda del reddito e del tipo di lavoro a partire dai primi venti piani (dove si trovano le case più economiche) a salire, ed è subito evidente la prima separazione, la più classica: in basso stanno operatori televisivi, hostess di volo e casalinghe della media borghesia; più su troviamo docenti universitari, tantissimi analisti finanziari, gioiellieri, chirurghi estetici e in cima, al piano più alto, uno degli ideatori del palazzo, l'architetto Royal, reduce da un terribile incidente stradale. Il primo personaggio che incontriamo è però Robert Laing, insegnante di Fisiologia, abitante della fascia intermedia. Come appartenente ad una classe sociale medio alta, egli è abituato a considerare sé stesso al di fuori delle competizioni e dei contrasti di chi abita sopra e sotto di lui e gode di un punto di osservazione ideale. E' lui nella prima pagina del romanzo a constatare come gli eventi nel gigantesco palazzo abbiano cominciato da subito e senza un motivo scatenante a scivolare lentamente verso un baratro senza fondo. In poche pagine si passa infatti dai cordiali e affettati cocktail party durante i quali Laing conosce le inquiline del palazzo e valuta la possibilità di avere delle relazioni con loro, ai dispetti maligni tra piani che coinvolgono il danneggiamento di macchine, il furto, la devastazione e arrivano l'omicidio. E' subito chiaro che la situazione evolverà lasciando emergere sempre più decisamente nei condomini l'inclinazione umana verso la distruzione e l'autodistruzione, in un viaggio a ritroso attraverso gli stadi della civilizzazione fino agli inizi, quando i nostri lontanissimi antenati avevano appena conquistata la posizione eretta e vivevano nelle caverne, nel perpetuo timore di essere attaccati, ma altrettanto pronti a fare lo stesso con chiunque. E' qualcosa che c'è sempre stato dentro di loro, ineludibile, inarrestabile, e ci si abbandonano senza pentimento. Il palazzo mostruoso diventa un'entità a sé stante, il centro in cui si consumano delitti di ogni genere che attrae a sé i suoi abitanti fino a quando questi non sono più in grado di uscirne, ormai assuefatti alla sua realtà. A volte si ha quasi l'impressione che sia la costruzione stessa ad indurre la paranoia e a pilotare le azioni di chi la abita, inquilini e palazzo diventano un tutt'uno indivisibile. Da Laing il punto di vista si sposta all'architetto Royal e all'operatore televisivo Wilder, ognuno alle prese con la dissoluzione del proprio ambiente, ognuno pronto ad assumere un ruolo nel “Mondo Nuovo” che inesorabilmente sorge.
In questo libro troviamo abbastanza materiale per parecchi corsi di sociologia e antropologia; i comportamenti sempre più brutali e assurdi non hanno sostanzialmente influenza sulla struttura gerarchica di base della società-condominio: ad esempio Wilson, abitante dei piani bassi, riesce a raggiungere il quarantesimo piano, ma solo per essere sopraffatto, e lo stesso Laing rimarrà un uomo medio, intento a conservare il proprio piccolo territorio. L'unica vera rivelazione (ma sarà poi così?) è nel gruppo dei nuovi padroni, della stessa classe alto borghese ma donne, mentre più giù il genere perde qualsiasi volontà e diventa docile e sottomessa preda degli uomini. Un elemento misogino disturbante corre in queste le pagine ed è intuibile anche prima che la violenza si scateni. Nessuno dei “protagonisti” è dotato di una vera personalità, sembrano seguire dei binari, come se quello che vivono fosse stato ampiamente previsto e tuttavia non si potesse far nulla per evitarlo. Caratteristica questa che aggiunge una nota ulteriore di freddezza alla penna algida e chirurgica di Ballard: egli è un semplice osservatore, scruta attraverso un microscopio la vita di microrganismi su un vetrino e prende appunti, senza emozione e senza un briciolo di umorismo. Forse anche a questo dobbiamo la quasi assoluta mancanza di dialoghi, che pone il lettore di fronte a blocchi di testo infiniti dai quali non emerge umanamente nulla se non l'orrore dei fatti. E' il narratore a fornirci tutte le informazioni che i personaggi non ci danno, aggiungendo una nota di sgradevole quanto involontario didascalismo. A volte vorrebbero dare un minimo di profondità al personaggio, come nel caso dell'antagonismo tra Wilson e Royal che simbolizza esplicitamente quello del primo con suo padre. Il fatto è che nell'economia del racconto finisce per essere un tentativo maldestro e inutile, visto che nessuno sembra avere alcuna reale emozione (e ci mancherebbe) che lo porti a fare quello che fa. I meriti di lucidissima analisi dei meccanismi sociali di questo romanzo sono indubbi e lo stile di James Ballard ha una sua precisa filosofia coerente e originale nell'ambito della letteratura, soprattutto di fantascienza. Non vi nascondo però che la sera, pensando che “Il condominio” mi aspettava sul comodino accanto al letto non ero proprio al settimo cielo, e concluderne la lettura è stato un vero sollievo.


(J.D. Ballard “Il condominio”, Universale Economica Feltrinelli 2012)

3 commenti:

monty ha detto...

Di base mi sembra interessante,
anche se lo sviluppo, mi sembra
di capire, è un pò peso.
Consueti complimenti per la
review, anyway

Gemelle a rotelle ha detto...

Invece penso che a te potrebbe piacere. Avrai capito che è disturbante- Grazie per i complimentos!

cooksappe ha detto...

vetrocemento?