domenica 26 gennaio 2014

Fiori di carta: Kurt Vonnegut "Guarda l'Uccellino"

Andrew Wyett "View from the sea"
Dopo la morte di Kurt Vonnegut sono stati pubblicati tre libri di racconti inediti. Il primo, “Ricordando l'Apocalisse” (Feltrinelli 2008) era forse quello con l'idea più forte e verteva sui temi che lo resero famoso, la guerra e la sua insensatezza, la violenza e la natura dell'uomo. I racconti, secondo l'introduzione del figlio Mark, curatore del volume, erano senza data. Il successivo “Baci da 100 dollari” (ISBN 2011) raccoglieva invece storie pubblicate da diverse riviste all'inizio della carriera di Vonnegut negli anni cinquanta. Questo libro (che con Vonnegutiana tempistica è stato pubblicato per terzo mentre è del 2009) completa questo cerchio narrativo e temporale, presentandoci una serie di lavori rifiutati dalle stesse riviste.
Come lui stesso scrive nella lettera a Walter J. Miller che apre il volume, ciò che Kurt cercava in quel momento era di piacere al suo agente letterario. Che questa fosse o meno la realtà, la sua voce si sente in queste storie già forte e chiara. Le situazioni sono semplici, a volte addirittura banali, eppure Vonnegut riesce a farcele vedere da una prospettiva sorprendente e a trarne eventi che fanno da cardine nella vita dei personaggi. I racconti si sviluppano quasi da soli portando a finali non sempre a sorpresa. Sono quasi favole, in cui gli eroi sono persone per bene, oneste, che rappresentano le doti e le qualità dell'uomo e della donna medi. Ecco allora Ellen Bowers, la casalinga protagonista del primo racconto “Confido”, alle prese con un'invenzione del marito o Francine Pefko, la nuova segretaria di Fuzz Littler che col suo ottimismo mostrerà il lato rosa della vita al suo ingrigito capo. E ancora Elsie Strang Morgan, scrittrice per caso che rifiuta il successo e la rivoluzione che porta nella sua vita privata o i coniugi Elliot, re e regina buoni e onesti precipitati in un diabolico tranello ad opera di terribili maghi cattivi (i poliziotti corrotti della città di Ilium), ma che verranno salvati dalla loro fata buona.
Questa scelta dei protagonisti e delle vicende, calate nella quotidianità e lontane anni luce dalle atmosfere dei libri che verranno, concluse da finali non eclatanti ma netti e a volte dolcemente consolatori, è un inno alla felicità perduta di Vonnegut stesso. Egli, orfano della madre e giovanissimo reduce della Seconda Guerra Mondiale scrive di quell'ingenuità, quella normalità, quella disperata fiducia nel futuro e nell'America che lui e milioni di altri giovani reduci hanno perduto per sempre. Così, non è ottimismo facilone quello che sprizzano questi personaggi, è nostalgia per un mondo ideale in cui prima si poteva credere, ma che dopo la Seconda Guerra Mondiale diventa solo illusione. Quando in “Gridalo dai tetti” Elsie Strang Morgan dice: “Voglio le cose com'erano e come non potranno essere mai più. Voglio essere ancora una piccola donna di casa dolce, timida e sciocca.” è in realtà Vonnegut a parlare, a chiedere che gli sia restituita l'innocenza. E in quest'ottica anche “Formiche pietrificate”, racconto quasi fantascientifico ambientato in
un'improbabile Unione Sovietica non incarna banalmente il timore del pericolo rosso degli Stati Uniti negli anni cinquanta, ma è un monito e un'amara constatazione che vale per tutti ( a riprova, i nomi dei fratelli protagonisti possono essere letti sia all'Americana che alla Russa).
“Ciao Red” è la storia di un ritorno, proprio come quello di Kurt dalla guerra, ritorno ad una città non amata alla ricerca di una rivincita; costruito sulla struttura della tragedia greca, si conclude inaspettatamente con un gesto simbolico e perfetto nell'economia della narrazione. “Il re e la regina dell'universo”, narra il passaggio dal mondo dell'infanzia a quello dell'età adulta di due giovani rampolli dell'alta società, la presa di coscienza che il mondo è molto diverso da come pensavano, che c'è anche la sofferenza, ma con essa scoprono anche l'ipocrisia che li circonda e il vero amore. Forse è l'unico racconto veramente ottimista della raccolta, in cui l'autore cerca di convincersi che le esperienze dolorose da lui vissute non siano state del tutto inutili.
E' sempre difficile separare Vonnegut dalla sua opera, e ancora di più da questi racconti che con la loro struttura leggera e lo stile scorrevole si leggono in un fiato e lasciano trasparire chiaramente l'uomo alla macchina da scrivere. “Guarda l'uccellino” è un buon libro per scoprire l'opera dello scrittore di Indianapolis anche se è diversissimo dalla sua produzione successiva, che lo vedrà rifugiarsi nei mondi alternativi e del paradosso e diventare -pur conservando il suo meraviglioso umorismo-sempre più amaro e disilluso. Chi invece lo conosce sarà contento di incontrarlo ancora una volta, come Billy Pilgrim, in un altro tempo della sua vita.
Resta da dire che forse un autore del genere meriterebbe da parte di un editore come Feltrinelli almeno due righe di introduzione, magari ad opera del traduttore, il sempre bravo Vincenzo Mantovani.
(Kurt Vonnegut “Guarda l'uccellino” 2012, Feltrinelli)



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