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Andrew Wyett "View from the sea" |
Dopo la morte di Kurt Vonnegut sono
stati pubblicati tre libri di racconti inediti. Il primo, “Ricordando
l'Apocalisse” (Feltrinelli 2008) era forse quello con l'idea più
forte e verteva sui temi che lo resero famoso, la guerra e la sua
insensatezza, la violenza e la natura dell'uomo. I racconti, secondo
l'introduzione del figlio Mark, curatore del volume, erano senza
data. Il successivo “Baci da 100 dollari” (ISBN 2011) raccoglieva
invece storie pubblicate da diverse riviste all'inizio della carriera
di Vonnegut negli anni cinquanta. Questo libro (che con Vonnegutiana
tempistica è stato pubblicato per terzo mentre è del 2009) completa
questo cerchio narrativo e temporale, presentandoci una serie di
lavori rifiutati dalle stesse riviste.
Come lui stesso scrive nella lettera a
Walter J. Miller che apre il volume, ciò che Kurt cercava in quel
momento era di piacere al suo agente letterario. Che questa fosse o
meno la realtà, la sua voce si sente in queste storie già forte e
chiara. Le situazioni sono semplici, a volte addirittura banali,
eppure Vonnegut riesce a farcele vedere da una prospettiva
sorprendente e a trarne eventi che fanno da cardine nella vita dei
personaggi. I racconti si sviluppano quasi da soli portando a finali
non sempre a sorpresa. Sono quasi favole, in cui gli eroi sono
persone per bene, oneste, che rappresentano le doti e le qualità
dell'uomo e della donna medi. Ecco allora Ellen Bowers, la casalinga protagonista
del primo racconto “Confido”, alle prese con un'invenzione del
marito o Francine Pefko, la nuova segretaria di Fuzz Littler che col
suo ottimismo mostrerà il lato rosa della vita al suo ingrigito
capo. E ancora Elsie Strang Morgan, scrittrice per caso che rifiuta
il successo e la rivoluzione che porta nella sua vita privata o i
coniugi Elliot, re e regina buoni e onesti precipitati in un
diabolico tranello ad opera di terribili maghi cattivi (i poliziotti
corrotti della città di Ilium), ma che verranno salvati dalla loro
fata buona.
Questa scelta dei protagonisti e delle
vicende, calate nella quotidianità e lontane anni luce dalle
atmosfere dei libri che verranno, concluse da finali non eclatanti ma
netti e a volte dolcemente consolatori, è un inno alla felicità
perduta di Vonnegut stesso. Egli, orfano della madre e giovanissimo
reduce della Seconda Guerra Mondiale scrive di quell'ingenuità,
quella normalità, quella disperata fiducia nel futuro e nell'America
che lui e milioni di altri giovani reduci hanno perduto per sempre.
Così, non è ottimismo facilone quello che sprizzano questi
personaggi, è nostalgia per un mondo ideale in cui prima si poteva
credere, ma che dopo la Seconda Guerra Mondiale diventa solo
illusione. Quando in “Gridalo dai tetti” Elsie Strang Morgan
dice: “Voglio le cose com'erano e come non potranno essere mai più.
Voglio essere ancora una piccola donna di casa dolce, timida e
sciocca.” è in realtà Vonnegut a parlare, a chiedere che gli sia
restituita l'innocenza. E in quest'ottica anche “Formiche
pietrificate”, racconto quasi fantascientifico ambientato in
un'improbabile Unione Sovietica non
incarna banalmente il timore del pericolo rosso degli Stati
Uniti negli anni cinquanta, ma è un monito e un'amara constatazione
che vale per tutti ( a riprova, i nomi dei fratelli protagonisti
possono essere letti sia all'Americana che alla Russa).
“Ciao Red” è la storia di un
ritorno, proprio come quello di Kurt dalla guerra, ritorno ad una
città non amata alla ricerca di una rivincita; costruito sulla
struttura della tragedia greca, si conclude inaspettatamente con un
gesto simbolico e perfetto nell'economia della narrazione. “Il re e
la regina dell'universo”, narra il passaggio dal mondo
dell'infanzia a quello dell'età adulta di due giovani rampolli
dell'alta società, la presa di coscienza che il mondo è molto
diverso da come pensavano, che c'è anche la sofferenza, ma con essa
scoprono anche l'ipocrisia che li circonda e il vero amore. Forse è
l'unico racconto veramente ottimista della raccolta, in cui l'autore
cerca di convincersi che le esperienze dolorose da lui vissute non siano state del tutto inutili.
E' sempre difficile separare Vonnegut
dalla sua opera, e ancora di più da questi racconti che con la loro
struttura leggera e lo stile scorrevole si leggono in un fiato e
lasciano trasparire chiaramente l'uomo alla macchina da scrivere.
“Guarda l'uccellino” è un buon libro per scoprire l'opera dello
scrittore di Indianapolis anche se è diversissimo dalla sua
produzione successiva, che lo vedrà rifugiarsi nei mondi alternativi
e del paradosso e diventare -pur conservando il suo meraviglioso
umorismo-sempre più amaro e disilluso. Chi invece lo conosce sarà
contento di incontrarlo ancora una volta, come Billy Pilgrim, in un
altro tempo della sua vita.
Resta da dire che forse un autore del
genere meriterebbe da parte di un editore come Feltrinelli almeno due
righe di introduzione, magari ad opera del traduttore, il sempre
bravo Vincenzo Mantovani.
(Kurt Vonnegut “Guarda l'uccellino”
2012, Feltrinelli)
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