Con certi libri bisogna lottare: fare a
pugni con la storia, parare i colpi della lingua, subire le offese di
personaggi insopportabili. Se ne vale la pena, a volte arriviamo in
fondo, ma non è chiaro se abbiamo vinto noi, che abbiamo
perseverato, o il libro, che ci ha portati fino all'ultima pagina.
“Mentre Morivo” come la famiglia che rappresenta, non va mai
incontro al lettore, piuttosto si ritira dai suoi tentativi di
comprensione e a volte sembra proprio che non voglia farsi leggere.
E' duro e impenetrabile come un blocco di pietra o di legno
durissimo, un blocco compatto di immagini, parole a volte sconnesse,
frasi smozzicate o lunghissime, che partono da un significato e via
via sbiadiscono e perdono senso. Dal magma di questa lingua si
levano le voci dei Bundren ed emergono, prima confusi, indistinguibili
l'uno dall'altro, poi sempre più chiari, i loro profili, netti.
Addie Bundren è morta. Il suo ultimo
desiderio era di essere seppellita nella sua città natale,
Jefferson, e nonostante la pioggia abbia ingrossato il fiume, che a
sua volta ha buttato giù i ponti per arrivarci, la sua famiglia parte su un
carro con la bara della donna per esaudire la sua volontà.
Ci sono tutti: Darl, reduce di guerra,
Cash il falegname, Jewel, il preferito di Addie, Dewey Dell la
figlia, Vardaman il piccolo e Anse, il marito gobbo e sdentato. Partono, incuranti dei moniti dei vicini. Anse e i suoi figli hanno i loro buoni motivi per proseguire
nonostante il pericolo, non ascolterebbero nemmeno Dio in persona.
Legati a quel corpo e al giuramento fatto come ad una maledizione, i
Bundren precipitano all'inferno, tra fuoco e acqua, testardi,
inarrestabili. Giungeranno infine a Jefferson in condizioni pietose,
seguiti dagli avvoltoi, fisicamente ed emotivamente stremati.
“Mentre morivo” si potrebbe
definire un “Apocalypse Now” su un carro trainato da muli, una
discesa nell'Ade, un percorso delirante creato dalle menti degli
stessi personaggi. La narrazione si sviluppa attraverso i pensieri di
protagonisti e comprimari che raccontano in un flusso di coscienza la
vicenda, così che il lettore si trova direttamente nella loro testa.
Nessuna mediazione, le loro elucubrazioni sono grovigli d'immagini dai quali il
lettore estrae, a volte faticosamente, la storia. Si trova però in
una posizione addirittura migliore che se ci fosse stato un narratore
onnisciente: conosce in prima persona la famiglia e i legami che
intrattiene col mondo, dall'interno, come nessun altro potrebbe. Sa
quali sono i loro desideri, le loro sofferenze e i rancori che covano
dietro l'ostinata unità attorno alla bara.
Ognuno di loro pensa in modo differente, con una sua lingua, che a
partire dal blocco iniziale si forma e di differenzia durante il
libro. Le menti della famiglia ribollono, ma fuori
da ognuno di loro la comunicazione è praticamente azzerata. E'
questo un presagio della precarietà dei rapporti all'interno del
gruppo così testardamente coeso attorno al nucleo rappresentato
dalla cassa in cui riposa Addie: non appena sarà sepolta di lei non resterà in
apparenza ricordo, e le passioni e gli odi fino a quel momento
controllati, esploderanno.
I Bundren si muovono col loro carro dentro un sogno, una visione apocalittica che sviluppa una trama esile, alla quale si possono dare diverse interpretazioni a seconda dei contesti e attraverso una simbologia complessa. A partire dal titolo che evoca
la discesa nell'Ade di Agamennone, si susseguono gli
archetipi incarnati dagli stessi figli, che assumono i loro ruoli
come in una tragedia greca o in un'allegoria cristiana: Jewel simbolo
del peccato e della forza vitale della Terra; Darl il capro
espiatorio, l'agnello sacrificale che libera la famiglia dal proprio
fardello, ma anche una sorta d'illuminato, essendo l'unico ad aver
varcato i confini dello Stato e aver conosciuto il mondo, il
depositario dei segreti più intimi di almeno due dei suoi fratelli; Dewey Dell è la maternità, la prosecuzione della vita, Cash è un
falegname, altra figura legata alla cristianità, Vardaman infine l'innocente. E Anse? Per come lo vedo io, il diavolo: nonostante
l'aspetto innocuo, egli è dotato di uno strano fascino di cui i
vicini sono vittime, e per quanto lo disprezzino sono sempre pronti a
soccorrerlo in nome dei valori cristiani e del buon vicinato. Non
solo, è lui a spingere la famiglia verso l'abisso, portandola a
correre gravi pericoli. Un lupo travestito da agnello insomma, che
sfrutta la pietà altrui per raggiungere i propri scopi. L'atmosfera
è inoltre caricata dal fanatismo religioso di Cora Tull, e
rafforzata dalla presenza degli animali, anche loro simboli forti, dal cavallo, al
pesce (la forza della Terra e il simbolo degli antichi cristiani),
agli avvoltoi (la morte e dunque la rinascita nella religione
cristiana). Addie Bundren, presente in modo
preponderante nella prima metà del libro attraverso le parole dei
figli, dei vicini e del marito, dopo il suo monologo (un lungo
lamento contro gli uomini e la loro superficialità, legata più all'apparenza che alla realtà delle esperienze e delle passioni)
perde consistenza, si dissolve e infine svanisce, lasciando ricordo ricordo di sé solo nella prole. Dietro l'apparenza dura e asciutta
“Mentre morivo” nasconde un mondo complesso che se William
Faulkner avesse voluto descrivere con i mezzi della letteratura più
tradizionale avrebbe potuto espandersi anche per molti volumi. Le sue
scelte ancora oggi modernissime gli hanno permesso di condensare
questo mondo in poche pagine, restituendolo al lettore in tutta la
sua allucinata complessità.
(William Faulkner “Mentre morivo”,
2000, Adelphi)
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