Se John Cheever fosse vissuto a Parigi
negli anni venti del secolo scorso e avesse fatto parte della "Festa
Mobile" di Hemingway e Fitzgerald godrebbe oggi della fama che
merita e probabilmente alcuni suoi colleghi considerati giganti della
letteratura americana uscirebbero fortemente ridimensionati dal
confronto con lui. Nato nel 1912, non ebbe però modo di far parte di
quel gruppo, visse invece la crisi economica della famiglia, il
conseguente etilismo del padre e la separazione dei genitori.
Esperienze che influenzarono le sue ambizioni e che emergono e
persistono in tutta la sua produzione. Il suo terreno narrativo non
era -e forse mai avrebbe potuto essere- quello dell'eroismo guerresco
(anche se partecipò al secondo conflitto mondiale) e delle battute
di caccia, bensì la quotidianità della città e della suburbia
americana punteggiata di villette bianche con giardino immacolato, in
cui le giornate si svolgono tra riunioni di comitati per la moralità,
barbeque con gli amici, aperitivi (in questi racconti si beve
tantissimo), che ne costituiscono la liscia e immutabile superficie e
contemporaneamente ne strutturano la macchinosa, rituale socialità.
I personaggi di queste storie sono
ricchi ed ex ricchi caduti in disgrazia, operatori degli ascensori
nei palazzi in città, impiegati che prendono il treno per andare a
lavorare, casalinghe annoiate o super impegnate nei comitati di cui
sopra. Persone imbevute di normalità, sospese in un mondo
arido ma di apparente benessere di cui hanno nella maggior parte dei
casi accettato i limiti; sono legate alle loro certezze e abitudini
dalla consapevolezza che è proprio l'appartenere a un gruppo con
regole consolidate a dare loro forza sufficiente per sopportare la
vita che quel gruppo struttura. Nella maggior parte dei casi nessuno
di loro si sognerebbe di andare contro queste regole. Ma per ognuno
arriva un momento in cui la vita deraglia dai consueti binari,
aprendo la porta all'imprevisto e offrendo talvolta una scelta
inaspettata. Come accade ne "Il marito di campagna" in cui
un uomo in viaggio d'affari precipita con l'aereo che lo sta portando
a casa. Atterra nei campi, e il protagonista torna dalla sua famiglia
in tempo per la cena. Per la moglie e i figli non è successo nulla e
lui non riuscirà a raccontare (e poi dimenticherà) l'evento
straordinario che ha vissuto ma che lo ha irrimediabilmente,
segretamente cambiato. O come capita al protagonista di "Chimera":
vessato da una moglie capricciosa e depressa, crea per sé un'esistenza diversa e fantastica che sovrappone a quella reale.
Cheever al contrario di Richard Yates -suo contemporaneo, col quale
condivideva le ambientazioni e caratteri dei personaggi- sembrava
amare i sobborghi borghesi di cui scriveva (lui stesso viveva in
apparenza la più normale delle esistenze), la vita tranquilla,
agiata e prevedibile; contemporaneamente ne disprezzava i codici, e
si concesse di osservare lo straniamento di chi si muove con agio
nella gabbia delle convenzioni finchè la trova magicamente aperta e
ha l'occasione di scappare.
Sono racconti fatti questi soprattutto
di incontri, in un mondo reale o immaginario, casuali, cercati o solo
sognati, tra persone presenti e assenti, tra destini che -per quanto
lontani, perfino di sconosciuti- si influenzano e cambiano le vite
altrui.
Una vena surreale pervade le vicende
dando una sfumatura più decisa al dramma ("Ballata") e
accentuando l'ironia ("Le metamorfosi", "Altri tre
racconti" e soprattutto "I gioielli dei Cabot", un
concentrato dei temi prediletti dall'autore). Il mondo che Cheever
descrive è del tutto riconoscibile e identificabile, ma il suo
sguardo vede al di là della vita quotidiana le forze che le danno
forma, la bellezza e la purezza che convivono con la meschinità e l'
ipocrisia. Crea così il nucleo -o uno dei nuclei- della sua
narrativa, ovvero una dicotomia continua tra corruzione dell'animo
umano e innocenza, tra la bassezza degli istinti e la redenzione
della natura.
Come
pochissimi altri poi, egli ha saputo e voluto descrivere la felicità,
tema che nella letteratura è tabù perchè considerata noiosa e
temuta da taluni artisti come la fine delle aspirazioni e della
creazione. Lui la
raccontava prendendosi gioco dei pessimisti (quelli veri e quelli che
ci si atteggiano) e dei pettegoli ("Il baco nella mela"),
sapeva darle leggerezza, dignità e desiderabilità.
Altra ambientazione a lui cara fu
l'Italia: sono veramente tanti i racconti ambientati nel nostro paese
e leggendoli si può intuire come ci percepivano gli anglosassoni che
si scontravano con un paese da presente povero (parliamo degli anni
50'. Cheever visse a Roma nel 1957) e dal fastoso passato,
straripante di una bellezza naturale accecante e sensuale che poteva
atterrire. I comportamenti curiosi dei nobili decaduti, il
pragmatismo sconcertante delle cameriere provenienti da poveri paesi
di montagna, la passione liberamente espressa e alla quale noi diamo
un valore assoluto, anziché nasconderla e provarne vergogna, avevano
un fascino potente e toccavano forse le corde più profonde
dell'animo dello scrittore, che sembrava attratto e sconvolto (di
nuovo la duplicità e l'ambiguità) da un luogo a volte
incomprensibile.
La prosa di Cheever è leggera e il suo
stile profondo e originale . L'analisi dei comportamenti imani e
l'umorismo lo avvicinano a volte ai racconti di Shirley Jackson,
anche lei capace di indicarci i lati oscuri della vita quotidiana di
cui siamo segretamente consapevoli (penso alla raccolta "Demoni
Amanti"). Le sue storie sono sentite più che pensate, e sono
(forse più di quanto lui stesso intendesse) lo specchio fedele dei
suoi turbamenti, dolori, aspirazioni. Ciò che resta al lettore è la
sensazione che la vita possa avere sempre qualcosa in serbo per gli
uomini, che al di là di ciò che vedono gli occhi ci sia una
bellezza che non ha nome ma è ovunque.
Il volume è aperto da una bella
prefazione di Andrea Bajani e chiuso da una postfaszione di Adelaide
Cioni, una delle traduttrici. Devo aggiungere una piccola critica: la
copertina di un volume così imponente (e che quindi viene manipolato
molto), non essendo in carta patinata e plastificata tende a
rovinarsi facilmente. Sono consapevole del coraggioso sforzo
economico di Feltrinelli per far conoscere l'opera di John Cheever,
ma forse qualcosina in più quest'edizione meritava. In ogni caso, un
libro da avere.
(John Cheever "I racconti"
2012, Le Comete Feltrinelli)
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