Quando negli anni cinquanta e sessanta
del secolo scorso si iniziò a parlare di consumismo, potere degli
oggetti, bisogni indotti e pubblicità, forse nessuno era in grado di
prevedere a che punto si sarebbe spinta la faccenda. All'inizio
perlomeno se ne parlava, gli intellettuali come Pasolini analizzarono
ciò che stava succedendo e lanciarono un grido di allarme per quanto
sarebbe potuto accadere. Alcuni scrittori di fantascienza (Pohl e
Kornbluth, Orwell) ancora prima ci avevano messo in guardia, ma è
stato tutto inutile. Lentamente (ma neanche tanto) e inesorabilmente
l'ideologia del commercio come forma suprema di libertà ha preso il
sopravvento. Le nuove generazioni non hanno un metro di paragone,
così non c'è più limite potenziale al potere della pubblicità e
del liberismo.
George Saunders mette in scena in
questi racconti un mondo in cui il passo successivo al presente è
ormai compiuto: il mercato e tutti i suoi annessi sono diventati la
forza motrice dell'esistenza e la pubblicità ha assunto un valore
evangelico. Le vite dei personaggi sono scandite dai ritmi degli
spot, le situazioni che si trovano a vivere sono tipicamente
televisive e tutto è giustificabile con l'obiettivo della vendita, e
chi non segue l'onda ha vita dura.
Ecco dunque una mamma che restituisce
una maschera che applicata sul viso di un neonato simula dei discorsi
che sembrano provenire dal piccolo, venire cortesemente ma fermamente
redarguita da un dipendente della ditta produttrice che le racconta
quanto sia più interessante un neonato parlante invece di un banale
bambino che emette versetti senza senso; un nonno costretto a subire
centinaia di messaggi pubblicitari attraverso tutti i canali
sensoriali per amore del suo nipotino; una coppia cresciuta in una
struttura che si occupa di testare nuovi prodotti che si separa
allorchè uno dei due decide che il mondo di fuori è più
interessante anche se povero e miserabile. E questo è ancora niente.
Procedendo nella lettura i racconti diventano via via più surreali,
più claustrofobici e spietati finchè il sistema del libero
commercio è diventato l'elemento primario e fondante della vita, il
suo solo scopo, vero ideale, l'unico fattore che supera divisioni di
genere, di età, di formazione, di religione, di opinione politica.
In una parola DIO. “Brad Carrigan, Americano” vive in un reality
show e la sua vita è alla totale mercé degli sceneggiatori
televisivi, delle risate registrate, degli indici d'ascolto. Solo
accettando come normale una realtà totalmente fasulla e rifiutando
qualunque scrupolo morale può continuare a vivere agiatamente con
l'amore di sua moglie, tra una sigletta e l'altra. Anzi, solo così
può continuare a vivere. Perchè se vendere è l'unica azione
nobile, se la nuova Bibbia è la pubblicità, qualunque
considerazione morale diventa bestemmia. Così cresce un egoismo
radicale che diventa virtù, perchè in fondo non è colpa nostra,
non ci possiamo fare niente e dobbiamo prima pensare alla
felicità di chi ci è vicino. Chi cerca di obiettare a questo
sistema viene deriso, escluso, umiliato, annichilito con tutta la
violenza possibile.
Vivere nel Paese della Persuasione è
decisamente mostruoso, eppure si tratta di un luogo che ricorda da
vicino non solo agli Stati Uniti, ma a tutto il mondo occidentale,
occupato a vendere senza curarsi ormai se c'è qualcuno che comprerà
e a diffondere la propria religione commerciale; un paese in cui i
vincenti sono coloro che si adeguano al sistema per entrare a farne
parte annullando qualunque moralità.
Dietro alla maschera del nostro
benessere e del nostro vivere senza pensieri, delle giustificazioni
che ci diamo Saunders ci mostra l'abisso in cui sono precipitate le
nostre anime. Lo fa con una scrittura abile, capace di narrare il
flusso continuo di immagini catodiche che invadono l'etere, gli occhi
e i cervelli saturandoli, e con umorismo acido e surreale che ci
rende più facile guardare oltre l'orlo del precipizio, anche se non
meno doloroso.
(George Saunders “Nel Paese della
Persuasione” 2010 Minimum Fax)
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