Dopo la folgorante esperienza di “Le
correzioni”, invece di leggere subito il romanzo seguente di
Jonathan Franzen (“Libertà”), sono stata attratta dal titolo di
questa raccolta di articoli e saggi degli anni '90. Tema
portante è l'evoluzione della società americana degli ultimi
decenni e la crescente difficoltà che incontra l'individuo a stare
nel mondo mantenendo la propria unicità negli spazi personali sempre
più limitati concessi dalla globalizzazione.
Intellettuale, colto ma non spocchioso,
Franzen analizza lucidamente una serie di esperienze personali che si
collegano ai fenomeni generalizzati del mutamento dei costumi e della
cultura di massa. Dal morbo di Alzheimer (malattia che colpì il
padre) al vizio del fumo, dall'occasione (mancata) di entrare
nell'Ophra Winfrey's Book Club, alle conseguenze inaspettate della
costruzione di un carcere di massima sicurezza in una zona desolata e
semi abbandonata, lo scrittore ricerca a partire da sè gli effetti
delle politiche e dei comportamenti della massa e viceversa, in un
continuo rimando dal singolare al plurale che sottolinea quanto
ognuno di noi sia -volente o nolente- connesso con l'esterno.
Noi tutti viviamo assediati
dall'invadenza di giornali e televisione, immersi nella cacofonia
mediatica e trascinati in un delirio tecnologico a basso prezzo che
serve a tenerci occupati mentre la cultura perde valore e con essa il
miglioramento personale. La diffidenza di Franzen verso ciò che la
maggior parte della società ha ormai assimilato non è snobismo
intellettuale, ma vero disagio (tipico probabilmente delle
generazioni che hanno assistito alla digitalizzazione globale)
verso un mondo in costante accelerazione in cui la cultura viene
somministrata agli utenti in maniera sempre più approssimativa, con
un vantaggio del mezzo e della forma di diffusione a discapito della
sostanza dell'informazione.
Questo processo porta
all'omogenizzazione dei modi e dei desideri e rende l'essere sé
stessi un'impresa difficile: le alternative al mainstream sono
sempre meno, la formazione delle persone e le possibilità di
deviazioni dalla strada segnata più limitate. L'impoverimento
personale del singolo, l'appiattimento che ne deriva, si riflette direttamente
sulla letteratura contemporanea, che si trova sempre più a corto di
personaggi interessanti e situazioni articolate.
L'unica via di scampo sembra trovarsi
nella letteratura e in quello stare soli,
nella dilatazione dei tempi che comportano il leggere e lo
scrivere, ma anche nel non farsi inghiottire dalla tecnologia e
dall'illusione che possa risolvere ogni cosa, e nel non vergognarci
di sentirci fuori posto, coltivando anzi il nostro senso critico e la
capacità di riconoscere quello che ci piace o non ci piace.
Jonathan Franzen è un osservatore
acuto e sincero, che accompagna il lettore con una scrittura che
rende piacevoli anche i passaggi più complessi della sua indagine: è
confortante rendersi conto di condividere con lui un certo pessimismo
e più di un dubbio sul modo in cui stanno cambiando la società e la
cultura. Un libro estremamente gradevole anche per chi, come la
sottoscritta, non è abituato a leggere saggi, che aiuta ad essere
più consapevoli del mondo che ci circonda.
(Jonathan Franzen “Come stare soli”
2003 Einaudi)
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