Se cerchi Mark Richard nei siti italiani di vendita di libri, saltano fuori testi di giardinaggio e per lo studio della lingua inglese. Anche consultando un sito Americano devi faticare, però lo trovi. Effettivamente non è che abbia scritto molta narrativa (due raccolte di racconti e un romanzo); adesso poi, si sta dedicando alla scrittura di sceneggiature cinematografiche. Ma se Chuck Palahniuk lo cita in un suo articolo come una specie di maestro, cominci a pensare che non si tratti di un Mr. Nessuno.
L’impressione che si ha dopo qualche ricerca è che Mark Richard sia un specie di guru della letteratura americana contemporanea, conosciuto soprattutto da scrittori ed intellettuali, carismatico e capace d’influenzare altri scrittori, ma relativamente poco noto al grande pubblico.
Solo impressioni. Ma se fosse vero ci sarebbe da chiedersi perché, dato che i protagonisti dei suoi racconti vivono per la quasi totalità ai margini dei margini, nelle periferie di piccole città del sud degli Stati Uniti, più poveri dei neri che vi abitano, costretti a pagarsi l’alloggio con lavori di manutenzione per il padrone di casa. Mangiano quello che capita (un pranzo al fast food è accolto come da noi una cena al Savini), sono quasi sempre persone di poca istruzione e spesso bambini, esposti alla violenza e alla sfortuna. Raccontano la loro storia con lunghi monologhi e la loro lingua è quasi dialettale, con periodi infiniti che se vuoi capirli devi immaginarteli in bocca a qualcuno perché altrimenti resti a chiederti che cavolo significa stà frase? Attraverso questa lingua così complessa e realistica la vita viene rappresentata in modo misterioso, trasognato, come nei racconti dei bambini, che non comprendono tutto quello che vedono ma lo riportano fedelmente rendendolo con la loro ingenuità ancora più agghiacciante, divertente o triste.
E’ il caso di racconti come “Strays” (in cui due fratelli sono affidati alle cure di un certo "zio Trash" mentre il padre cerca di recuperare la madre scappata di casa) o “This is us, excellent” i cui protagonisti sono ragazzini maltrattati che riportano quanto gli accade così come lo percepiscono, senza rilevarne il lato drammatico o perlomeno il lato più drammatico, perché così è la loro normalità. Dalla comicità di “Happiness in the garden of variety”, all’infinita tristezza di “Her favorite story”, “The ice at the bottom of the world”, “On the rope”, Richard dimostra una grande sensibilità e una notevole abilità di narratore e non sorprende che sia stato accostato come genere a Mark Twain.
Un piccolo libro con un grande peso specifico, che francamente trovo strano (per non dire criminale) nessuno si sia deciso ancora a tradurre.
(Mark Richard “The Ice at the bottom of the world” 1991, Anchor Books. Reperibile su Amazon Uk e Amazon.com, oppure provate ad ordinarlo presso una libreria fornita di testi in lingua originale)
4 commenti:
grazie della rece
stai effettuando un servizio di pubblica utilità, anche se purtroppo dubito sarò in grado di leggere sto tizio finchè non verrà tradotto. in inglese ancora "gna' fo".
grazie:-)! Troppo buono!
incredibili, le coincidenze della vita: ricordo ancora quando comprasti quel libro, secoli orsono!
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