domenica 29 gennaio 2012

Voglie Improvvise

D'un tratto m'è venuta una voglia tremenda di rileggere "Il Quinto Figlio" di Doris Lessing...Domani mi fiondo in libreria!!!

venerdì 27 gennaio 2012

Piccole Animazioni

Ecco un simpatico cortometraggio di Spike Jonze che piacerà agli amanti dei libri. Il titolo è
"Mourir Auprès de Toi " Buon Divertimento...

lunedì 16 gennaio 2012

E' arrivata l'astronave

Difficilmente dedico post a personaggi appena deceduti: non mi piace raccontare per l'ennesima volta la storia di qualcuno a cui già tutti i mezzi di comunicazione stanno dedicando spazio e tempo.
Fruttero (in poltrona) e Lucentini
Faccio un'eccezione per Carlo Fruttero perchè a lui ed al suo collega Lucentini devo un bel ricordo. Premetto che non ho mai letto un libro di questi autori, ma ho apprezzato diversi Urania curati da loro e la loro direzione della collana è da rimpiangere ancora adesso. Ho anche comprato il loro "I ferri del mestiere", anche se non l'ho ancora letto.

Torniamo al ricordo. Erano gli anni 90' ed alla Rai si parlava di libri!!! Tutti guardavano"Pickwick-del leggere e dello scrivere", il programma di Alessandro Baricco su Rai 3, una trasmissione che durava parecchio, con un bello studio, un protagonista (Baricco) che sprizzava cultura e fascino da tutti i pori e forse, beh se la tirava un pò. Avevo provato a guardarlo un paio di volte, ma mi ero quasi addormentata.
Invece, su Rai 1, il martedì c'erano proprio Fruttero e Lucentini, che in un piccolo studio arredato come un appartamento (o era la casa di uno dei due?) discutevano amabilmente di lettura, di libri da leggere o non leggere, e perchè. Mi piacevano tantissimo l'atmosfera rilassata, l'arredamento soffocato dalle pile di libri, il vecchio giradischi. Più di tutto amavo le loro chiacchiere incuranti della telecamera, le stesse che suppongo avremmo potuto ascoltare se li avessimo seguiti in un bar. 

Tutto qui. Non ricordo nemmeno il nome della trasmissione, ma ricordo bene che le loro discussioni alimentarono la mia passione per i libri, e per il parlare di libri. Era un piacere seguirli , e ancora adesso credo che la loro sia stata la trasmissione televisiva di libri più bella che abbia visto. Anche se è vero, dopo di allora ne sono state fatte ben poche.

Addio, e grazie di tutti i libri...


domenica 15 gennaio 2012

Non aprite quel cofano! Alan Bennett "La Signora nel Furgone"

Per quasi vent'anni Alan Bennett ha ospitato nel proprio cortile un furgone sgangherato in cui viveva un'anziana barbona, Miss Sheperd. Di lei, una signora decisamente fuori di testa, di opinioni politiche vicine al National Front, fanatica religiosa, dalle mille idee originali, lo scrittore ha annotato le imprese nel proprio diario. Da questi appunti ha poi tratto un programma radiofonico ed anche questo libro, che ripercorre questa convivenza fuori dalle regole.

Quando Miss Sheperd compare nei dintorni della casa di Bennett siamo alla fine degli anni 60'. Il suo furgone non cammina, ed il solo modo che ha per cambiare parcheggio è scroccare l'aiuto dei passanti e farglielo spingere fino alla prossima destinazione. Inutile dire che è lui uno dei "prescelti", e dopo qualche anno che la donna "abita" nella sua via, disturbato dai continui attacchi di vandali al furgone, decide di ospitarla nella sua casetta degli attrezzi: da lì al parcheggio del furgone nel cortile il passo è breve.
Come molte persone anziane che vivono per la strada Miss Sheperd non ha un buon carattere, non ama parlare di sè e del proprio passato (anche se a volte si fa scappare qualche particolare) ed è piuttosto stravagante. Il suo look non è fatto solo di vecchi vestiti che pietose assistenti sociali le portano e lei vaglia con ben poca gratitudine, ma anche di berretti di surplus militare, spugne per lavare i piatti utilizzate come visiere di cappelli improvvisati e stracci per la polvere uniti in bislacche gonne.

I mesi e gli anni si susseguono marcati dalle surreali conversazioni che la donna intrattiene col povero, paziente ma non succube Bennett, il quale l'accontenta quando può ma non manca di sottolineare l'incongruenza dei suoi discorsi reazionari, delle sue trovate, delle sue pretese. Miss Sheperd accarezza l'idea di mettersi in politica, di aiutare la Thatcher nella sua carriera, cerca addirittura d'intervenire nella guerra delle Malvinas.
L'esilarante (per noi) convivenza prosegue fino a quando la donna muore durante una notte nel suo amato furgone.
Inizia allora la parte più inaspettata del libro, in cui Bennett entra finalmente nel mondo di Miss Sheperd, dal quale lei stessa, pur essendo sua ospite, lo aveva sempre tenuto fuori. Comincia con lo scavo archeologico dei resti all'interno del fetentissimo furgone e si conclude con l'incontro con il fratello di Miss Sheperd: le scoperte che farà in parte smentiranno ed in parte confermeranno le classiche dicerie di tesori nascosti e amori perduti che girano nel quartiere e le daranno finalmente una terza dimensione che aveva sempre negato di vedere anche a chi le stava più vicino.
Alan Bennett si dimostra estremamente corretto ed evita accuratamente di riportare qualunque annotazione sentimentale sulla storia della sua ospite, non proprio felice: si intuisce comunque l'affetto ed il rispetto che nutriva per lei, nonostante fosse davvero strampalata e intrattabile.
Un libro di pochissime pagine in cui si concentra un'intera esistenza, utile a ricordare che dietro ogni persona, anche la più invisibile, ci sia una storia, comunque sorprendente.



domenica 8 gennaio 2012

Abbagli? Kilgore Trout "Venere sulla conchiglia"


"Hey Punk, where you goin' with that button on your shirt?
Hey Punk, where you goin' with that button on your shirt?

I'm goin' to the love-in to sit & play my bongos in the dirt.
Yes, I'm goin' to the love-in to sit & play my bongos in the dirt."
(Frank Zappa "Flower Punk")

Se avete letto i post più recenti di questo blog saprete che dietro il nome di Kilgore Trout non si nasconde il suo creatore ed alter ego Kurt Vonnegut, ma un altro autore di fantascienza, Philip Josè Farmer, che ne ha assunto l’identità e preso ispirazione per la trama di questo romanzo da un brano di “Perle ai porci”..

“Venere sulla conchiglia” è una versione boccaccesca e frikkettona dei romanzi di esplorazione fantascientifica, il cui protagonista è una specie di hippie spaziale di nome Simon Wagstaff che suona il banjo elettrico ad energia atomica, sfuggito da una troppo energica pulizia della terra su un’astronave insieme a due animali emblematici: il cane Anubis e la civetta Atena.
Visto che sulla terra sono tutti morti a Simon non resta molto da fare se non girare per l'universo alla ricerca delle risposte alle domande fondamentali, prima fra tutte “Perché veniamo al mondo solo per soffrire?”
Domandona. Non particolarmente originale, ma sufficiente per far incontrare al nostro una serie di bizzarre razze spaziali. E’ evidente che Simon rappresenta un giovane degli anni 70’ che al posto dell’astronave guidasse un camioncino Volkswagen per le vie del mondo insieme ai suoi animali, raccogliendo belle autostoppiste con cui praticare l’amore libero, suonando e facendo domande dalle risposte impossibili agli abitanti dei paesi che incontrava. Mancano solo acidi e canne.
Altrettanto chiara è la simbologia dei vari pianeti visitati da Simon, che rappresentano altrettante insidie che il giovane figlio dei fiori dello spazio si trova ad affrontare: ad esempio il saggio cannibale del pianeta Dokal –come non vedervi qualche santone rifugiato in un lontano ashram?- o il pianeta Golgeas, in cui il sistema giudiziario è talmente schizofrenico e rigido che basta un niente per finire in galera e ci vogliono tremila anni per ottenere una sentenza definitiva. Questa è forse la parte più interessante del romanzo, ed anche la più divertente ed acida verso la società terrestre del tempo.
Qua e là Simon rammenta parti di romanzi di fantascienza di Jonathan Swift Somers III, alla maniera in cui Vonnegut racconta le trame di Kilgore Trout nei suoi libri, con una sorta di citazione nella citazione che però risulta un po’ fastidiosa.

E’ evidente l’intenzione di Farmer/Trout di voler riprodurre alcuni schemi narrativi di Vonnegut, secondo alcuni articoli disponibili in rete per omaggiarlo, mentre per alcuni critici –visto il buon successo del libro all’epoca-  per sfruttare il nome di Vonnegut. E’ innegabile che un’operazione del genere, pur condotta con le migliori intenzioni rischi di portare a degli equivoci. Ma personalmente è una questione che non m’appassiona.

Il punto è che Farmer –secondo me- non è entrato completamente nel personaggio letterario, e tentando di scrivere una storia “a la Vonnegut” con lo pseudonimo di Kilgore Trout ha creato un ibrido tra lo stile comico, cinico, la narrazione ad orologeria, i continui rimandi del primo e l’afflato trash che contraddistingue le opere del secondo, non venendo –letterariamente parlando- a capo di niente.
Chi ha letto i romanzi di Vonnegut potrà apprezzare il tentativo, e trovare interessante la parabola di Simon Wagstaff  che sembra un monito per tutti i frikkettoni dell’epoca alla ricerca di risposte, tuttavia potrebbe non amare i giochetti citativi e la narrazione, certamente non all’altezza. Gli appassionati di sci-fi underground invece si potrebbero annoiare con le citazioni, poesie e filastrocche (grande “vizio” di Vonnegut) ma divertirsi con le invenzioni a volte (non sempre) molto divertenti ed i mostri che compaiono sui vari pianeti.

La cosa che mi dispiace di più è non avere nessuno con cui discuterne, perché pur essendo una modesta pur appassionata fan di Vonnegut, ho molta meno conoscenza della fantascienza di cui Farmer era rappresentante e quindi posso vedere le cose solo da un punto di vista estremamente limitato. Però, se qualcuno vuole intervenire, è il benvenuto. Io per ora sospendo il giudizio.

(Kilgore Trout “Venere sulla conchiglia” Urania n.23 , 1976 Mondadori)