venerdì 29 ottobre 2010

Cose Preziose

La "Libreria XX Settembre" si trova nel piccolo borgo di Ovada, nell'Alessandrino. Da fuori, la piccola vetrina si nota poco e passando rapidamente in cerca di un negozio di farinata o funghi si rischia di perderla. Ma se la vedete entrateci: appena passata la soglia vi sembrerà di essere in una di quelle biblioteche dei film fantastici di Joe Dante dove centinaia, migliaia di volumi si ammassano gli uni sugli altri, come costituissero essi stessi le pareti del negozio. Negli scaffali che arrivano a soffitto i libri sono ammucchiati gli uni sugli altri, le ultime uscite, i best sellers.
La cosa più bella è salire la scaletta -ai lati della quale sono impilati altri volumi- ed esplorare il soppalco, dove si trovano libri vecchi ed addirittura fuori catalogo. Nuovi, non usati, ma quasi tutti in edizioni datate. Dalle biografie di Bob Dylan alle opere di Philip Dick. E' un piacere perdersi in questo mare di titoli quanto mai variegato. E per quanto possa sembrare strano, c'è anche un ordine di catalogazione.
Un luogo magico per il bibliofilo appassionato, uno di quei posti da perderci la testa e tutta la giornata...
In appena mezz'ora di permanenza sono riuscita a trovare una vecchia edizione Einaudi di "Rose e Cenere" di James Purdy, appena ripubblicato. Il volume nuovo costa 18 euro, ma quello che ho preso io costava 14mila lire...Sette euro!

Libreria XX Settembre, Piazza 20 Settembre 6, Ovada (AL). Telefono 0143/86060

venerdì 22 ottobre 2010

Tra topi e malattie: Stanley Helkin "Magic Kingdom"

La letteratura postmoderna Americana è una specie di mistero per me: anni fa ho provato a leggere Barthelme e devo ammettere di non averlo capito. Ho sfiorato John Barth e poi sono arrivata, del tutto casualmente, a Stanley Elkin. L'impressione che mi danno sempre questi scrittori è di usare le storie di finzione come una specie di travestimento per una critica o un sarcastico umorismo nei confronti della società e dell'estabilishment culturale. Sono veri intellettuali, abili nell'uso della lingua, autori raffinati i cui libri -si vede, si sente- sono molto pensati, a volte fin troppo.

Quest'astratta intellettualità non colpisce Elkin o almeno "Magic Kingdom", che pur risultando a tratti molto complesso soprattutto a livello di linguaggio, muove da elementi così carichi di pathos e di dramma da rendere necessario uno sguardo spietatamente ironico e allenato all'analisi del pensiero umano, allo smontaggio delle singole emozioni in modo da comprenderle ed esorcizzarle senza permettergli di farci prendere dalla disperazione e dal patetismo.

La storia di Eddy Bale è tragica: suo figlio Liam, dopo una lunga malattia è morto a dodici anni lasciando i genitori sotto choc. La moglie Ginny, incapace di affrontare il lutto insieme al marito lo ha lasciato e si è messa con un tabaccaio. Eddy è un uomo a cui non è rimasto nulla tranne i sensi di colpa. E tra i molti che ha c'è quello per aver fatto tanto per tenere il vita il bambino da dimenticarsi che appunto si trattava di un bambino e avrebbe dovuto divertirsi, nonostante tutto.
Così, forse in cerca di espiazione o per fare un omaggio postumo al figlio, cerca di organizzare un viaggio a Disneyland e portarvi sette ragazzini malati terminali. Nonostante le prime difficoltà, riesce a raggranellare i fondi necessari, poi viene la scelta dei collaboratori ed infine dei piccoli malati destinati alla "vacanza da sogno".

Così il viaggio ha inizio. Un viaggio incredibile davvero, tra malattia, morte, attori falliti vestiti da Pluto e Topolino in un regno irreale dove i piccoli nelle loro condizioni spiccano come creature spaventose dipinte da Bosch. Il contrasto tra l'atmosfera zuccherosa di Disneyland e la clamorosa realtà che v'irrompe con questa carovana d'Inglesi è a volte esilarante e scatena reazioni inconsulte, come nel caso del piccolo Noah, che viene assalito da un irrefrenabile consumismo che cerca di placare acquistando souvenirs di Topolino e Co. alla cieca.

E se i bambini sono malati nel corpo è evidente che gli adulti lo sono nello spirito. Ognuno di loro porta con sè  la disperazione, la solitudine, una condizione di inadeguatezza. Mary Cottle ad esempio, impossibilitata ad avere figli fisicamente normali, non vuole un uomo e sfoga il suo nervosismo masturbandosi continuamente; Nedra Carp, la tata, è una donna perbenista, banale, incapace di amore disinteressato ma vittima di una famiglia allargata allo sproposito. Tutti verranno analizzati a fondo, il loro passato ed il loro presente, senza condanna, ma pure senza  pietà. E alla fine i piccoli condannati capiranno di non essere loro i veri freaks, che i sani sono in realtà più malati di loro
L'ironia tragica e assoluta, forse già nel sangue di Elkin (ebreo di Brooklin, lui stesso vittima di una malattia degenerativa incurabile) riesce a far digerire al lettore cose terribili, i ricordi del calvario del piccolo Liam, l'umiliazione di Eddy costretto ad elemosinare denaro per le cure comparendo in televisione, rilasciando interviste ai rapaci giornali di gossip Britannici, i mali (spaventosi) che affliggono i piccoli del gruppo, la meschinità degli adulti che appaiono veramente miseri in confronto ai bambini di cui si devono prendere cura.

La critica alla società dei media, alla spettacolarizzazione del dolore, al consumismo (soprattutto Americano), al patetismo, alla visione che gli adulti hanno dell'infanzia ed alla finzione è cristallina e feroce, ogni movimento, ogni pensiero è scoperto e fissato sulla pagina.
Il Regno Magico resta sullo sfondo, scenografia attiva di tutta la vicenda che influenza i suoi ospiti e da loro è (anche se in apparenza non si direbbe) mutato. Quando Eddy Bale se ne andrà con tutto il suo carrozzone, Disneyland sarà irriconoscibile.

Se deciderete d'impegnarvi in questa lettura siate preparati, "Magic Kingdom" è densissimo, psicologicamente, intellettualmente e linguisticamente. Non è un caso che la scrittura di Stanley Elkin sia stata paragonata ad "un assolo di sax nell'orchestra di Duke Ellington" (cit. Rick Moody): i suoi periodi sembrano interminabili, con pagine e pagine occupate da testo che sta tra parentesi lontanissime l'una dall'altra, tanto che capita di perdersi e dover tornare indietro più volte per riprendere il filo, capire l'intonazione a cui pensava, cercare di intuire lo sviluppo successivo. Non mancano divagazioni, tutt'altro che oziose ma certo impegnative. Eppure, si resta ipnotizzati e in un attimo ci si trova a metà libro.
Ci vuole un pò di coraggio ad avvicinarsi a questa storia, sia per le tematiche che per lo stile letterario, ma certamente non ci si pente di averlo fatto.

Vi lascio con un'intervista all'autore del 1974, pubblicata dal  "the Paris Review"...

(Stanley Elkin "Magic Kingdom" 2005, Minimum Fax)

sabato 2 ottobre 2010

BaaaBaaa Black Sheep! Ascanio Celestini, "La Pecora Nera"

Ascanio Celestini ha uno stile asciutto, che non si concede ammiccamenti e facilonerie. E' amaro, ed anche questo mi piace. Ridi solo quando lui te lo permette ed anche allora è un riso che un pò ti va di traverso, perchè se ci pensi bene, non c'è proprio niente da ridere.

"La pecora nera" è il testo di uno spettacolo da poco diventato anche un film e tratta il tema dei manicomi e della malattia mentale.

Nicola è entrato in manicomio quando era un ragazzino. C'è arrivato quasi per errore e ci è rimasto tutta la vita; forse era già matto da piccolo, forse è diventato matto a furia di elettroshock e pastiglie colorate, di solitudine e mancanza d'amore. Magari non è matto per niente. Dal mondo dentro la sua testa, di rinnegato, di escluso, riesce a vedere tante cose come realmente sono, le distorce fino a coglierne l'essenza e ce le restituisce crude e  indigeribili.
E ricorda il mondo com'era quando è nato, nei Favolosi Anni Sessanta, sull'orlo di un cambiamento epocale che avrebbe travolto tutto e portato meravigliose illusioni naufragate in un mare di merci e di desideri ridicoli e vuoti. Vorrebbe forse provare a ricomporre le cose, a metterle a posto una volta per tutte e per questo continua a tornarci incessantemente. La sua vita si è fermata lì. Ma ormai Nicola è perduto. Troppo isolamento, troppe pasticche, troppo buio.
I Favolosi Anni Sessanta sono finiti e si sono portati via i sogni di tutto un paese, di tutto il mondo. Ciò che resta, ciò che resta a noi e a Nicola è l'incredibile solitudine del "Manicomio Elettrico", che ha svuotato la vita di senso ma che ormai è la nostra casa e l'unica compagnia.

Non dico di più. Aggiungo solamente che rispetto al collega Filippo Timi recensito qualche mese fa in questo blog , Celestini non vuole scrivere un romanzo ma restituire il testo teatrale e per questo motivo, pur essendo una bella lettura, si ha la percezione che solo la voce e la faccia di Ascanio possano completarla.
Pubblico anche il link al sito di Ascanio Celestini dove racconta in forma di diario come "La pecora nera" è diventato un film.

(Ascanio Celestini "La pecora nera", 2006 Einaudi)