Prima
di Alice Munro fu Flannery O'Connor. Coloro che ambiscono a scrivere
racconti sentono spesso risuonare il suo nome come un consiglio
affettuoso e imperativo. Ma nonostante sia ormai considerata un
classico ed esistano molti blog e siti a lei dedicati, non è così
facile vedere i suoi libri tra le mani dei passanti e degli amici;
pure ai corsi di scrittura è una conoscenza quasi esotica, nota ai
docenti e molto meno agli aspiranti scrittori. Non cercherò di
indagarne qui i motivi, anche se si tratta di una situazione curiosa:
parliamo infatti di una delle autrici che più hanno influito sulla
letteratura americana contemporanea in termini d'ispirazione, stile e
coraggio. Celebrata da Kurt Vonnegut come “La più grande
scrittrice di racconti della mia generazione” Flannery scriveva
senza timore di essere spietata o scontentare qualcuno, portando
avanti una sua visione molto personale; analizzava l'agire degli
uomini con la lucidità di un medico, vestiva la tragedia di
paradosso e acida ironia, e faceva parlare i suoi personaggi con una
lingua concreta, realistica, in cui compaiono volutamente termini
volgari (oggi assimilati al linguaggio letterario) o “politicamente
scorretti”.
Quando
venne pubblicato negli anni '50 “A good man is hard to find”
deve aver avuto un effetto dirompente: l'America era in preda al
terrore anticomunista, la retorica patriottica era a uno dei suoi
picchi storici e il razzismo era ancora sentito in diverse parti del
paese come una condizione naturale. La O'Connor rappresentò un mondo
rurale e piccolo borghese attraverso i personaggi che lo abitavano,
usando la loro lingua e catapultandoli in situazioni paradossali,
crudeli, che evidenziavano il lato oscuro della società. Il fatto
che ancora oggi si trovino in alcuni siti ultrareligiosi critiche
alla durezza del linguaggio e alla violenza mostrata in questi
racconti possono darci una misura dell'impatto che il libro può aver
avuto ai tempi. Flannery O'Connor era fervente cattolica, nacque e
visse nella “Bible Belt” protestante; fu anche quest'appartenenza
religiosa a darle un punto di vista particolare, diverso da quello
dei suoi vicini di casa, ma anche dei cattolici europei: era troppo
pragmatica e diretta per potersi assimilare a un cattolicesimo
europeo (italiano, spagnolo) molto moralista, ma anche troppo pietosa
per sentirsi a suo agio con la durezza della tradizione protestante.
Per lo stesso motivo e per l'onestà della sua convinzione, essa è
sempre presente sullo sfondo dei racconti ma non intacca mai
l'efficacia e il fine espressivo della narrazione, in altre parole
non rischia di diventare divulgazione religiosa. Ci sono invece la
critica a una religiosità superficiale e una disillusione quasi
inconciliabile con le speranze di cui la fede dovrebbe essere
portatrice, a partire da “A good man is hard to find”, un
classico quadretto di famiglia americana in gita annichilito da una
sorte agghiacciante (sarebbe un grande soggetto per i fratelli
Cohen), passando per “Circle in the fire” e “ Good country
people” fino a “The misplaced person” -storia di un sacrificio
in nome dell'immutabilità di un ordine costituito di schiavi e
padroni- che conclude in grande la raccolta, . In un paese che fa
della Nazione una religione, Flannery O'Connor s'ispirava ad
archetipi universali che ritroviamo nell'intera storia umana, e
ribaltava la mistica patriottica.
Uno schizzo per un'illustrazione ispirata a "A good man is hard to find" |
La
violenza in questo libro è fisica ma anche, soprattutto, prepotenza
e umiliazione, quella che sottende alle costruzioni sociali e alle
relazioni. Viene in mente la raccolta “Demoni Amanti” di Shirley
Jackson, contemporanea della O'Connor che come lei scelse di
concentrarsi sui dettagli e sui comportamenti per svelare i
meccanismi della sottile sopraffazione quotidiana. Le atmosfere dei
suoi racconti sono sospese, sovrannaturali, la realtà che conosciamo
si rivela un incubo; allo stesso modo in “A good man is hard to
find” troviamo personaggi credibili, circostanze realistiche che la
scrittrice avrà certamente sperimentato, sono avvolte da un senso di
mistero e attesa di un evento terribile che, prima o poi, si
abbatterà sugli uomini.
Ma
mentre la Jackson predilige narrare il piccolo paese, che rappresenta
la comunità e le sue regole, la massa che pensa all'unisono e non
prevede eccezioni, per la O'Connor -la quale visse quasi tutta la
vita in campagna- la natura è una silenziosa protagonista, pacifica
e perfetta, e l'uomo l'elemento di disarmonia, il male: la foresta
inghiotte il rumore di spari e nasconde una mattanza, una giovane
priva di una gamba resta prigioniera nella campagna perchè incapace
di muoversi, una grande proprietà diventa una miniatura della
società, metafora del paradiso terrestre avvelenata da singoli
individui che simboleggiano l'umanità.
La
scrittura è asciutta e concreta; cambia consistenza, diventa quasi
solida per raccontare i litigi di un vecchio col nipotino in gita in
città e la loro riconciliazione di fronte a un'immagine quasi
surreale (“The artificial nigger”), più fluida per rendere i
paesaggi e le atmosfere sognanti della campagna assolata o di un
battesimo in riva al fiume (“A circle in the fire”, “The
river”). Le immagini evocate sono inaspettatamente forti e restano
nella mente del lettore, precise come fotogrammi; è qualcosa di cui
non ci si rende subito conto, ma a distanza di tempo emergono dalla
fantasia con chiarezza e rimangono col lettore.
(Flannery
O'Connor “A good man is hard to find”, Mariner books, 1982. In
italiano trovate la raccolta completa “Tutti i racconti” edita da
Bompiani, 2009)
Alcuni
siti a cui attingere più informazioni su Flannery O'Connor:
E
se voleste visitare la sua fattoria in Georgia:
2 commenti:
La perfezione di queste recensioni sta diventando monotona :)
Oddio, volevo esprimere un complimento ma scritto così forse è uscito male :D
Ahah!
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