Marc Schlosser ha qualcosa da raccontarvi. E' olandese, fa il medico di base. E' un professionista metodico, ha una moglie e due figlie, Julia di tredici anni e Lisa di undici. Marc Schlosser ha qualcosa da raccontarvi, qualcosa di terribile, che ha cambiato la sua vita e quella della sua famiglia. Intuirete di cosa si tratta, ma prima di saperlo con certezza dovete conoscere tutta la sua storia, a partire dalle giornate nello studio medico. Vi riferirà minuziosamente le sue opinioni sui pazienti e sul lavoro, il disgusto per i corpi dei pazienti, la sua preferenza per i figli maschi; illustrerà il funzionamento del sistema sanitario olandese, ricorderà le lezioni del professor Hessler, docente universitario con tendenze naziste. All'inizio vi sembrerà di soffocare, perché il dottor Schlosser non vi risparmierà alcun particolare e sarete tentati di mollare una lettura addirittura pornografica nella sua minuzia. Contemporaneamente, sentirete di essere prigionieri di questo racconto, ne rimarrete avvinti pur provando repulsione. Finalmente, dall'incessante rumore di fondo delle memorie e delle opinioni del vostro ospite emergeranno i dettagli: il luogo, le circostanze, i particolari, sempre narrati con ossessiva lentezza che diventerà agonia per chi pensa di aver capito l'accaduto ma vuole delle conferme. Confusi, sommersi dal continuo rimestìo di pensieri, ricordi, considerazioni, sarà difficile trovare i fatti nudi e crudi, e quando Schlosser nominerà direttamente le circostanze, vi fornirà deliberatamente una serie di particolari, dettagli dipinti su un quadro abbozzato.
Herman Koch ripropone il tema
dell'amore dei padri per i figli e delle conseguenze estreme di
questo sentimento. Ne “La cena” i figli andavano difesi, qui
vendicati, ma in entrambe i casi il protagonista non ha dubbi nel
momento in cui decide d'intervenire. Un insegnante, un medico,
persone rispettabili capaci di agire freddamente e senza ripensamenti
per distruggere chi minaccia la loro prole, che rappresenta in
definitiva una loro estensione. Anche la struttura richiama quella
del romanzo precedente, ma qui la crudeltà tocca nuovi limiti:
sconcerta il lettore e lo tiene (letteralmente) ostaggio di un
personaggio ossessivo che lo costringe a guardare il mondo dal suo
unico, imprescindibile punto di vista e alterna con estrema
naturalezza amore paterno e schifo per il prossimo, moralismo
e lussuria, pietà per gli animali e pianificazione di un omicidio. E
se dal racconto di Paul Lohman (protagonista del “La cena”)
riuscivamo a comprendere la sua inattendibilità dovuta a un disturbo
depressivo, qui l'enigma non viene sciolto, Schlosser è lucido e
consapevole, espone con efficacia una verità credibile, plausibile,
ma che non è in alcun modo confutabile dal lettore. Il suo monologo
ridondante, traboccante di dettagli e osservazioni, è in realtà
una copertura, una negazione continua alle domande che potreste porvi
e maschera l'assoluta reticenza. E' impossibile distinguire i reali
accadimenti dalla sua versione. Attraverso la sincerità malata del
suo protagonista Herman Koch rivela la sconcertante ferocia che corre
sotto la pelle delle relazioni affettive, famigliari, sociali, il non
detto di ognuno che mantiene i legami tradizionali e le gerarchie, le
strutture sociali che garantiscono il funzionamento della vita così
come la conosciamo. Emerge prepotente anche una critica feroce alla
società olandese (che potremmo estendere a tutta l'Europa)
rappresentata come lontana dall'ideale progressista che conosciamo,
dove il male s'insinua nel tessuto quotidiano della vita e la
pervade dall'inizio come in qualunque altro luogo del mondo, con
l'aggravante di non essere quasi notato da nessuno, ma anzi, ben
mimetizzato dall'immagine che il paese ha di sé e deve mantenere.
Koch smonta le certezze dei compatrioti alternando all'orrore momenti
di umorismo notevoli, tuttavia organici alla struttura della storia.
E' notevole poi l'abilità con cui controlla le strutture narrative e
temporali:non solo riesce a catturare e manipolare il lettore, ma
connette nel flusso inarrestabile della voce del suo protagonista
elementi cronologicamente distanti e non consecutivi, creando
all'inizio di ogni capitolo un'introduzione legata alla storia
personale del protagonista che s'innesta nella vicenda principale.
“Villetta com Piscina” porta a un
nuovo compimento le prerogative de “La Cena”, approfondendo ed
estremizzando scrittura e temi narrativi, aumentando i livelli di
lettura possibili a seconda dell'elemento su cui ci si concentra. Al
lettore sta scegliere la chiave d'interpretazione preferita,
lasciandosi comunque trascinare da una narrazione ineludibile.
(Herman Koch, “Villetta con Piscina”,
2011 Neri Pozza)
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