Cose che piacciono a Martin Millar: la musica, il sesso, l’alcol, la storia, la letteratura, le fate, le ragazze coi capelli colorati e “Buffy l’ammazzavampiri”.
In ognuno dei suoi libri troverete quasi tutti questi elementi, anche se in quantità e qualità diversa. Che si tratti di una storia dichiaratamente autobiografica o di un fantasy metropolitano, gli argomenti di Millar sono inconfondibili; parla incessantemente di sé stesso, della propria vita e di quella dei suoi amici nelle città che ha abitato o visitato. Talvolta è il protagonista, altre sembra non comparire del tutto e invece è lì, presente sotto forma di personaggio secondario.
Cominciamo dalla musica, allora. E’ la spina dorsale di tutte le sue storie ed ogni romanzo ha la sua colonna sonora: i The fall in “Latte, solfato e Alby Starvation” ad esempio o i Led Zeppelin in “Io, Suzy e i Led Zeppelin” (appunto), che costituiscono una parte integrante ed imprescindibile del racconto. Questo romanzo in particolare non si può gustare appieno se prima non si è ascoltato qualche disco della band, dato che il ritmo è letteralmente scandito dalle loro canzoni, dalla descrizione delle copertine e dal commento dei testi. In “Fate a New York” due fatine scozzesi, abili violiniste, decidono di mettere su una band punk e di elettrificare i brani tradizionali scozzesi, creando scandalo nelle loro famiglie. La protagonista di “Sogni di sesso e stage diving” è una musicista di punk trash di Brixton (un sobborgo di Londra che fa da sfondo anche a “Latte, solfato…” ) e tutta la vicenda ruota attorno al suo desiderio di chiamare la propria band Queen Mab, dal nome della fata che porta i sogni agli uomini. Senza la musica rock insomma, non ci sarebbe Martin Millar e -anche se non saprei spiegarvi come- vi posso assicurare che i libri stessi risultano quasi come dischi: la scrittura “suona”, è dolce come le melodie scozzesi in “Fate a New York”, chitarrosa, incalzante, fibrillante in “Io Suzy e i Led Zeppelin”, acida e rumorosa in “Sogni di sesso e stage diving”. Non so come ci riesca, ma lo fa. Con poche frasi riesce a rendere perfettamente le atmosfere, ad inquadrare i personaggi, a renderli vivi.
Così abile nel descrivere il genere di vita condotto da molti giovani Inglesi (ma anche Americani), senza un soldo, con pochissime possibilità di trovare un lavoro, che abitano negli squat, egli è in grado di fare di un minimo spunto, anche il più modesto, un romanzo. E’ la realtà che meglio sa descrivere e infatti dei libri che ho letto i più riusciti sembrano essere proprio quelli ambientati a Brixton. Millar trasforma vicende in apparenza risibili in storie in grado di avvincere: un particolare minuscolo che a chiunque altro sarebbe sfuggito diventa il centro attorno al quale ruotano decine di personaggi, ognuno con lati positivi e soprattutto negativi e le proprie paranoie. Alby Starvation è forse il primo che viene in mente, ma essendo l’alter ego di Millar conta fino ad un certo punto. Molto più interessante è la già citata Elfish, la stage diver, assolutamente insopportabile ed antipatica, eppure nel suo egoismo un personaggio positivo. Sono spesso creature sgradevoli, come minimo dotate di deplorevoli abitudini igeniche, deboli, egoiste ed incapaci di dare una direzione alla loro vita. Martin li osserva senza giudizi e dando importanza alle loro piccole ambizioni, alle loro mete -che appaiono a volte davvero modeste per non dire infantili- che costituiscono il motore delle loro esistenze e li mettono in grado di fare qualunque cosa per raggiungerle.
Per quanto negativi, non si riesce ad odiarli veramente e alla fine, in qualche modo, tutti, buoni e meno buoni, raggiungono il loro lieto fine. Le situazioni più drammatiche si risolvono sempre o quasi nel migliore dei modi e spesso nei momenti “tragici” mi sono trovata a pensare “Sì, ma tanto arriva il lieto fine, adesso”; si tratta della speranza segreta di qualunque lettore di non dover vedere finire male un personaggio al quale si è affezionato, ma raramente nei romanzi di Millar si resta delusi in questo senso.
Quasi ad esorcizzare il male o a realizzare il sogno di un mondo in cui le cose si aggiustano sempre, Martin fa di tutto perché i conflitti vengano superati e se a volte può sembrare poco realistico (l’happy ending non è per forza l’ideale in termini di scrittura), è pur vero che ogni autore ha il diritto di scegliere i propri finali e che questa scelta è comunque un’espressione del suo stile e della sua personalità.
La struttura adottata nei quattro romanzi che ho letto finora è sempre la stessa: si narrano almeno quattro o cinque storie contemporaneamente, a volte evidentemente connesse, altre non così chiaramente legate. Il destino naturale di queste vicende (come di quelle di tutti noi) è d’intrecciarsi dando un senso finale al racconto. E’ un gioco divertente che funziona molto bene, ma può rivelarsi pericoloso: possono scapparti dei pezzi e ci possono essere talmente tante sottotrame che le conclusioni possono risultare a volte rutilanti e un po’ “tirate via”. E’ la sensazione che ho avuto per esempio con “Fate a New York”, in cui negli ultimi capitoli l’azione sembra animata da puro panico e ansia di arrivare alla parola fine rimettendo tutti i pezzi del puzzle al loro posto nel minor tempo possibile. E’ vero però che se anche si perde qualcuno per la strada non è detto che sia così importante…succede anche nella vita vera.
La vera magia di queste storie sta nel come ti sia impossibile smettere di leggerle una volta iniziate. Personalmente a finire un libro di Millar non ci metto mai più di una settimana (spesso di meno) e proprio la tecnica delle varie narrazioni incrociate aumenta la velocità di lettura e il desiderio di scoprire come andrà a finire. Oltre a questo, è un autore che conosce la letteratura (appassionato di Jane Austen, ha scritto una sua versione di “Emma”, conosce la poesia Inglese), abile a farti credere di aver creato qualcosa che anche tu avresti potuto scrivere. Ma la realtà è molto diversa, ci vuole veramente molto stile, leggerezza e capacità narrativa per fare quello che fa lui. Sareste in grado, ad esempio, di coniugare storia antica, poesia elisabettiana e punk rock in un solo romanzo? Non è da tutti.
Infine, grazie alle sue trame, ai suoi personaggi giovani e disperati, al suo humour malinconico e demenziale, Millar è quel genere di scrittore che può piacere a quasi tutte le età: l’adolescente si riconoscerà nella ragazza coi capelli colorati o nel giovane depresso per essere stato lasciato dalla ragazza, mentre il lettore più maturo farà magari più attenzione alla narrazione, alle citazioni dalla storia antica, ai contenuti più nascosti e “filosofici” delle sue storie.
In Italia sono stati pubblicati (e a volte ri-pubblicati) solo cinque libri (tradotti con una certa fedeltà) di Martin: oltre a “Latte Solfato ed Alby Starvation”(2004 Baldini e Castoldi) ed “Io Suzy e i Led Zeppelin”(2002 Baldini e Castoldi) ci sono anche “Fate a New York” (2004 Lain), “Sogni di sesso e stage diving”(2006 Lain), e “Ragazze lupo” (l’unico in questa lista che non ho letto, 2008 Fazi).
Se consultate il suo sito www.martinmillar.com lo scoprirete molto più prolifico. E’ tra le altre cose autore di una serie fantasy con lo pseudonimo di Martin Scott. Se avete un minimo di conoscenza dell’Inglese vi consiglio di leggere anche i volumi inediti nel nostro paese, il linguaggio è scorrevole e semplice, non dovreste aver problemi a finirli.
1 commento:
Alla fine ce l'hai fatta, eh?
Bel lavoro.
;-)
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