venerdì 30 luglio 2010

Leggendo in vacanza


D'estate si può recuperare il tempo perduto durante l'anno e riportarsi in pari con le letture: libri iniziati e abbandonati per mancanza di tempo o perchè erano troppo impegnativi da leggere sotto stress lavorativo, libri e libroni lunghi.
Per molti l'estate equivale a due, tre volumi, magari best sellers, da "consumare" nella beatitudine delle giornate in spiaggia, sotto l'ombrellone o nelle serate sul balcone, senza tv. Questa è almeno l'immagine che molti media forniscono anche se non sono affatto sicura che rappresenti la maggioranza.

Secondo alcuni è meglio portarsi via libri d'evasione, per distrarsi e non sovraccaricare i neuroni.
Leggere è e deve essere un piacere e quindi quest'idea mi pare perlomeno bizzarra, è come dire d'inverno leggo Proust perchè mi devo opprimere, mentre d'estate ci dò dentro con la Kinsella, che mi fa allegria.

Personalmente trovo che fare una scelta di cosa portarsi appresso sia sempre un pò drammatico. In quindici giorni si può cambiare umore, ci si può rendere conto di avere scelto il volume sbagliato e volerlo cambiare, si può desiderare improvvisamente di leggere un libro inizialmente scartato e che invece ora, a centinaia di chilometri da casa, sembra proprio la  cosa giusta da avere con sè.
Certo, le edicole marittime offrono una certa scelta, ma in generale seguono la teoria del neurone affaticato di cui sopra e possono spesso offrire sono romanzoni di scarsa qualità, d'azione, romantici e storici. Anche se, bisogna ammetterlo, talvolta di trova un prezzo di grande pregio (un introvabile Urania magari) sepolto sotto la fuffa.

Tornando alle scelte obbligate della partenza, io utilizzo una strategia di diversificazone: a meno di non avere il pallino di un certo autore in quel momento, tendo a portare almeno quattro o cinque di generi diversi, tipo un romanzo e una raccolta di racconti, uno decisamente deprimente e un altro un pò più allegro.
E' divertente poi notare che quasi automaticamente tendo a portare in ferie i libri più cupi: ricordo un'estate in cui lessi "Cuore di tenebra" e ne rimasi tanto depressa che quando mi capitò sottomano "Mattatoio 5" mi sentii quasi sollevata.
Che dire poi dello scorso anno, mi portai appresso "Soffocare" e soprattutto "Diary" di Chuck Palaniuk e la raccolta di Raymond Carver "Vuoi star zitta per favore?", come dire, una montagna di risate.

Per queste vacanze ho cercato di essere più varia possibile, ed ho approfittato dell'obbligo lavorativo per portare più libri del solito. Li potete vedere nella foto...

giovedì 22 luglio 2010

Gioco di specchi, "Twin Study", Stacey Richter


Tra tutti gli autori della raccolta "Burned Children of America" recensita qui lo scorso anno, Stacey Richter mi aveva particolarmente colpita.
Peccato che nulla a parte quel racconto ("Gli uomini delle caverne") sia ancora stato tradotto in Italia; una fortuna invece che i siti di vendita online italiani ci permettano l'acquisto dei suoi libri in lingua originale.
Stacey Richter è per me un vero talento, leggendo i suoi racconti mi vengono in mente Shirley Jackson e Joyce Carol Oates, delle quali possiede la capacità di osservare le cose dal limite, da un angolo estremo quasi fuori dalla visuale ed il coraggio di affrontare episodi tragici, spaventosi e personaggi talvolta meschini.
Le mancano invece il cinismo e la disillusione di queste due grandissime autrici, così che è in grado di affrontare una realtà straordinaria ammantata di apparente convenzionalità con grazia inaudita e senza fornire un giudizio di approvazione o condanna. Il suo sguardo è neutro, ma non disinteressato, piuttosto curioso di scoprire i confini dei sentimenti umani.
Riesce a raccontare le emozioni in modo originale ed inaspettato, dalla condivisione dell'identità di due gemelle che si scambiano esistenza quando s'incontrano per partecipare agli studi scientifici sui gemelli ("Twin Study"), al confronto con il nostro lato primitivo e con lo straniero che ci somiglia e si rivela migliore dell'uomo moderno e civilizzato ("The cavemen in the Hedges"), al rapporto con il decadimento fisico e con le persone mentalmente handicappate che fanno a meno del mondo "regolare" e forse neanche ne hanno bisogno ("The land of pain").
Particolarmente impressionante è "Blackout", forse il più nero di tutti i racconti, in cui il senso della realtà viene temporaneamente sospeso con conseguenze agghiaccianti.
Ci sono mondi alieni come lo Utah abitato dai mormoni o l'ambiente dei musicisti classici, personaggi divertentissimi come la madre di "My mother the Rockstar" (che vuole forse ricordare Madonna) o dolcemente malinconici e saggi, come la protagonista di "Young people today". Di tutti la Richter svela un piccolo segreto che ce li fa conoscere e a volte amare, a volte no.

Le sue meditazioni sono estremamente profonde e sfaccettate e passano anche da eventi fantastici per riportarci a questioni reali e quotidiane. Questi racconti non sono semplici giocattoli letterari brillanti e divertenti, ti portano naturalmente a pensare alla vita che stai vivendo.
Si tratta di storie "silenziose", ma non modeste, non piccole. Invece, molto intense.

Speriamo davvero che un editore Italiano si decida a tradurre e pubblicare la produzione di questa scrittrice, a mio avviso ne vale davvero la pena.

Vi segnalo il link al sito di Stacey Richter presente nell'elenco dei siti, nel quale troverete anche alcuni racconti inediti.
(Stacey Richter "Twin Study", 2007 Counterpoint)

martedì 29 giugno 2010

Il grande vuoto: "Nudi e Crudi", Alan Bennett


Perdere tutti i propri averi in una botta sola. Da un momento all’altro essere privati di tutti i mobili, i libri, i dischi, i vestiti. Non solo. Di tutte le fotografie, i regali ricevuti, ogni cosa scomparsa come se mai fosse esistita.

Tremendo? Spaventoso? O consolante? Alan Bennett, tra i più noti umoristi contemporanei ci fa la domanda e ci fornisce (come piacerebbe a Marzullo) la sua risposta in questo racconto esilarante.

I coniugi Ransome (trad. riscatto) al rientro da una serata a teatro trovano l’appartamento completamente svaligiato. COMPLETAMENTE. Non è rimasta neanche la carta igenica. Non senza qualche difficoltà (non hanno cellulare ed il loro telefono fa parte della refurtiva) avvertono la polizia, che senza troppa solerzia arriva sul luogo del crimine.

Da quel momento è come se la storia prendesse due strade opposte: da una parte Mrs Ransome, casalinga borghese si trova a gestire un sacco di tempo libero ed un sacco di spazio vuoto. Vincendo l’iniziale titubanza e diffidenza comincia ad avvicinarsi al mondo che sta al di fuori del suo appartamento e che blindata nei suoi averi non aveva mai conosciuto.

Al contrario il marito sembra del tutto indifferente alla scoperta della moglie e procede abitando il suo desolato appartamento come se nulla fosse accaduto.

Quanto mettiamo di noi stessi in ciò che possediamo? Quanto ci facciamo rappresentare dalle cose? E se le perdiamo, perdiamo anche la nostra identità? E se la risposta è sì dobbiamo disperarci o tirare un sospiro di sollievo? Non essere più la persona conosciamo può essere una tragedia, ma può essere l'inizio di un nuovo sè e di un riscatto a lungo atteso. In fondo tutti almeno una volta abbiamo sognato di scappare da ciò che siamo e se l'occasione non ce la creiamo, può venire da sola. L’umorismo acidissimo e surreale della vicenda dei Ransome nasconde in realtà una meditazione quasi tragica sul senso della perdita, sul dramma del tempo che passa, della morte che si avvicina e sulla possibilità di strappare qualcosa dalle sue dita. La capacità di rinnovarsi è fondamentale per sopravvivere e chi si ferma è perduto.

Serissimo e dissacrante, Bennett critica ferocemente (e con inarrivabile stile) la classe borghese e la way of life britannica, ma la storia dei Ransome ha decine di letture diverse. Per esempio, ora come ora potrebbe essere una metafora dello smarrimento di certezze economiche in un tempo di crisi; decidete voi quella che più vi aggrada. Perdete pure tutti i mobili, ma non fatevi mancare questo libro.

(Alan Bennett "Nudi e Crudi" 2001, Adelphi)

giovedì 24 giugno 2010

Nudo e crudo: "Tuttalpiù muoio" Albinati e Timi


Vedo Filippo Timi sui cartelloni che pubblicizzano un suo spettacolo a Milano. Poi eccolo ad un programma televisivo. Infine m'imbatto nei suoi libri. Mi chiedo come farà a fare tante cose. E decido di rischiare, mi compro "Tuttalpiù muoio", un romanzo semi-autobiografico scritto con Edoardo Albinati da cui Timi ha tratto anche un monologo teatrale intitolato "La vita bestia".

L'incipit è conosciuto: Filo nasce in un paesino umbro, la sua è una famiglia povera e lui, grasso e balbuziente, è da subito un piccolo emarginato, quello che fa tutte le penitenze durante i giochi e che alle feste non balla con nessuno. Cresce e si vede diverso dagli altri, si sente stretto il paesino e desidera (forse senza neanche saperlo) molto di più. Per caso inizia a recitare e poi comincia a fare sul serio. Inizia il bello.
Bisognoso di esperienza, prova qualunque cosa, in teatro fa acrobazie pericolose e non si tira indietro neanche quando scopre di avere una malattia agli occhi; inseguendo la sua fame inizia a viaggiare, studia, s'innamora, non si ferma mai, cerca, cerca, cerca redenzione, cerca gloria, cerca amore totale e una fuga dal suo passato. La sua forza ed energia, la sua sincerità e sfrontatezza conquistano, trova le parole giuste per dire cose complicate e dolorose, per raccontare l'infelicità del non sentirsi amati e neppure degni dell'amore che pur tanto ci serve, e il male che ci si porta dietro per anni come un bagaglio ingombrante ma irrinunciabile.

Un'odissea che parte da Ponte San Giovanni, vicino a Perugina e arriva a Milano passando per Roma: lui rimbalza mille volte avanti e indietro, provando e sbagliando magari sempre le stesse cose. I suoi segreti sono centellinati, sembrano emergere quasi per caso congelandoci un sorriso sulle labbra, troncando una scena surreale. Ancora a poche pagine dalla fine c'è qualcosa da scoprire.
E' una storia che in parte appartiene a tutti, quella del conto da regolare con le nostre origini, con i genitori ed i dolori ed i traumi della giovinezza.
Timi l'affronta con purezza ed umorismo, combinando episodi quasi magici (come la visita alla zia cui era stata amputata la gamba che sentiva l'arto muoversi sotto il letto) e altri duri, a volte da mettersi a piangere, altre imbarazzanti.
Filo non si nasconde, dice tutto senza paura del giudizio degli altri o voler apparire diverso da come è. In fondo è questo l'unico segreto per scrivere bene, soprattutto di sè stessi, non far sconti a nessuno, tanto meno al protagonista.
Non è chiaro dove finisca la realtà autobiografica ed inizi la finzione, ma non è certo questo l'importante. Filo ci piace perchè è simpatico e insopportabile, solo e spietato e perchè non vuole essere" buono". Ha il coraggio di affrontare la vita in modo estremo e sconsiderato come pochi osano fare.

I periodi sono brevi ma non telegrafici, dopo un punto si va sempre a capo. E tra i meriti del libro c'è anche l'essere efficacemente a metà tra narrazione e teatro: s'intuisce come il testo possa essere diventato uno spettacolo, eppure si tratta proprio un romanzo.
Per me che di rado leggo autori italiani, è stata una bella scoperta, degna di replica.
Applausi, applausi, applausi.

(Edoardo Albinati, Filippo Timi "Tuttalpiù muoio" , 2008 Fandango Libri)

Ancora...


...Mi emoziono quando vedo qualcuno sul metrò che legge "Mattatoio 5" di Kurt Vonnegut!

sabato 19 giugno 2010

Prima che tu vada: "nell'intimità" Hanif Kureishi



L'amica che mi ha prestato questo libro voleva da me un'opinione. Non riusciva ad inquadrare il personaggio narrante, l'alter ego (ma quanto alter?) dello scrittore Hanif Kureishi che racconta il travaglio della notte prima di lasciare la casa dove vive con la compagna ed i due figli.

Invece il significato di questo breve romanzo e lungo monologo a me pare piuttosto chiaro: un uomo di circa quarant'anni (ma forse qualcosa di più) rivisita la propria vita, il proprio percorso sentimentale e psicologico, perfino spirituale forse, cercando di trovare un senso a tutto il suo vissuto ed a quello che sta per fare.
Perchè è ben cosciente che il prossimo passo distruggerà un mondo, il suo ma anche quello dei figli e della compagna. Tuttavia, non vede altra possibilità per continuare a vivere. Ha la sua bolla personale, il lavoro, la vita di famiglia, i rapporti con i vicini, i colleghi di lavoro, il mondo esterno che vede in lui e nelle persone che lo circondano una famiglia normale che conduce una vita normale.
La realtà invece è quella così comune fatta d'insoddisfazione e frustrazione: l'amore ormai finito che si perpetua per convenzione e per paura tra dispetti e tradimenti, che ci si illude di poter salvare anche quando si sa bene che è finito.
Ma il desiderio di pienezza, di provare ancora quel sentimento in tutta la sua emozione, purezza, sensualità -anche se alla tua età dovresti esserti rassegnato, soddisfatto e sedato- è insopprimibile, egoista, irrefrenabile nonostante le convenzioni e la paura della sofferenza propria ed altrui.
Cosa c'è di male nel volere vivere ancora? Nel lasciare ciò che non ci serve? Nel seguire il vero amore, la vera intimità? E perchè non si può continuare ad amare come il primo giorno, con lo stesso trasporto e la stessa pazzia? I legami invece di avvicinare le persone sembrano allontanarle, soffocare i sentimenti e la loro sincerità in un mare di menzogne, di cose non dette, di piccole e quotidiane cattiverie che invece dell'amore alimentano la solitudine.

Il narcisismo ed il cinismo di questo personaggio lo rendono a tratti veramente antipatico. Eppure non si sa dargli torto. Tanto più che la stessa crudeltà che usa verso la sua compagna ed i suoi amici la rivolge verso sè stesso, giudicandosi spietatamente, riconoscendo i propri errori e le proprie mancanze.

La forma del monologo è di per sè un pò ridondante e in un paio di punti il ritmo stagna, ciònonostante si tratta di un libro che appassiona e dà uno spunto per riconoscere le piccole bugie della nostra quotidianità, per chiedersi quanto siamo veramente felici e se non vorremmo qualcosa di diverso da ciò che abbiamo.

(Hanif Kureishi "nell'intimità" 2005 Bompiani)

mercoledì 16 giugno 2010

APPELLO!

La biblioteca Italiana per i Ciechi di Monza fornisce un servizio importantissimo.
I libri in Braille sono molto costosi e non tutti i ciechi possono permetterseli. Questo vale sia per la letteratura che per i libri scolastici.
La legge finanziaria contiene tra i tagli anche i fondi per questo servizio FONDAMENTALE. Non mi esprimo sulle implicazioni costituzionali dell'abolizione di tale servizio, vi invito però a firmare l'appello al Ministro della Cultura per salvare questa Istituzione.