Ho finito di leggere questo libro
qualche mese fa e da allora cerco di scriverne la recensione. Non è
facile, innanzitutto perché non avevo mai letto altro di Turgenev (i
classici incutono sempre un certo rispetto) e poi i racconti di cui
parliamo appartengono all'ultima produzione dello scrittore, quando
stile e temi prediletti erano ormai cristallizzati e i simboli tanto
stratificati che una sola immagine corrisponde a molteplici
significati, parte dei quali può rimanere invisibile a un occhio
inesperto. La metafora visiva è forse la più appropriata, perché
le storie di Turgenev permangono nel tempo come apparizioni o
fantasmi che si manifestano al lettore.
Ecco “Baburin e Punin”: il primo
sogna una società più giusta, la fine dei privilegi nobiliari, il
rispetto dei più umili; il secondo, un uomo anziano dall'aspetto
bizzarro, insegue un'Arcadia poetica in cui gli autori contemporanei
sono messi al bando e solo chi appartiene al passato è degno di
rappresentare la letteratura russa. Contesi tra la spinta verso il
futuro e il rassicurante richiamo di un passato conosciuto, restano
bloccati fuori dal tempo e i loro esasperati idealismi, che non
ammettono compromessi, invece di lanciarli verso la nuova Russia che
vede la fine della nobiltà, li zavorra nel nulla. Troveranno il loro
posto in esilio, lontani dal tempo presente. Turgenev sembra
criticare gli idealismi, sia politici che letterari, che non tengono
conto della realtà in cui sono formulati, lanciando forse qualche
frecciata a coloro (tra cui Dostojevskj) che lo accusavano di non
essere abbastanza russo a causa della sua lunga permanenza in
Francia.
Tutti i racconti sono costruiti su una
dualità. Che si tratti di un'alleanza, una rivalità, una
dipendenza, troviamo sempre due protagonisti. Ne “L'orologio”
sono i cugini Aleksej, figlio di un avvocato, e Davyd, che attende il
ritorno del padre dissidente politico; attraverso di loro viene messa
in scena la decadenza della pavida borghesia e la gagliarda nazione
che emrgerà in pochi decenni. L'azione è catalizzata dalla presenza
di un oggetto, un banale orologio di poco prezzo, che acquisisce
significati diversi per il suo giovane proprietario (Aleksej) e per
gli altri componenti della famiglia, di cui emergono meschinità,
purezze, contrasti e il cui destino si compirà in queste pagine.
Se queste vicende rientrano nella sfera
del razionale, da quella successiva vi è una mutazione, l'atmosfera
si fa più cupa e l'elemento dell'ignoto e del fantastico
s'impongono. “Il racconto di padre Alekseij” è il resoconto
della possessione diabolica di un giovane riportata dal padre, uomo
devoto che pure nulla può per salvare il figlio dal destino tragico
verso cui è proteso. La descrizione del male che lo prende è
agghiacciante, degna dei migliori racconti e film dell'orrore e fa
tornare in mente la prima parte de “L'esorcista”, quando la
bambina protagonista, già posseduta, è creduta malata e sottoposta
a infiniti esami medici. E' la consapevolezza del male e l'incapacità
di dargli un nome certo, l'impotenza di fronte ad esso, il vero
orrore.
Ne “Il canto dell'amor trionfante”si
narra la rivalità di due nobili giovani per l'amore di una
fanciulla. Quando questa sceglie il suo sposo, lo sconfitto parte per
un lungo viaggio dal quale tornerà con un piano per conquistare la
ragazza. Imbevuto di esotismo orientale, questo racconto è quasi un
esercizio di stile che richiama “Le mille e una notte” e i
racconti gotici, e precorre il classico tema degli zombie.
Il volume si chiude con la lunga
novella “ Klara Milîc”,
l'ultimo componimento compiuto di Turgenev che per scriverlo s'ispirò
a un fatto di cronaca, il suicidio in teatro nel 1881 dell'attrice e
cantante Evlalia Kadmina. Il sottotitolo “Dopo la morte” doveva
essere in realtà il vero titolo del racconto, ma fu scartato
dall'editore perché giudicato troppo lugubre (succede ai migliori,
evidentemente!).Yevgeni Bauer ne trasse un film ricco di visioni
simboliche, ed è facile riconoscere nella storia elementi in comune
con “La prospettiva Nevskij” di Gogol (molto amato dall'autore).
La vita incolore del giovane Aratov,
orfano di famiglia borghese accudito con devozione da una vecchia
zia, viene attraversata dall'apparizione di una giovane attrice che
subito si dilegua, ma che da quel momento ritorna continuamente,
evocata dalla memoria. Egli ne ricorda incessantemente e
minuziosamente il volto, le espressioni e le parole, alla ricerca di
una risposta alla domanda che Klara ha evocato in lui. La insegue,
ricostruendo la sua vita attraverso i ricordi dei parenti, e ne svela
qualche segreto, ma non il più importante, quello che lo salverebbe.
Più conosce Klara, più si addentra nei dettagli della sua vita e
più si allontana da sé stesso e dalla realtà, sprofondando un
mondo di visioni e delirio. Ad Aratov spetta lo stesso destino del
pittore Piskärev, anche
lui all'inseguimento dell'immagine di una donna e imprigionato in una
spirale di pensieri ossessivi che si svolge lentamente tornando
continuamente nello stesso punto, ma diversamente dal personaggio di
Gogol egli non è torturato da una certezza, ma da qualcosa che non
avrà mai modo di sapere se non, forse, dopo la morte.
La memoria, la follia e la morte sono
gli elementi portanti della raccolta e le danno unità nonostante la
quantità di temi, atmosfere, costruzioni narrative utilizzate dallo
scrittore.
(Ivan S. Turgenev, “Il canto dell'amor trionfante e altri racconti", Feltrinelli, 2007)